Uno scenario desolante, una città sporca, caotica, con strade dissestate, servizi carenti o malfunzionanti, in una parola: disamministrata, una “città allo sbando” come è stata definita. E' questo il biglietto da visita di Molfetta, oggi. Ma quel che è più grave è il fatto che il sindaco guarda la “sua” città col cuore non con gli occhi: non vuol vedere il suo sogno frantumarsi contro gli scogli della realtà. E s'inventa ogni giorno una nuova illusione: ieri le palme, i giganteschi ma pacchiani cartelloni pubblicitari agli ingressi della città e quei brutti rachitici ulivi collocati sotto il ponte; oggi il “porto delle meraviglie” con navi che vanno e vengono salutate da altre palme sulle banchine (“Tripoli, bel suol d'amore”) portando lavoro, ricchezza e felicità.
E per realizzare questo sogno, ha gettato alle ortiche tutto il suo passato, seppellito i suoi maestri, mettendo su un'accozzaglia di maggioranza, tenuta insieme solo dal collante di interessi e dal desiderio di apparire di personaggi che in passato non avrebbero potuto aspirare nemmeno al “ruolo” di portaborse, ma solo a quello di “lustrascarpe” e che oggi si ritrovano a ricoprire ruoli istituzionali. E quest'armata Brancaleone, va avanti incurante delle rovine che si lascia alle spalle. Non sono ancora rovine materiale (e ci auguriamo non lo siano mai), ma rovine istituzionali e gestionali: dal logoramento dei rapporti con l'opposizione ai diritti dei cittadini; alla distruzione dello stato sociale a cominciare dalla sanità.
L'imperativo è uno solo: “occupare” tutto quello che è possibile, ma non basta: occorre moltiplicare le poltrone, e non basta: occorre inventare nuovi incarichi per accontentare un esercito di clienti che accresce questa armata brancaleone numerosa, ma minoritaria, facoltosa, ma povera d'animo e soprattutto di democrazia. Ha solo il culto del presenzialismo esasperato e della “visibilità”.
Sono passati oltre due anni e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: arroganza, risse, povertà culturale, miseria intellettuale e culto della personalità. Tutti fattori pericolosi per la democrazia. Questa destra non ha alcun senso civico, né tantomeno democratico. Tutto ciò non è immediatamente visibile, la gente non l'ha ancora percepito, forse comincia a sentire appena un leggero solletico sulla propria pelle, ma questi “fattori” incidono profondamente sul tessuto democratico di una città che, anche nei suoi tempi peggiori, ha avuto sempre una tradizione di tolleranza e di culto della democrazia. Una città libera, dove nessun podestà ha mai potuto imporre la propria volontà e quando lo ha fatto, è stato miseramente sconfitto.
Una città che ha fatto della cultura del dialogo un fiore all'occhiello, salvaguardando sempre le istituzioni. Una città dove un sindaco si è fatto ammazzare pur di non cedere a ricatti e clienti.
Oggi, invece, assistiamo alla prepotenza dei numeri, al rifiuto di ogni controllo democratico, all'arroganza del potere fine a se stesso e a meri interessi politici. Il palazzo e i documenti sono diventati inaccessibili perfino ai consiglieri comunali, per ordine del sindaco. Tant'è che Beniamino Finocchiaro è arrivato a definire “federale voltagabbana” l'attuale sindaco Tommaso Minervini, un tempo suo allievo prediletto.
Ci mancava solo il sexygate, e ora c'è anche quello. Ma per il sindaco sarebbe una “barbarie” l'uso che la stampa fa della vicenda di un consigliere comunale accusato di molestie, di presunti tradimenti. “Si tratta di rapporti privati”, replica Minervini alle opposizioni che chiedono le dimissioni del consigliere indagato, ma ci sono anche gravi accuse fatte dalla signora che racconta di confidenze su presunti favoritismi da parte dello stesso politico utilizzando la propria carica, tutto messo in piazza da qualche avvocato in cerca di popolarità e di disperata visibilità. Non siamo più, allora, di fronte a una vicenda privata, ma a fatti pubblici, che, se veri, non possono essere taciuti o ignorati, pena la complicità. Se falsi, vanno denunciati e va denunciato chi diffonde certe notizie, che la stampa ha solo il dovere di cronaca di pubblicare, soprattutto se si tratta di atti processuali. No, caro sindaco, è il silenzio che “contamina le istituzioni”, non la diffusione di notizie che toccano le funzioni pubbliche esercitate “in nome del popolo”, come direbbe qualcuno.
