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“Dove c’è Cristo non c’è crimine”
15 settembre 2020

Dopo l’uccisione di George Floyd da parte della polizia, si sono verificati negli Stati Uniti numerosi tumulti che hanno coinvolto la popolazione americana, ma che purtroppo, come altre volte, non si sono estese a tutto il Paese, mettendone in crisi la sua struttura economico-sociale. L’unica novità è stata l’abbattimento di alcuni monumenti che celebravano avvenimenti o personaggi che in qualche maniera simboleggiavano la mentalità profondamente razzista di parte di quella nazione. Il fatto non è nuovo. Nel corso della storia i nuovi regimi politici, specie se giunti al potere dopo anni di aspre lotte, procedono, quando non alla eliminazione fisica dei vinti, sicuramente alla damnatio memoriae dei simboli del regime. Giudicare la liceità di tali vendette non è sempre facile, perché presuppone quei famosi giudizi di valore intorno ai quali la scienza e gli interessi politici dibattono da secoli senza trovare un accordo. Uno degli esempi più violenti e radicali di eliminazione dei simboli di un’epoca sconfitta, in questo caso una religione, risale alla seconda metà del IV secolo dopo Cristo: la distruzione dei templi pagani, o la loro conversione in chiese cristiane. Nella storia dell’umanità non c’è stato alcun momento di rottura più importante di quello che segna la fine del mondo antico e il conflitto finale tra paganesimo e cristianesimo, un conflitto che giunge alla sua conclusione nei primi anni del V secolo. Di questo grande evento la vicenda dei templi è solo una parte. Ne faremo ora un brevissimo cenno. Come è noto, nell’ Impero Romano tutti i culti erano sostanzialmente tollerati, a patto che non turbassero l’ordine pubblico, la decenza e che riconoscessero la divinità dell’Imperatore. Quanto ai templi, erano edificati e conservati a spese dello Stato e di ricchi benefattori. La religione capitolina non prevedeva una casta sacerdotale gerarchizzata e fissa, ma pochi addetti alla custodia degli arredi, alla raccolta dei donativi ed alla celebrazione dei sacrifici. Il Pantheon romano accolse ed assimilò anche i culti orientali, molti dei quali erano di evidente matrice soteriologica, a cominciare da quello di Iside, la dea più venerata della tarda antichità. Inoltre molti intellettuali pagani aderirono e diffusero la filosofia neoplatonica, che ebbe molta influenza sulla sistemazione teorica della teologia cristiana. Dopo circa tre secoli di persecuzioni, durante i quali innumerevoli cristiani preferirono la morte più orribile alla abiura della propria fede, nel giugno del 313 Costantino e Licinio promulgano a Milano un editto di importanza capitale per la storia dell’Occidente. Trascriviamo le parti salienti: “Abbiamo così deliberato di accordare ai cristiani ed a tutti gli altri la libertà di praticare la religione che preferiscono, affinché la divinità che risiede nel cielo sia propizia e favorevole tanto verso di noi, quanto verso tutti coloro che vivono sotto il nostro dominio ... È cosa degna del secolo in cui viviamo, e opportuna per la tranquillità dell’Impero, che esista in tutti i nostri sudditi una libertà completa di adorare il dio che hanno scelto, e che nessuno venga privato degli onori che gli sono dovuti”. Costantino ebbe le sue buone ragioni nel voler emanare questo editto, e sono ragioni di ordine politico, più che religioso. Sta di fatto che a molti contemporanei sembrò che dopo tanto spargimento di sangue, si aprisse per l’Impero un periodo di pace religiosa. Purtroppo non fu così. Nel 380 l’Imperatore d’Oriente Teodosio con l’editto di Tessalonica, firmato anche in Occidente dal suo omologo Graziano, dichiara il Cristianesimo unica religione ufficiale di tutto l’Impero e proibisce i culti pagani. Infine, la legge del 14 Novembre 435, promulgata da Teodosio II e Valentiniano chiude definitivamente il cerchio: “A tutte le scellerate menti pagane proibiamo le esecrande immolazioni di vittime e sacrifici condannati e tutte le altre pratiche già proibite per l’autorità di sanzioni precedenti; e tutti i loro santuari, templi e luoghi sacri, se ancora ve ne sono di integri, ordiniamo che siano distrutti al comando dei magistrati, e purificati con la collocazione in sede