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Allarme del vescovo su delinquenza e gestione amministrativa
14 marzo 2003

MOLFETTA – 14.2.2003 Il vescovo della Diocesi, mons. Luigi Martella (nella foto), ha lanciato un allarme sulla crescita della criminalità e sulla gestione della cosa pubblica, non sempre amministrata nell'interesse collettivo, ma piegata a interessi di parte. L'occasione è stata l'omelia del mercoledì delle ceneri. “Il nostro territorio diocesano ha bisogno di conversione – ha detto il vescovo -. Fenomeni di malavita, di malaffare vegetano anche da noi; la delinquenza mostra di essere ben organizzata; il bene pubblico non sempre è amministrato a vantaggio di tutti, ma talvolta viene piegato a interessi di parte; la disoccupazione e la sottoccupazione tolgono ogni prospettiva ai giovani... Potremmo continuare nell'elencare drammatiche situazioni di una lunga via crucis, che affliggono le nostre città”. Riportiamo integralmente l'omelia di mons. Martella che ha anche parlato di pace in un momento in cui i venti di guerra soffiano con più forza. “Il rito antico e suggestivo dell'imposizione delle Ceneri ci induce ad una meditazione sulla nostra condizione umana. La Chiesa, con questo rito, nel primo giorno di Quaresima, ci ricorda: un tempo eri polvere, oggi sei polvere, più tardi sarai ancora polvere. Perciò da quel pizzico di cenere il cristiano prende slancio, forza e limpidezza per l'itinerario classico di questo tempo forte per il rinnovamento dello spirito. 1. Tempo di conversione La Quaresima mostra la Chiesa come una carovana di penitenti. Un tema patristico riguarda la "casta meretrix" (casta meretrice). Urs von Balthasar l'ha illustrato: "La Chiesa è casta perché ha con sé la grazia di Cristo e tutta la fioritura di santità che la Grazia ha creato nella storia. Ma insieme è meretrice, donna di strada. Questa è la traduzione nel linguaggio popolare. Le due cose vanno insieme perché è una Chiesa fatta di uomini peccatori, ma insieme santa, perché ha con sé tutto il tesoro della Redenzione". È "semper reformanda", finché non arriveremo alla soglia della parousia. "La Chiesa è bisognosa sempre di purificazione e per questo non tralascia mai di fare penitenza e di rinnovarsi" (LG). Perciò, la liturgia, saggiamente ci propone le parole della Scrittura che invita a questa conversione. "Ecco il momento favorevole - dice S. Paolo -, ecco ora il giorno favorevole" (San Paolo). "Ritornate al Signore vostro Dio" (Gioele 2,13). Allora dunque: "Convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15). "Laceratevi il cuore e non le vesti" grida il profeta Gioele (2,13). Con tutti questi richiami la liturgia non vuole minimamente rattristarci, vuole invece sollevarci alla dimensione soprannaturale della vita. Digiuno e penitenza vanno, per i cristiani, di pari passo con la letizia e la gioia.Quale preparazione alla Pasqua, che dalla schiavitù del peccato ci porta alla liberazione, la Quaresima è tempo di penitenza liberatrice. 2. Tempo di particolare impegno Ogni sforzo di liberazione interiore, parte da una consapevolezza, quella del peccato. Pio XII, già nel 1946 diceva: "Il più grande peccato, oggi, è che gli uomini hanno perso il senso del peccato". Ricuperare, perciò, il senso del peccato significa sentirsi responsabili di tutto quanto allontana da Dio. Ghandi si è espresso con questa frase che ci dovrebbe ferire ogni volta che la sentiamo o la leggiamo: "A me piace Cristo, ma non mi piacciono i cristiani, perché non sono come Cristo". È qui che l'impegno della Quaresima ci chiede: rassomigliare di più a Cristo con uno stile di vita di obbedienza alla volontà di Dio e quindi di donazione e di amore verso il prossimo. Gesù chiede ai suoi discepoli una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei (Mt 5,20) anche quando le pratiche esteriori restano immutate, richiamando alla vigilanza sulle intenzioni che muovono ad agire. "Guardatevi dal praticare le vostre buone opere (giustizia) per essere ammirati". Gesù mette in guardia dalla vanità che è anche vacuità. Occorre fare le opere buone, invece, per dimostrare di essere davvero convertiti. Il Vangelo ci indica quali sono le opere buone, le opere della "giustizia": la preghiera, il digiuno, l'elemosina. È una triade che manifesta la logica connessione di un cammino penitenziale. La preghiera come mezzo di elevazione spirituale, una preghiera fatta col cuore, con il rosario in mano, insieme a Maria; il digiuno come segno di distacco salutare dalle cose che tendono a renderci dipendenti e schiavi; l'elemosina come segno della carità e della solidarietà verso i fratelli bisognosi. 