MOLFETTA - Abbiamo spesso ripetuto che la ricomposizione degli spazi cittadini entro una logica progettuale di sviluppo passa attraverso la ricostruzione dello spirito comunitario. La comunità è qui intesa come l’ambito di confronto, di progettazione politica, di relazione, che costituisce il presupposto imprescindibile del riconoscimento. Al di fuori dell’orizzonte di riconoscimento della comunità, resta un coacervo indifferente di possibilità, sganciate dai bisogni e dai progetti dei cittadini e, dunque, facilmente assoggettabili a logiche di appropriazione indebita.
È quello che è accaduto alla Molfetta azzolliniana, in cui blocchi di interesse privato hanno alimentato egoistici appetiti, sganciati dall’interesse collettivo. Quest’ultimo, invece, è stato abilmente inscritto nelle possibilità del consumo offerte dalla Molfetta commerciale o imbrigliato nelle illusioni del grande porto e della cultura del divertentismo e dell’estetizzazione.
L’uscita dall’azzollinismo diviene allora una questione culturale. Da qui il continuo riferimento alla cultura come alla chiave di volta del futuro di questa città. E non s’intende qui la cultura in senso autosufficiente, riportabile a pericolosi conservatorismi identitari, come recupero di un momento originario che risiederebbe in un qualche periodo storico arbitrariamente determinato. Il recupero dell’identità culturale non può negarsi alla storia e rifugiarsi nella difesa di un modello predeterminato.
Il risultato sarebbe nuovamente l’astrazione dall’orizzonte reale in cui maturano i bisogni, le vocazioni e i conflitti interni alla città. La cultura consapevole e autentica non si rifiuta a tale dimensione, anzi la assume come il nocciolo fondamentale del progetto politico di ricostruzione della città. Perché i problemi stessi che la attraversano diventino la sostanza del cambiamento, in modo che qualsiasi “visione” della città sia informata dello spirito degli uomini e delle donne che la vivono. Così la città stessa supera l’astrazione prodotta da una politica dell’anestetizzazione, per divenire il terreno del riconoscimento e dello sviluppo.
Ecco le ragioni per cui è necessario sostenere che nello società civile, nelle sue istanze e rivendicazioni risiede la sostanza fondamentale per ogni possibile progettazione politica.
Il nesso fra cultura, società civile e politica si fa ora chiaro. Ed emerge la vacuità di una proposta culturale che si pronunci per la neutralità politica. In tal modo, assume direttamente un carattere conservativo e, quando ciò non avviene in malafede, a partire da un intenzionale proposito politico, è in realtà sintomo di ingenuità. In quest’ultimo caso, sprofonda ai margini dell’idea politica che regge la città, poggiandosi su di essa, pur senza assumerla consapevolmente. Anziché essere la cultura progetto di approfondimento e riconoscimento dello spazio di relazione, essa resta in superficie, degradandosi a puro svago e divertentismo astratto da qualsiasi visione.
D’altro canto, una proposta politica che non si fondi su un’idea di cultura, diviene essa stessa astratta rispetto allo spirito della comunità, alimentandosi del suo dissolvimento.
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