della religione cristiana. Se si stabilirà di fronte al magistrato competente, con prove idonee, che qualcuno ha violato questa legge, questi sia messo a morte”. In poco più di un secolo si era passati dalla tolleranza verso tutti i culti alla persecuzione dei pagani. Questa evidente ciclicità delle dinamiche storiche, uno dei capisaldi della saggezza antica, avrebbe forse dovuto instillare qualche dubbio ai nuovi adepti: ma gli zelanti neofiti avevano ben altri progetti, e ben altre pratiche: non avevano tempo per queste sottigliezze filosofiche, anzi spesso le ignoravano del tutto. La legittimazione imperiale della violenza anti pagana procede in perfetta simbiosi con la libellistica pseudo storica. Dopo la battaglia di Ponte Milvio, Lattanzio annuncia al mondo la vittoria cristiana con un libro orribile De mortibus persecutorum, dove, animato da un odio implacabile, invoca la vendetta divina sugli sconfitti. Nell’opera De errore profanarum religionum che Firmico Materno dedica ai due figli di Costantino, Costanzo e Costante, un vero e proprio manuale della perfetta intolleranza, l’autore dichiara che è vietato mostrare qualunque pietà nei confronti del pagano, bisogna lapidarlo, metterlo a morte “anche se fosse tuo fratello, tuo figlio, o la donna che dorme sul tuo petto”. Si potrebbero citare altri esempi di questo spirito di vendetta che fu in parte spontaneo, in parte incoraggiato dai funzionari imperiali che beneficiavano dei cambiamenti, e soprattutto dai vescovi che, per dirla in soldoni, per ogni tempio distrutto vedevano rimpinguarsi la propria borsa. Ma bisogna pur dire che i cristiani avevano subito secoli di orribili persecuzioni, sopportate con incredibile coraggio e fede incrollabile. La loro reazione al momento della vittoria è quindi comprensibile, ma non altrettanto giustificabile. È vero anche che per tutto il IV secolo i pagani furono ancora numerosi ed attivi, soprattutto nelle classi alte ed ebbero le capacità intellettuali, economiche ed anche morali di resistere e di reagire. La battaglia fu lunga e difficile. Diverso è il discorso strettamene religioso che attribuisce il trionfo di Cristo alla sua “Verità”. Siamo qui nel campo, pur rispettabilissimo, della fede, non della storia. In realtà il cristianesimo, moralmente superiore ai suoi avversari, conquistò e organizzò le masse, le sostenne materialmente e diede loro un’arma invincibile: la Speranza. I pagani credevano l’uomo inestricabilmente plasmato di bene e di male, incapace e impossibilitato a redimersi e a essere redento. L’effimera felicità concessagli dal caso durava quanto la sua vita mortale. Poi c’erano il nulla e il buio dell’Ade. Ma torniamo ai nostri templi. L’abbattimento dell’edificio era preceduto da una serie di operazioni. In generale le statue degli dei vengono estratte e pubblicamente derise; vengono poi legate e trascinate lungo le vie della città; infine sono mutilate, spezzate, distrutte col fuoco e poi gettate in un forno o in un fiume. Un inestimabile patrimonio artistico viene sottratto al godimento dei posteri. Pensiamo soltanto alla statua di Atena nel Partenone e a quella di Zeus nell’omonimo tempio di Olimpia, entrambe scolpite da Fidia. Gli arredi preziosi erano depredati. Spesso, per i templi più grandi, gli zelanti distruttori non avevano la possibilità tecnica ed economica di raderli al suolo. Venivano allora abbandonati ed il tempo, i terremoti, l’incuria e poi l’invasione araba (un altro cambio di regime!) si incaricavano di completare l’opera. Oppure di procedeva alla loro trasformazione in chiese, modificando o adattando il colonnato e la cella. Una conversione di questo genere è ancora ben visibile nella cattedrale di Siracusa, già tempio di Atena. Scarse, ma di grande spessore culturale, sono le voci che si levarono contro questi scempi. Parliamo di quelle pervenute fino a noi, perché molte altre furono scientemente distrutte dai vincitori. Flavio Claudio Giuliano, imperatore dal 361 al 363, è figura troppo nota per ridurla a poche parole in questa sede. Ricorderemo soltanto il suo tentativo, interrotto dalla morte prematura, di restaurare in un clima di generale tolleranza religiosa il culto degli dei. Ecco un brano della sua biografia scritta da Ammiano Marcellino, il più