di Marco de Santis
Con una buona tazzina di caffè non ci si ristora soltanto. Si può anche chiacchierare con un amico, parlare di politica e scambiare notizie culturali.
Quanto è antico questo “vizio” in Italia? La storia parla di più di tre secoli e mezzo. Pare che la prima bottega da caffè in Europa sia stata aperta nel 1640 a Venezia. Tuttavia pure Milano e Torino, e all'estero Vienna, Amburgo e Parigi rivendicano antiche caffetterie.
Oggi in Italia ci sono diversi locali storici, sopravvissuti a rivolgimenti e guerre, il cui solo nome evoca tutta un'atmosfera. Ecco la mitica bottega veneziana di Floriàn, ossia Floriano Francesconi, che fu inaugurata in piazza San Marco il 29 dicembre 1720 nello splendido scenario rinascimentale delle Procuratie Nuove. La gaudente Venezia non si lasciò sfuggire la novità e in breve la bottega fu invasa da gentiluomini e dame, a cominciare da quello zerbinotto di Giacomo Casanova. Alla mescita di Floriàn s'ispirò Carlo Goldoni quando, nel 1750, scrisse la commedia La bottega del caffè. Ben presto l'occhiuto governo veneziano mandò alcuni delatori a mescolarsi tra i clienti di passaggio, per carpire informazioni. Fra i suoi tavolini si aggirarono gli spiriti inquieti di Rousseau, Pindemonte, Foscolo, Goethe, Nievo e Wagner. Nel 1848, il “Caffè Florian”, frequentato dai cospiratori Daniele Manin e Gustavo Modena, fu trasformato in infermeria per i dimostranti antiaustriaci feriti. Dopo un quindicennio fu ristrutturato e dal 1865 ha conservato il suo aspetto caratteristico con i lumi sostenuti da puttini e baccanti, i dipinti difesi da solidi vetri e i divani di velluto rosso.
Celebratissima fu anche la bottega di Antonio Pedrocchi, nel cuore di Padova, a due passi dall'ateneo. La leggenda vuole che il titolare avesse disposto per testamento che non fosse negato a nessuno, soprattutto agli studenti universitari, il posto, l'ago e il filo per rammendare il vestito e l'ombrello in caso di pioggia. Nell'estate del 1789 il caffè fu teatro di una famosa disputa tra il conte Carburi, professore patavino, e l'abate Fortis, illustre scienziato padovano. Questi, contro l'opinione del cattedratico, sostenne la mineralità della nitriera del Pulo di Molfetta. Del caso s'interessarono studiosi e viaggiatori di mezza Europa. Fra i suoi clienti ci fu anche Stendhal.
Il nuovo “Caffè Pedrocchi” fu edificato sulla vecchia bottega e inaugurato il 9 giugno 1831, sesto centenario della morte di Sant'Antonio. Ma la costruzione neoclassica, cominciata nel 1826 su progetto dell'architetto veneziano Giuseppe Jeppelli, fu ultimata solo nel 1842 col completamento del piano nobile comprendente le Sale Egizia, Etrusca e Greca. Durante il Risorgimento il caffè fu luogo d'incontro obbligato degli intellettuali antiasburgici. L'8 febbraio 1848 gli universitari vi organizzarono una dimostrazione contro gli Austriaci e due studenti, inseguiti fin dentro le sale del locale, furono uccisi. Si conserva tuttora la pallottola di moschetto austriaco conficcatasi in una parete della Sala bianca. Una targhetta sotto il foro ne commemora l'evento.
Storico è anche il “Caffè Tommaseo” di Trieste, inaugurato nel 1830 con tavolini di marmo dalla base di ghisa, attaccapanni in ferro battuto, stucchi, putti e specchiere dalla cornice dorata, e rimasto da allora quasi inalterato. Vi trovarono rifugio Stendhal, James Joyce, Italo Svevo e Umberto Saba.
Un altro monumento nazionale, fondato nel 1760 a Roma, è il “Caffè Greco”, così chiamato per l'origine levantina del suo primo gestore, tale Giorgio o Nicola della Maddalena. All'inizio la clientela fu in prevalenza di estrazione popolare, ma presto vi accorsero personalità di alto prestigio, come lo scrittore Goethe e lo scultore Antonio Canova. Nonostante l'impressione negativa del musicista Felix Mendelssohn-Bartholdy («spelonca buia, stipata di gente orribile»), quel caffè continuò ad attirare letterati, filosofi e musicisti: da Stendhal ad Arthur Schopenauer, da Richard Wagner ad Hans Christian Andersen e Nikolaj Gogol', che terminò la stesura delle Anime morte proprio su un tavolino di marmo del locale di via Condotti. Qui, oltre alle salette interne, c'è l'Omnibus, un corridoio col soffitto a vetri pieno di quadri d'autore e ritratti dei clienti più celebri, da Goldoni al cardinale Vincenzo Gioacchino Pecci, il futuro papa Leone XIII, fino ai musicisti Franz Liszt e Georges Bizet. Altra istituzione leggendaria è il “Caffè Aragno”, ritrovo dei letterati e degli editori romani, ma anche di pittori e uomini politici del primo Novecento.
