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Chiara Muti: il teatro, la mia vita. Molfetta, i miei ricordi più belli
15 febbraio 2016

La musica, il teatro, sono da sempre la sua vita. L’hanno accompagnata fin dall’infanzia: si nascondeva tra le quinte per assistere a tutte le prove musicali, anche quando a 8 anni, affascinata da Giorgio Strehler, seguiva proprio le prove delle Nozze di Figaro alla Scala con la sua regia e la direzione del padre, il grande Maestro Riccardo Muti. E “rubava” il mestiere a colui che sarebbe stato il suo maestro di recitazione, tanti anni dopo, al Piccolo di Milano Lei è Chiara Muti, 42 anni, sposata col pianista francese David Frey, dal quale ha avuto una bambina, è cantante, attrice, regista, una bellezza severa con due occhi lucenti che ti fissano trasmettendo una sensazione di sicurezza e di rigore, anche con se stessa. Sorrisi appena accennati: solo quando parla del padre, della famiglia, della bambina, di Molfetta. Gli stessi “difetti” di famiglia: rigore e perfezionismo. È a Bari per dirigere al Teatro Petruzzelli, “Le nozze di Figaro” di Mozart. La incontriamo dopo la conferenza stampa di presentazione dell’opera. Per assistere al debutto nella Puglia del “babbo”, è scesa da Ravenna anche mamma Cristina Mazzavillani: un’occasione in più per stare con la figlia che vive a Parigi. Accetta di farsi intervistare da “Quindici”, la rivista di Molfetta, per parlare del suo lavoro e dei suoi ricordi d’infanzia nella nostra città, soprattutto nel periodo pasquale, per assistere alle processioni e salutare i nonni. Ha scelto lei la regia lirica, è un suggerimento paterno o un omaggio al grande Maestro? «Il teatro l’ho scelto da quando ero piccola, prima la musica poi il teatro in musica. La regia l’ho coltivata dall’inizio. In qualità di attrice facevo la regia dei miei spettacoli. Quindi una regia nella prosa e poi pian piano mi dicevo che volevo passare alla regia d’opera perché il mio amore per l’opera è sempre stato fortissimo. È stato mio padre a chiedermelo la prima volta che mi chiamò e mi disse pensavo a te per la Sancta Susanna di Hindemith. Ovviamente me lo chiede mio padre quindi quale migliore occasione per cominciare se non con il Maestro». Lui è molto critico sulle regie che vengono fatte di alcune opere liriche… «Criticissimo! So com’è, non sopporta quando le opere vengono maltrattate. Non si tratta di moderno o non moderno, ma è una questione morale, di concetto. Quando la musica è utilizzata per far sì che qualcuno anteponga dei suoi messaggi personali o delle sue idee stravaganti a quello che è il valore del testo e i concetti che il testo vuole esprimere, allora mio padre non sopporta che questo avvenga. Lui fa un lavoro talmente minuzioso musicalmente. Se qualcuno gli va contro dice io costruisco e c’è qualcuno che distrugge. È un lavoro che deve essere d’équipe musicale». Il Maestro ritiene che la conoscenza della musica sia essenziale per la regia? «Per me è essenziale o almeno l’amore per la musica se non la conoscenza. Io ho la fortuna di poter avere uno spartito, leggerlo, cantarlo e agendo in scena posso far capire davvero quello che voglio fisicamente nelle vesti di attrice che canta. Ci sono dei mezzi per far sì che le persone riescano ad intuire dove si deve arrivare per la costruzione del personaggio, però la conoscenza della musica ed il rispetto della musica è fondamentale. Questo non significa fare unacosa banale perché queste opere nascondono in sé talmente tante sfaccettature che se già ci si mette umilmente a cercar di tirar fuori una parte, è già tanto lavoro fatto». Per quanto riguarda “Le nozze di Figaro”, lei era bambina quando ha seguito le prove in teatro le