3. Digiuno e preghiera per cambiare vita Giovanni Paolo II ha invitato al digiuno e alla preghiera per la causa della pace, sospesa ad un filo sottilissimo in questo momento particolare. Anche il nostro paese viene scosso da una nuova ondata di terrorismo. Noi in diocesi abbiamo raccolto l'invito che oggi ci ha visti tutti impegnati e uniti alla Chiesa universale ed anche a tutti gli uomini sensibili e di buona volontà che hanno seguito l'invito del Papa. Le "sentinelle della pace", così come il Papa chiede che siano tutti i cristiani, si nutrono di preghiere e di digiuno, "affinché le coscienze non cedano alla tentazione dell'egoismo, della menzogna e della violenza". Digiunare per cambiare il proprio cuore, innanzitutto. E per promuovere, proprio in conseguenza di questo cambiamento interiore, una nuova qualità della storia e dei rapporti tra le persone e tra i popoli. Bisogna sanare la radice per poter garantire i frutti sani, e la radice è il cuore, è la coscienza, è l'intimo di ciascuno. La cultura moderna ha ridotto il digiuno, atto eminentemente spirituale, ad una pratica per la dieta o alla platealità di certi digiuni politici più spettacolari che genuini. In realtà tutte le grandi religioni sono fermamente convinte che digiunare è un atto di sua natura simbolico, nel senso più genuino del termine. Pensiamo solo alla lapidaria e incisiva dichiarazione di Isaia: "È questo il digiuno che il Signore vuole: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, dividere il pane con l'affamato, introdurre in casa i miseri, i senza tetto, vestire uno che vedi nudo, non distogliere gli occhi da quelli della tua carne" (58,6-7). Oppure si pensi all'ironia di Gesù nei confronti di un'astinenza meramente ritualistica esteriore che ti fa "assumere un'aria malinconica, sfigurare la faccia" cui egli oppone paradossalmente "il profumarsi la testa e il lavarsi il viso" (Mt 6,16-17). Perché il digiuno non sia farsa ma decisione intima che esprime autodisciplina, liberazione dal consumismo, dall'egoismo, dalla logica del possesso, dalle false necessità, ma anche purificazione dello spirito, controllo di sé, dominio dei sensi. È in questa luce che il digiuno voluto da Giovanni Paolo II assume un segno universale esteriore perché l'umanità ne riscopra il valore esistenziale ultimo di purificazione da quel male estremo che è l'odio, la violenza, la guerra e ritrovi la purezza della fraternità solidale, della condivisione dell'amore. Un'arma non offensiva che si erge contro le armi degli eserciti con una sua potenza trascendente, personale e sociale. Comprendiamo allora tutti quanto sia urgente la necessità della conversione. Essa non è appena l'eco di una parola consunta dall'uso, ma è l'efficace stimolo per una nuova partenza, in vista di un nuovo modo di essere e di agire. Il nostro territorio diocesano ha bisogno di conversione. Fenomeni di malavita, di malaffare vegetano anche da noi; la delinquenza mostra di essere ben organizzata; il bene pubblico non sempre è amministrato a vantaggio di tutti, ma talvolta viene piegato a interessi di parte; la disoccupazione e la sottoccupazione tolgono ogni prospettiva ai giovani... Potremmo continuare nell'elencare drammatiche situazioni di una lunga via crucis, che affliggono le nostre città. Vorremmo allora che il discorso della conversione non restasse astratto, ma "lacerasse il cuore" di tutti, come dice il profeta, affinché il ritorno al Padre possa essere segno di luce e di speranza per tutta la nostra Comunità. + Luigi Martella Vescovo
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