Da Roma a Molfetta ci passa, geografi camente, un Appennino, ma è un autentico mare quello che scorre tra intenti ministeriali e la vita scolastica di tutti i giorni, tra teoria e pratica, tra ciò che la riforma Gelmini prescrive e la diffi coltà, talvolta impossibilità, di applicarla, nelle scuole di Molfetta. Indipendentemente se piaccia o non piaccia (non piace). Risultato: un esercito di precari. La riforma Gelmini (dpr 89/2009) prevede, come tutti sanno, l’introduzione del maestro unico e abolisce il team delle tre docenti. Nelle classi prime della scuola primaria (ex elementare), quindi, dovrebbe insegnare un solo docente che si occupa di tutte le discipline all’infuori di inglese e religione. A regime, attraverso un piano di formazione dei docenti, tutti gli insegnanti “unici” saranno in grado di insegnare anche la lingua inglese. “Il condizionale è d’obbligo”, ci spiega Maria, di Molfetta, da anni docente in una scuola primaria, “perché, com’è facilmente verifi cabile, è quasi impossibile che un solo insegnante possa occuparsi esclusivamente di una sola classe. Ciò dipende soprattutto dal fatto che un insegnante lavora in classe per 22 ore settimanali mentre i bambini passano a scuola, nella realtà molfettese, almeno 30 ore settimanali. Le 8 ore residue vengono coperte dall’insegnante di religione (2 ore settimanali), dall’insegnante di inglese (2 o 3 ore settimanali) e da una terza insegnante necessaria per coprire l’orario”. Un autentico Risiko nella distribuzione delle ore per chi c’è, la mannaia su chi non c’è: in un sistema lavorativo come quello della scuola, in cui, già precedentemente, l’ingresso era un percorso arduo in salita, la Riforma, raccontano gli insegnanti, ha avuto eff etti devastanti sul fenomeno del precariato. “Questa organizzazione - prosegue Maria - ha fatto sì che in ogni scuola primaria di Molfetta c’è stata una contrazione nell’organico, cioè nel numero dei docenti necessari per “coprire” l’orario scolastico di tutti i bambini iscritti in quella scuola con conseguente esubero di personale (i cosiddetti perdenti posto)”. I perdenti posto, attraverso operazioni di mobilità, hanno coperto i posti resisi vacanti per eff etto dei pensionamenti. Tuttavia, nella provincia di Bari, a giugno c’erano 62 insegnanti di ruolo (da diversi anni) della scuola primaria che non avevano trovato una sistemazione. Un percorso analogo è stato eff ettuato nella scuola secondaria di 1° e 2° grado (scuola media e scuola superiore). I tagli sono stati eff ettuati sia perché la riforma ha ridotto le ore di insegnamento settimanali di alcune materie, sia perché sono state create classi con più di 28, 29 fi no a 32, 33 alunni, sia perché sono state create “cattedre” con più di 18 ore (aggiungendo 3 ore di straordinario obbligatorio alle ore dei docenti che in questi ordini di scuola lavorano in classe per 18 ore settimanali). Con queste manovre i docenti di ruolo hanno coperto anche i posti che sono disponibili solo per un anno, mediante assegnazioni provvisorie, distacchi per motivi vari, eccetera. Questi posti erano solitamente ricoperti da docenti supplenti, i cosiddetti incaricati, che erano chiamati dal Csa (Provveditorato agli studi) secondo l’ordine di graduatoria. Gli incaricati non sono supplenti che ogni mattina aspettano la telefonata per sostituire il docente ammalato per qualche giorno ma lavorano tutto l’anno nella stessa scuola e spesso tornano nella stessa scuola per più anni di seguito. Stessa situazione si è verifi - cata per il personale ATA cioè amministrativi (addetti alle segreterie) e collaboratori scolastici. La legge di riforma ha previsto anche per queste fi gure un taglio consistente riducendo di diverse unità il personale presente nelle scuole e mettendo in crisi la sorveglianza e la sicurezza degli ambienti”. “Ovviamente queste persone che sinora potevano contare su uno stipendio quasi fi sso da un giorno all’altro si sono ritrovate per strada” conclude Maria, “senza nemmeno la possibilità di usufruire della Cassa Integrazione, che nella scuola non esiste, o di altri ammortizzatori sociali. Le proteste fatte con i sindacati hanno portato all’attenzione del Ministro questa situazione e portato ad un tavolo di concertazione che ha partorito un decreto cosiddetto salva precari che prevede per questi docenti la possibilità di avere una corsia preferenziale per il conferimento delle supplenze brevi, quelle dei docenti o ATA ammalati per qualche giorno. Il decreto li pone sotto ricatto poiché prevede la perdita di tutti i requisiti necessari ad usufruire della indennità di disoccupazione in caso di non accettazione della supplenza”. C’è anche un’altra prospettiva, quella di chi deve giostrare con questa situazione, far calzare al meglio una realtà non gradita, e cercare di trovare soluzione laddove non sempre è possibile, come spiega Gianna Valente, molfettese oggi dirigente del Circolo Benci, scuola