prove dell’allestimento di Strehler con la direzione di suo padre. «Ogni tanto quando sono lì e vedo i miei cantanti che pian piano si appropriano di quello che abbiamo cercato di fare che è abbastanza emozionante, perché questa musica è ancora lì, è ancora nuova, è qualcosa che ti sorprende quando fa parte di te da quando avevi sei anni. Questa cosa di ritrovare sempre questa freschezza nella musica e questa forza che è racchiusa nel messaggio della musica, sempre ogni volta come se fosse nuova, è vero è sorprendente, un miracolo. In fondo Mozart e Da Ponte sono per me come un amore, un primo amore che non si brucia mai quindi questo miracolo del cuore che batte per la prima volta e non si arrende alla quotidianità. Mozart sopravvive ad ogni forma di quotidianità». Come mai lei è l’unica della famiglia ad aver seguito la strada artistica, pur avendo due genitori che vivono da sempre in questo settore culturale? «Non lo so. I miei fratelli non hanno mai avuto questa passione, poi più avanti si sono avvicinati alla musica, ma non hanno mai avuto la passione per il teatro». È vero che suo padre l’aveva criticata quando era piccola perché aveva provato a cantare? «No, non era così. Hanno scritto male quello che volevo dire. La verità è che mio padre siccome è un perfezionista, anche ad una bambina piccola che provava a cantare, diceva aspetta di essere un po’ più grande per cantare, perché una bambina piccola non ha ancora la voce. Non ho mai voluto fare la cantante, volevo fare l’attrice che canta. Ho cantato in quasi tutti i miei spettacoli, però il teatro per me era più importante. Adoro la musica ma il teatro per me è la cosa più importante e per questo sono andata alla scuola di musica di Strehler». Le piace di più essere attrice o regista? «Tutte e due. Una non esclude l’altra. Continuo a fare l’attrice, ma soprattutto le mie cose in teatro». Con suo padre cosa ha in comune, il perferzionismo? «Sì una gran disciplina e il rigore di cercare di essere al servizio di opere che per me visto che le conosco così profondamente, sono più importanti di me e del mio ego. Mio padre mi ha sempre insegnato questo. Stranamente lui che è sempre stato considerato un uomo molto egocentrico, al contrario è un uomo di un’umiltà straordinaria. E’ sempre di fronte a queste partiture quando le apre per la centesima volta per reinterpretarle, lo vedo come uno scolaro di fronte ad un’opera insormontabile anche adesso che ha 74 anni lo vedi che ancora riapre una partitura con la stessa umiltà e forma di chi deve ristudiarla dalla prima nota e questo pochi lo fanno. Molti sono presi da forme di istrionismo, mentre mio padre ha una disciplina e questo senso di rigore nel rapporto con le opere, me lo ha passato. Io cerco di seguirlo con grande rispetto». La presenza di suo padre come è stata: ingombrante, discreta, autoritaria? «Discreta, anzi discretissima, io lo sentivo attraverso le sue opere» Quanto le è ha pesato l’assenza di suo padre? «Non tanto, ascoltavo sempre la sua musica. Io sento di più la mancanza di mia figlia, sarà perché sono la mamma e il rapporto è diverso, oggi si vuol fare un po’ di confusione sui ruoli. Mia figlia di cinque anni, soffre di più la mia mancanza che quella di mio marito. I figli quando sono piccoli hanno bisogno della mamma, c’è poco da dire la mamma è una figura fondamentale. Questa è la cosa che soffro di più quando manco, poi però lo devo fare perché è molto importante che non tradisca me stessa. Il mio lavoro mi chiama e lo devo fare e sarà bene anche per mia figlia perché non ci si deve mai sacrificare o spegnere». Suo marito è un pianista, vero? «Mi sono innamorato di qualcuno che era innamorato della musica. Non avrei mai