grande storico pagano della tarda antichità. “Venuto il tempo di fare ciò che voleva (Giuliano) rivelò gli arcani del suo petto, e con decreto esplicito ed assoluto stabilì che si riaprissero i templi, che si presentassero le vittime agli altari e si restaurasse il culto degli dei. E per rendere più efficaci queste disposizioni, chiamava alla reggia i vescovi dissidenti dei cristiani, con le loro plebi, e cortesemente li ammoniva che, sopite le discordie, ognuno servisse la propria religione. Giuliano faceva ciò nella convinzione che la licenza avrebbe aumentato le discordie, e così egli non avrebbe avuto più tardi a temere una plebe unanime contro di lui. Sapeva infatti per esperienza che non vi erano belve tanto feroci contro gli uomini, quanto lo sono i cristiani fra di loro”. La morte di quest’uomo fu accolta con incontenibile gioia dai cristiani e la sua memoria infangata da una quantità abominevole di menzogne, tanto era stato il terrore che il suo valore e la sua determinazione avevano provocato in loro. Libanio, scrittore greco nato ad Antiochia nel 314, fu il più importante degli autori pagani fioriti nell’ultimo risorgimento della sofistica, in reazione al sempre maggiore affermarsi della religione cristiana. Scrisse moltissimo e le sue opere ci sono pervenute in gran parte: fu deciso avversario del cristianesimo, al quale rimproverava, tra l’altro, di negare i valori della bellezza e della ragione. Fu maestro di Giuliano. Intorno al 385 scrisse un’operetta intitolata All’imperatore Teodosio in difesa dei templi. Leggiamone un breve brano in cui si scaglia contro i monaci: “Questi uomini vestiti di nero, che mangiano più degli elefanti, che stancano, per l’abbondanza delle coppe che tracannano coloro che versano loro da bere al suono dei loro canti, o Imperatore, in violazione delle leggi in vigore, corrono contro i templi portando legne, pietre e ferro. E poi, i tetti vengono tirati giù, i muri diroccati, le statue abbattute, gli altari rovesciati, i sacerdoti costretti a tacere o a morire”. Segue ora un piccolo elenco di templi distrutti: sono tra i più grandi e belli dell’antichità. Nel 335 fu distrutto a Gerusalemme il tempio di Afrodite, voluto da Adriano dopo la rivolta giudaica e la distruzione della città. Un tempio oracolare dedicato alla stessa dea fu abbattuto sulla cima del monte Libano, presso Afaca. Eusebio, vescovo di Cesarea, uno storico molto poco attendibile scrive che nel santuario si praticava la prostituzione sacra e si tollerava l’omosessualità. Particolarmente colpita fu la devozione pagana nei confronti di Asclepio, dio della medicina e delle guarigioni, in molte iscrizioni definito “salvatore”. Almeno due templi a lui dedicati risultano abbattuti per ordine di autorità cristiane: quello di Corinto e quello di Aigai, in Cilicia, famoso per le sue cure ritenute miracolose. Marco Diacono nella biografia del vescovo Porfirio descrive la distruzione avvenuta a Gaza del tempio di Zeus Marnas, diretta con zelo esemplare dallo stesso prelato. A Palmira, il tempio di Allat-Atena fu raso al suolo per ordine di Materno Cinegio, prefetto del Pretorio d’Oriente, prode e solerte demolitore di santuari, compreso quello di Edessa. Anni dopo orde di fanatici, guidati da Scenute di Atripe, un autentico psicopatico, armate di randelli, pattugliavano le città dell’antico Egitto alla ricerca di idoli pagani e al grido “Dove c’è Cristo non c’è crimine”. Nel 391, dopo numerosi e sanguinosi tumulti, fu distrutto in Egitto il Serapeo di Alessandria, un’altra delle meraviglie antiche. Infine, nel 415, sempre in Alessandria, veniva assassinata da una banda di monaci neri Ippazia, giovane filosofa neoplatonica. Alla fine del IV secolo dopo Cristo, la maggior parte dei templi pagani giaceva in rovina in Asia Minore e nei deserti della Siria e della Mesopotamia. Si erano parzialmente salvati solo quelli convertiti in chiese. Ma, due secoli dopo, anche questi venivano abbattuti dalla marea musulmana. Un giudeo palestinese aveva scritto sette secoli prima: «Ciò che è stato sarà, e ciò che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole. C’è forse qualcosa di cui si possa dire “Guarda, questa è una novità?”». © Riproduzione riservata

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