Anche Milano ebbe molti locali, a principiare dal “Caffè dei Nobili” in via Giardino (poi via Manzoni), frequentato dagli austriacanti fedeli a Maria Teresa d'Asburgo. Poco discosto si trovava il “Caffè degli Artisti”, aperto a intellettuali e begli spiriti e visitato dal solito Stendhal. Leggendario è pure il “Caffè Biffi”, dove il pittore scapigliato Daniele Ranzoni si innamorò perdutamente di Cesira la Rossa, per la quale gettò alle ortiche la fama e gli agi londinesi, chiedendo a un esterrefatto bigliettaio di Charing Cross, a Londra: «Un biglietto d'andata senza ritorno per il Caffè Biffi». Poi c'erano il “Cova”, molto esaltato per i suoi fastosi saloni stile Impero, che accolse fra i tanti anche il Nievo, e il “Caffè Martini”, quasi ad angolo con la Scala, dove Mussolini l'11 novembre 1914 annunciò l'uscita, di lì a quattro giorni, di un nuovo quotidiano da lui diretto, «Il Popolo d'Italia».
A Firenze non vanno dimenticate le mitiche sale delle “Giubbe Rosse”, nate nel 1890 come birreria con i camerieri in giacca rossa. Trasformatosi in caffè, il locale nel primissimo Novecento divenne residenza dei vociani Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Scipio Slàtaper, Giani Stùparich ed Emilio Cecchi. Durante il ventennio fascista fu frequentato da artisti, critici e letterati non “ortodossi”, come Elio Vittorini ed Eugenio Montale, quando collaborava alla rivista «Solaria» e scriveva Le occasioni. Dirimpetto c'era il “Caffè Pazkowski”, sui cui i tavoli s'installavano di solito fascisti strapaesani e di “sinistra”, come Berto Ricci, fondatore del periodico «L'Universale», e collaboratori quali Romano Bilenchi, Diano Brocchi, Dino Garrone e lo stesso Vittorini.
A Napoli, sul finire della dominazione borbonica, furoreggiava il rutilante “Caffè d'Europa”. Ritrovo dei militari era il “Caffè Nocera”, mentre principale raduno degli intellettuali unitari era quella della “Perseveranza”, con cui gareggiavano per le idee liberali i “Caffè” della “Gran Bretagna”, allo Spirito Santo, e del “Cipolla”, al Palazzo De Rosa. Altri caffè erano dislocati nei quartieri Toledo, Chiaia, porta Capuana e della Ferrovia. Più tardi divennero rinomati i cafè 'e nottë e ghjuórnë, locali sempre aperti tranne che fra le tre e le quattro del mattino, come quello delle “Nozze d'argento” a Portacarrese a Montecalvario, la “Croce di Savoia” e il caffè di “Don Petruccio” alla Pignasecca.
A Palermo, prima e dopo il 1860, i locali più noti furono l'austero “Caffè Oreto”, in piazza Marina, e il “Sicilia”, in via Toledo. Ma l'aristocrazia e i notabili preferivano evitare i caffè, in quanto i frequentatori delle poche mescite palermitane non erano molto stimati dai “benpensanti”. Dopo lo sbarco dei Mille, furono soprattutto le gelaterie con i tavoli all'aperto a essere prese d'assalto dai garibaldini per le granite, i sorbetti e i coni di cialda alla crema di melone, cannella, rose e gelsomino, che incantarono i palati più fini.
A Bari si distingueva il “Caffè Stoppani”, fondato nel 1858 da Gaspare Stoppani con i fratelli Lenzi, pasticcieri svizzeri. Nelle sale piene di tavolini di marmo, stucchi dorati e grandi specchi la borghesia barese vide sfilare prima le candide giacche borboniche, poi le rosse camicie garibaldine e quindi le attillate divise piemontesi con gli alamari. In seguito, dal finire della seconda guerra mondiale al termine degli anni Cinquanta, fu la volta del caffè “Il Sottano”, insieme bar, saletta teatrale e galleria d'arte, in via Putignani, a due passi da corso Sparano. Lo fondarono gli attori napoletani Armando Scaturchio e Rosa Di Napoli, sua moglie, già voce dell'EIAR partenopeo e poi una delle prime voci di Radio Bari. In quei locali passarono scrittori come Carlo Levi e Alba De Cespedes, poeti come Vittorio Bodini, e pittori come Domenico Purificato e Raffaele Spizzico.
A rinnovare la tradizione, sempre in via Putignani, è poi venuto il “Caffè Batafobrle La Puglia”, locale e nome creato nel 1988 dai coniugi Ninì e Francesca Tarantino accostando le sigle delle cinque province pugliesi e attirando artisti, intellettuali e studenti. In quel locale colmo di immagini e oggetti pugliesi, nella sera del 21 giugno 1988, con Daniele Giancane e Francesco Bellino, ebbi il piacere di presentare Battuta di soggetto, uno splendido libro di poesie dell'attore e poeta barese Rino Bizzarro.