primaria e dell’infanzia a Livorno. “Facciamo il caso che i docenti debbano svolgere in classe solo 22 ore: devo dividere le 471ore di tutte le classi per le 22 ore di lavoro di un singolo docente. Fatto: avrò 21 docenti + 9 ore. Dunque solo sul modulo perdo quasi tre docenti. Calma, non devo farmi prendere dal panico, certo dovrò fare la graduatoria di Circolo, dovrò verifi - care i perdenti posto, ma “per fortuna” ho tre precari storici che da anni suppliscono sempre le solite tre maestre. Però l’anno prossimo Veronica, Fabrizia e Patrizia rimangono disoccupate. Ok, sono perse, non è colpa mia, non posso farci niente, anzi devo essere contenta che, almeno sul modulo, non perdano posto insegnanti titolari, ma mi servono comunque almeno tre insegnanti + 15 ore da mettere nelle tre future prime”. Parlavamo pocanzi di Risiko, e l’apprestarsi, ad ogni inizio anno, alla suddivisione delle ore sembra quasi un gioco strategico e logico. Solo che è un gioco sulla pelle di docenti e lavoratori nelle scuole, la posta è uno stipendio in meno, altro che gioco. “Ma come si fa? Le compresenze sono divise tutte in pacchetti di tre ore che avanzano alle singole classi, mica posso fare una classe prima con nove docenti diversi…”, prosegue la dirigente molfettese. “Comincio a intuire che per fare le classi prime con il docente prevalente, dovrò quasi certamente fare il maestro prevalente anche in alcune classi che attualmente funzionano con tre docenti. Signifi ca che alcuni bambini di terza o di quinta, eccetera, perderanno una delle loro insegnanti. Signifi ca che dovrò frantumare l’orario di alcune docenti generiche su cinque o sei classi. Basta, non c’è altro da fare che cominciare a simulare gli organici dell’anno prossimo. Ci metterò tutta la nottata solo per le 16 classi a modulo. Carta e matita, classe per classe, provo a vedere chi resta e chi parte. Comincio a sfogliare modulo dopo modulo, partendo dalle quinte. Ogni modulo un soprassalto, ogni trio spezzato un colpo al cuore. Come glielo dico a questi genitori che non avranno più la maestra Grazia? Come glielo dico a Grazia che dall’anno prossimo deve svolgere il suo orario in cinque classi diverse?”. E poi, ovviamente, aff erma Gianna Valente, c’è una terza prospettiva, la più importante, quella dei bambini: “da qualunque lato lo giri questo garbuglio è indifendibile. Proviamo a guardare i bambini: pensate che i bambini che avevano di fronte il maestro unico di 20 anni fa siano uguali ai bambini di oggi? Ok, diciamo che la geometria euclidea è la stessa di 2000 anni, ma c’è qualcuno che pensa sia la stessa cosa insegnarla ai bambini di oggi rispetto a quelli di 20 anni fa? Vi assicuro che l’accelerazione vertiginosa del cambiamento è perfettamente visibile da un ciclo all’altro, ogni cinque anni i maestri si trovano ad aff rontare caratteristiche, atteggiamenti, stili, aspettative completamente diversi da quelli di 5 anni prima. Allora potevi forse insegnare solo con un discorsetto dalla cattedra e qualche disegnino alla lavagna, ora devi assecondare processi cognitivi totalmente diversi, i bambini hanno meccanismi di pensiero e di attenzione trasformati dalle nuove tecnologie, hanno la disponibilità di un mare di informazioni e di stimoli che li arricchiscono infi nitamente ma fra i quali si perdono con facilità. Hanno anche a casa modelli educativi totalmente diversi da quelli di 20 anni fa. Spesso i genitori non sanno che educare significa anche dare regole, arrivano a chiedere ai loro fi gli cosa debbano fare, talvolta sono presi in ostaggio dai loro bambini e si dimostrano immaturi almeno quanto loro. Basti dire che fi no a 20 anni fa (bei tempi!) se la maestra rimproverava un bambino c’era caso che questo prendesse anche “il resto” dai suoi genitori, adesso c’è caso che ‘il resto’ se lo prenda l’insegnante che lo ha rimproverato. Chi lavora tutti i giorni con i bambini fa i conti tutti i giorni con questa realtà e spesso si trova a fare il terapeuta o il consigliere o l’educatore anche a giovani padri di 30 anni”. Il quadro di caos, di disorientamento di fronte alla Riforma per chi è nella scuola, per chi tenta di entrarvi, e per chi tenta di far coesistere le esigenze di entrambe le categorie è palpabile, da parte di lavoratori dipendenti che, per giunta, devono confrontarsi con un autentico spettro dei giorni, quello del precariato, che non salva dunque neanche l’ambito lavorativo per antonomasia considerato quello dello “statale”. Per loro, il ministro Mariastella Gelmini (che ha anche stretto un accordo con la Regione Puglia, seconda regione in assoluto a farlo, per la promozione della qualità del sistema educativo regionale) ha emesso il cosiddetto decreto “salva precari”, con le disposizioni rivolte a chi, per il 2009-10, è alla ricerca di un incarico o di una supplenza, per altri 12 mesi. Se il decreto basti, rischia di essere la più classica delle domande retoriche.