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A 25 anni dall’assassinio del sindaco Carnicella si attende l’altra verità Per ricordare i 25 anni dall’assassinio del sindaco Gianni Carnicella “Quindici” ha chiesto un ricordo all’Associazione “Libera” di Molfetta, che si è sempre occupata della vicenda e della sua successiva evoluzione.
15 luglio 2017

Il Presidio Libera di Molfetta, sin dal marzo 2010, anno della sua costituzione, si è occupato di Gianni Carnicella. La memoria delle vittime innocenti di mafia è uno degli impegni fondamentali dell’associazione “Libera”. Gianni Carnicella non era stato ancora annoverato tra le vittime di mafia quando, come presidio, già nel 2011 decidemmo di organizzare la nostra prima manifestazione cittadina del 21 marzo presso il sagrato della chiesa san Berardino per rinnovare la memoria di Gianni e delle altre vittime innocenti di Puglia. Dopo qualche anno il suo nome è stato inserito nell’elenco dei nomi letti il 21 marzo in occasione della Giornata della Memoria e dell’impegno a livello nazionale. Abbiamo iniziato, quindi, un percorso di riflessione e di conoscenza della vicenda istituzionale di Gianni Carnicella. Diversi sono stati i momenti pubblici in cui abbiamo approfondito il tema degli “Amministratori sotto tiro”. in questo ultimo anno, un incontro con il Procuratore aggiunto della D.D.A. dott. Pasquale Drago sulle operazioni Primavera (aprile 1994) e Reset (ottobre 1996) ha chiarito diversi aspetti riguardanti l’omicidio di Gianni Carnicella. In quella conferenza il dott. Drago ci ha spiegato che nei primi anni ’90 alcuni gruppi criminali (capeggiati da Annacondia su Trani e Cannito su Barletta) erano stati disarticolati dall’attività della magistratura e delle forze dell’ordine, per cui nell’ambito della criminalità organizzata locale si era creato un vuoto di potere. Nuovi gruppi criminali stavano cercando di affermarsi sul nostro territorio, provando a fare il salto di qualità. La maggior parte delle attività criminose ruotava intorno al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti e Molfetta in pochi anni sarebbe diventata la capitale dello spaccio. E’ molto probabile, dunque, che quello del permesso negato non fu il vero movente ma il pretesto. Cristoforo Brattoli, per organizzare il concerto di Nino D’Angelo, aveva creato una società con alcuni individui coinvolti successivamente nei processi Primavera e Reset (entrambe le operazioni legate allo spaccio di sostanze stupefacenti). Questi personaggi avevano visto in una nuova politica di Molfetta, portata avanti da Gianni Carnicella, che della legalità e trasparenza aveva fatto la sua direttrice morale e la sua cifra politica, l’ostacolo alle loro mire espansionistiche. È molto probabile che fossero questi i veri interessi che Gianni Carnicella era andato a toccare e che hanno spinto ad armare la mano dell’assassino. La sensazione è che la verità processuale non abbia detto tutto su quella dolorosa vicenda e che ci sia un’altra verità non ancora emersa del tutto che possa far luce sull’uccisione del sindaco. Già don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta, nella sua omelia per la Messa esequiale, stigmatizzò quell’evento: “Un delitto atroce. Assurdo. Sproporzionato (se mai ci può essere proporzione quando uno dei due termini del rapporto è la vita umana) nel movente e nell’esecuzione. […] Incredibile. Un permesso negato, per oggettive ragioni di sicurezza, all’ambigua manifestazione del cantante di turno. La minaccia intimidatoria dell’organizzatore, sui gradini di una chiesa. La resistenza ferma e dignitosa del sindaco. Poi il fucile a canne mozze che, a distanza ravvicinata, ha chiuso il discorso.” In tutti questi anni la conoscenza del fenomeno mafioso e delle sue dinamiche ha permesso di capire, fare collegamenti e osservare sotto una nuova lente fatti risalenti a diversi anni fa. A 25 anni dall’uccisione del Sindaco Carnicella, la famiglia e la città di Molfetta si interrogano sulle vere motivazioni che hanno portato a compiere quel delitto. Un’altra riflessione ci è stata suggerita da persone che hanno condiviso la breve e significativa esperienza del Sindaco Carnicella. Gianni morì perché fu lasciato solo: nessuno aveva sostenuto l’attività del sindaco e la sua scelta di improntare l’attività amministrativa a regole di trasparenza. Perché il vero problema della mafia non è la mafia con le attività criminose che la caratterizzano, il vero problema della mafia è il radicamento sul territorio, è quella zona grigia di silenzio e di connivenze che c’è intorno alla mafia e che la protegge, è l’omertà con la collusione degli interessi. Quella zona grigia ha lasciato solo Gianni Carnicella e la vera ragione per cui egli è stato ucciso sta nel fatto che era stato lasciato solo, anche dal suo stesso partito. Il Presidio Libera nelle sue attività ha cercato e cerca di mantenere viva la memoria di Gianni Carnicella, un uomo giusto, vittima del dovere. Ma come sottolinea don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, “Ricordare non basta: occorre trasformare la memoria in memoria viva, ossia in impegno a costruire una società diversa, formata da persone che si oppongono, non solo a parole ma con le scelte e i comportamenti, alle ingiustizie, alle violenze, alla corruzione”. L’infiltrazione della mafia nel sociale si combatte in un solo modo: con la reazione della società civile e del mondo politico nel rispetto dei valori della legalità e dei principi di convivenza democratica, che miri ad isolare e a prendere le distanze da tutto ciò che è riconducibile a criminalità organizzata e corruzione. Il sacrificio di Gianni Carnicella deve spingere ognuno di noi a difendere la libertà e la giustizia nel nostro territorio, esercitandola quotidianamente con vigilanza e responsabilità.

Presidio Libera di Molfetta “Gianni Carnicella”

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