Jobs act e mercato del lavoro al Rotary Club di Molfetta
MOLFETTA – Il lavoro è una delle attività fondamentali del vivere umano. Si innesca un meccanismo psicologico e sociologico per cui attraverso il lavoro si raggiungono obiettivi e se ne costruiscono di nuovi. È un modo per sentirsi presenti nel mondo ed avere uno scopo. Si tratta di uno degli elementi – seppure il più importante insieme al valore della famiglia e degli affetti – su cui si plasma l’identità di un uomo. Il lavoro coincide con la dignità e senza di esso sembrerebbe di vivere in una collettività che è stata sporcata, infangata e offesa.
Rovesciando la medaglia, però il lavoro è anche un mero strumento per avere le risorse sufficienti per vivere – o nella peggiore delle ipotesi, sopravvivere - e per partecipare alla crescita del Paese. In questo caso non tutte le ricette di politica economica si eguagliano e molto dipende dalla concezione che si ha dello stesso.
Ed è proprio di questo e del Jobs Act che si è discusso durante l’incontro organizzato dal Rotary Club di Molfetta presso l’Hotel Garden. Ad introdurre la serata, il presidente Enzo Galantino che – dopo i saluti di rito - ha ricordato come una delle cinque vie d’azione del Rotary Club sia quella di mostrare un concreto coinvolgimento nelle problematiche di interesse generale attraverso la messa a disposizione di professionisti del settore che – senza la pretesa di giungere ad una concreta risoluzione – forniscono una seria e ragionata riflessione sull’argomento in oggetto. A moderare la tavola rotonda l’avvocato nonché past president del Rotary Club di Molfetta, Emilio Poli che ha sottolineato quanto la riforma del lavoro abbia inciso sugli italiani, in primis come uomini.
Per introdurre il tema non c’era citazione più appropriata dell’art. 1 della Costituzione della Repubblica Italiana che esplicita un’affermazione programmatica e di principio ed evidenzia – oltre l’identità repubblicana dello stato – come il Paese sia fondato sul lavoro. Ad approfondire l’argomento ci ha pensato il dott. Luigi Claudio, presidente della sezione lavoro del Tribunale di Bari (nella foto: Poli, Claudio, Galantino, Borrelli, Mastrototaro).
Dopo un puntuale ragguaglio tecnico, l’illustre relatore ha rimarcato l’importanza di non confondere il Jobs Act con la questione della decontribuzione destinata ai nuovi assunti, stratagemma peraltro già presente in tempi passati. E nonostante nell’ultimo periodo il mercato del lavoro sembri orientato ad una timida ripresa, la questione degli incentivi fiscali per stimolare l’occupazione è ancora un tema di grande interesse. Il testo della Legge di Stabilità 2016 fissa norme e soglie per gli sgravi contributivi per i datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato ma con alcune modifiche. Ad esempio la soglia massima di esonero si riduce drasticamente, passando da 8mila euro a poco più di 3mila euro. La decontribuzione inoltre durerà 24 mesi ma sarà applicabile solo per le assunzioni riguardanti soggetti che nei mesi precedenti non hanno avuto contratti a tempo indeterminato presso alcuna realtà lavorativa.
Inoltre, affinchè l’azienda possa beneficiare di tali incentivi, le risorse non dovranno essere state precedentemente assunte dallo stesso datore di lavoro e quindi aver fruito del medesimo sostegno. In più per l’anno in corso si riconferma il taglio del 50% dei contributi Inps e Inail, posti a carico dell’azienda per un massimo di 12 mesi se si tratta di assunzioni a tempo determinato, 18 mesi per quelle a tempo indeterminato o di trasformazione contrattuale da tempo determinato a tempo indeterminato.
Insomma, l’agevolazione riguarda le assunzioni di lavoratori che abbiano superato i 50 anni e che siano disoccupati da almeno 12 mesi. Un buon passo avanti è stato fatto nella direzione della tutela dell’apprendistato e dell’occupazione femminile. Nel primo caso – per l’intera durata del rapporto professionale – i datori di lavoro possono infatti fruire di una decontribuzione pari all’11,61% nonché di tutta una serie di garanzie.
Sul versante donna – lavoro, invece gli incentivi vengono messi a disposizione per assunzioni di soggetti senza impiego da almeno sei mesi per mansioni che rientrino nelle categorie stabilite dal d.l. del 13 ottobre ma anche per tutte le lavoratrici senza impiego da almeno 24 mesi. Se oggi volessimo guardare ai dati statistici, ad un aumento del 23,9% dei pensionamenti corrisponde una riduzione del 21% di cessazioni di attività e una diminuzione pari al 14,9% dei licenziamenti. È chiaro – come ha evidenziato il dott. Claudio – che è difficile oggi giudicare la bontà della riforma perché risulta operativa da poco e la ripresa, seppur discreta, potrebbe anche dipendere dall’andamento del ciclo economico attuale.
Di grande interesse anche l’intervento dell’avv. Giuseppe Borrelli - patrocinante presso le Giurisdizioni superori e socio del Rotary Club di Bari – che ha spiegato ai presenti quanto non bisogni demonizzare l’art. 18 che ha rappresentato e rappresenta tutt’ora una grande conquista sociale, politica ed etica. In particolare, l’avv. Borrelli si è soffermato sulla questione attinente la tutela reintegratoria che risultava eccessiva nell’art. 18 così come era stato concepito in origine e rappresentava per i datori di lavoro un costo drammatico per una forma di garantismo definita esasperata. Oggi il decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti conserva questa forma di sostegno solo nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale. In tale situazione, il giudice dichiara la nullità del licenziamento e ordina al datore di lavoro la reintegrazione del dipendente, a prescindere dal motivo formalmente adottato. A seguito di un simile accadimento, il lavoratore può anche chiedere una indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto non assoggettata a contribuzione previdenziale.
Con questo sistema dovrebbero essere maggiormente garantiti gli esclusi e i precari e migliorare la condizione di chi ha necessità di un ricollocamento professionale. Ma ciò che più conta e che non andrebbe mai dimenticato è che - quando si parla di lavoro, di tassi di disoccupazione o occupazione, di cassa integrazione e di fallimenti d’impresa – dietro dei freddi numeri ci sono sempre delle persone vere, vite colpite da eventi vissuti prima di tutto come un fallimento personale.
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