potuto innamorarmi di qualcuno che non amasse la musica. Era impossibile. Per me la musica è stata fondamentale. Mi sono innamorata di mio marito vedendolo in scena suonare. Poteva essere un’infatuazione, ma invece c’era della verità. Quindi ancora la musica ha legato in maniera definitiva. Galeotta fu la musica». Che ricordi ha di Molfetta? «Molti, abbiamo tutti i video delle processioni di quando eravamo piccolini. A tre o quattro anni giravamo io e mio fratello per i vicoli, perché tutte le volte andavamo a trovare il nonno Mimì e anche quando eravamo più piccoli il bisnonno Donato Muti mi ricordo anche di lui. Passavamo tutte le Pasque a Molfetta per le processioni per tanti tanti anni. Ho un ricordo vivo e adesso stiamo parlando con la famiglia e ora che i bambini sono un po’ più grandi, per vedere se riusciamo a ricominciare questa tradizione tra tutti i Muti di ritrovarci a Molfetta a Pasqua. Ognuno di noi vive in un posto diverso io vivo a Parigi, ma ci teniamo incontatto con la nuova tecnologia che ci aiuta». Cosa le piace di più di Molfetta? «Intanto i racconti di mio padre perché lui ci racconta tutta la sua infanzia, le biciclettate per arrivare a Castel del Monte. Quindi una storia che noi rivediamo attraverso gli occhi di mio padre quando racconta. E poi, chiaramente, mio padre ci ha parlato del suo amore per le bande, le processioni, questo mondo che rischia di perdersi, ma non si deve perdere perché sono le nostre tradizioni che l’hanno nutrito e lui ha nutrito di racconti la nostra infanzia. Perciò, quando torniamo a Molfetta, è come tornare un po’ a casa. Stranamente, anche se non ci abbiamo mai vissuto». Quanto si sente molfettese pugliese? «Mio padre mi dice: “tu hai il sangue pugliese nelle vene, non dimenticarlo mai”. Per lui è una fierezza. Dice anche: “hai il sangue napoletano perché tuo nonna era napoletana mentre tuo nonno era di Molfetta; di questa forza che hai del Sud, della terra del Sud devi esserne fiera”. Mio padre è paladino di quelle che sono le tradizioni dell’Italia e soprattutto del Sud. E’ molto legato alla sua terra. Lui è solo nato a Napoli, ma è cresciuto a Molfetta. E di Molfetta sono pervasi tutti i suoi ricordi. Al liceo è passato a Napoli, la madre era una fiera napoletana. Mio padre ha veramente i due aspetti: quello partenopeo e quello pugliese. Andando avanti la voglia di ritornare nella terra della sua infanzia è sempre più forte. Appena può torna». Che cosa dei ricordi di suo padre le è rimasto più impresso? «Ci ha raccontato tanto anche della sua vita privata, ma sicuramente tutto quel mondo dell’Italia nel dopoguerra, l’infanzia nel Sud. Della vitalità dei giovani per strada, l’atmosfera, il periodo storico, i colori della terra rossa, gli ulivi secolari, i profumi dell’olio, il mare le abitazioni bianche: è un mondo surreale. La Puglia è un luogo magico che oggi viene riscoperta dal mondo chic e snob, ma mio padre ce lo fa vivere attraverso quelle che sono le magie vere di quello che è la Puglia. Una regione bella, incredibile, meravigliosa. Lui quando può tra tutti i suoi viaggi nel mondo (adesso è a Taipei), appena può e ha un minuto va a Molfetta per fare un giro solo per sentire l’odore della sua terra. Penso sia tipico di un momento della vita, quando si vuole ricucire con il passato». Al Maestro Muti è rimasta dentro Molfetta. Ha anche influito sulla sua cultura personale? «Sì, sicuramente, poi il suo grande amore per Federico II di Svevia, i misteri del Castel del Monte. Lui è un affezionato di tutto quel mondo e di tutta una cultura altissima che c’è stata nel Sud Italia. È un cultore di un epoca».

Autore: Felice de Sanctis
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