Il giornalismo degli insulti e delle mistificazioni a Molfetta
Ci sono, a Molfetta, voci simpatiche che si divertono a viziare l’informazione e a diffondere un’immagine della realtà completamente distorta. Si sa, non sono un fan della realtà oggettiva e della verità, il reale è sempre rimesso alle nostre categorie e alla nostra visione. Quello che, però, fa il solito blog molfettese che discute con se stesso (e che non guarda più nessuno), è confondere totalmente gli avvenimenti cittadini e ingabbiarli in una narrazione mistificante, in cui i comitati di quartiere diventano assimilabili ai centri sociali, ogni forma di cittadinanza attiva è riconducibile al comunismo sovietico e in cui persino la categoria dei “talebani” serve a mescolare, etichettare, denigrare l’associazionismo, personalità delle più varie e persino l’arte. Ora, il problema qui non è confutare questa fantasiosa mescolanza di codici, categorie, etichette che dipingono Molfetta come un grande soviet a cielo aperto, come il marxismo realizzato in forme così ortodosse da far invidia ai primi momenti successivi alla rivoluzione d’Ottobre. Colui che gestisce il blog in questione è sicuramente un postmoderno che fa valere con ardore l’aforisma nietzscheano secondo cui “non esistono fatti, solo interpretazioni”. E la sua descrizione di Molfetta, per quanto astratta, fantasiosa, a tratti simpatica e piacevolmente illusoria per chi, in fondo, coltiva antiche simpatie sovietiche, è pur sempre un’interpretazione. Il problema è che l’aforisma di Nietzsche prosegue dicendo “E anche questa è un’interpretazione”. A questo punto il gestore del blog comincia anche ad allontanarsi dalle teorie postmoderne, e il mio maestro Vattimo si sentirebbe offeso dalla mia prima definizione, guardando gli insulti, anche personali, l’assolutezza della visione, la negazione del confronto e della relatività delle proprie idee, che caratterizza gli interventi del blog. Purtroppo la retorica dei talebani, degli “imbecilli”, dei comunisti figli di papà che cercano di occupare il proprio tempo è una trama che spacca la città in due tronconi: i buoni e i cattivi. I secondi, però, sono disincarnati, imbrigliati in un marasma inestricabile di ideologia che priva di dignità le rivendicazioni, l’impegno dei cittadini e delle associazioni, il lavoro di artisti e lavoratori dell’informazione e della conoscenza, le idee di una parte di città.
Questo non è giornalismo e una costruzione così manichea della realtà non fa che alimentare odio, rancore, invidie, impedendo di costruire spazi di confronto e di elaborazione di alternative e di spazi di convivenza. Il giornalismo di opinione non può che porsi in maniera dialettica rispetto ai processi reali, fornendo spunti, anche critici, che possano favorire il confronto e la discussione nel rispetto delle differenze. Confondere tutto nella “notte in cui tutte le vacche sono nere”, per diffondere falsi miti e stimolare una caccia alle streghe, ai comunisti e ai talebani, significa precludersi qualsiasi possibilità di offrire un contributo alla città. Perché Molfetta non è il romanzo fantasioso del fantomatico blog di cui parliamo. E’ una città attraversata da processi di soggettivazione, da relazioni sociali delle più varie, spesso sussunte in logiche di neutralizzazione e annichilimento, ma altrettanto spesso innervate di slanci emotivi, aperture all’alterità, coraggio di vivere e di affermarsi. Anche in un tessuto produttivo isterilito e diviso in due città, anche nella crisi dell’orizzonte comunitario, anche nell’estetizzazione che caratterizza cultura e grandi eventi, c’è una Molfetta che vive, pulsa e chiede spazi di cittadinanza. E’ la Molfetta reale, oltre le miserie delle mistificazioni.
Autore: Giacomo Pisani