Non si può invitare la stampa ad “accompagnare un processo di crescita” e poi parlare - in occasione del 25 aprile, per compiacere una destra revisionista - di piombo degli intellettuali, accusando la stampa di seminare odio, quando fa il proprio dovere in un paese democratico, dove il suo primo compito è proprio quello di criticare, quando è necessario, chi ricopre una carica pubblica, con buona pace del presidente Berlusconi. Non dimentichiamo che negli Stati Uniti, tanto cari a certa destra, la stampa ha fatto dimettere un presidente. Ma la strada dell'indice puntato contro i giornalisti, è pericolosa, additarli all'opinione pubblica come responsabili della demolizione delle istituzioni, per coprire proprie incapacità gestionali, è grave e inaccettabile. Così si incita alla violenza. E ci chiediamo, alla luce di questi fatti: la democrazia è proprio finita a Molfetta? Ora che la mutazione politico-antropologica del sindaco è completata, cosa dobbiamo aspettarci?
Come fa il sindaco a pretendere di parlare ai giovani (“ascoltando i consigli di mia figlia adolescenziale, per capire i loro problemi”) se non s'insegna loro il primo principio civile, la democrazia, soprattutto con l'esempio? Come si fa a parlare in tv, nel corso di un'intervista fatta in ginocchio da una giornalista amica, “di ricercare la coesione sociale” quando non ci si presenta nemmeno in consiglio comunale e si impone la legge della maggioranza, senza discutere, ma solo alzando le mani per approvare ciò che è stato già deciso altrove, negando perfino il diritto di parola all'opposizione. In questo modo si offende la principale istituzione democratica cittadina: il consiglio comunale. In questa situazione parlare di “riconciliazione nel nome di don Tonino” sfiora la bestemmia.
E dice ancora in tv: “Abbiamo gli uomini migliori e i valori migliori della città e vogliamo unire le intelligenze e le risorse migliori di questa città”. Un'affermazione che non richiede commento: il sindaco dovrebbe guardarsi un po' intorno, ripetiamo, con gli occhi e non con il cuore. E infine esprime un giudizio sul suo maestro Finocchiaro: “è l'uomo giusto per scrivere la storia di questa città”. Lo sta facendo, cominciando dai nostri giorni: “è vero che il malgoverno degli attuali amministratori rasenta il displuvio della corruzione e dei profitti personali. Ma essendo, ormai, pratica generalizzata quella delle malversazioni amministrative, meglio che a profittarne siano persone amiche che non gente emergente da altre formazioni”; “una nuova tipologia di democrazia locale. Una democrazia per piagnoni e per servi”: per citare solo l'ultimo articolo di Finocchiaro apparso su “Controcorrente” di gennaio-marzo 2003. E' questa la storia, che sta scrivendo il suo “maestro”, verso il quale il sindaco nutre ancora affetto e rispetto?
Quali sono i progetti di quest'amministrazione, che non siano quelli di portare a termine ciò che è stato avviato dal precedente governo di centro-sinistra? Amministrare così è facile per chiunque. Quali sono gli investimenti, al di là delle cifre e delle utopie contenute nel bilancio e nei programmi? Quelli sognati con improbabili project financing, parola che suona bene ma che funziona male, almeno a Molfetta: dove sono i privati che si accollano il costo delle opere pubbliche in cambio della gestione? La storia dei parcheggi che pubblichiamo in questo numero è emblematica. Quali prospettive occupazionali si vogliono creare per i giovani?
Ma in tutto questo scenario desolante, l'opposizione è assente e divisa. Occorre parlare alla città fuori del consiglio comunale, incontrare la gente per strada, nelle piazze, nelle case, se necessario. Per fare politica oggi occorrono soldi, tanti soldi e il centro-sinistra non ne ha. Ma queste iniziative non costano: occorre tempo, volontà, determinazione. Sull'ultima uscita pubblica dei rappresentanti del centro-sinistra, è meglio stendere un velo pietoso. E con i veli pietosi si coprono le salme.
Autore: Felice de Sanctis