La Casa Editrice Carocci di Roma ha recentemente pubblicato un libro di Guglielmo Minervini, intitolato “La politica generativa. Pratiche di comunità nel laboratorio Puglia”. In esso possiamo leggere, dopo l’introduzione di Leonardo Becchetti, un saggio che da il titolo al volume, un’intervista sulla sua esperienza di assessore regionale, curata da Alessandro Leogrande, ed una descrizione del programma di politiche giovanili “Bollenti Spiriti”. Mi soffermerò brevemente sulla prima parte. Diciamo subito chele idee espresse dal Nostro sono ormai largamente diffuse, e fanno parte di quella letteratura sociopolitica contemporanea, che senza tema di esagerazione e, purtroppo, senza alcun intento derisorio, si può definire apocalittica. Abbastanza inedite mi sembrano, invece, le pratiche che l’autore propone per tentare di arginare questa deriva. “Questa crisi non è come le altre…questa crisi è diversa…è come uno spartiacque che separa due evi…nulla sarà come prima…il mondo che sta nascendo è radicalmente diverso rispetto a quello che abbiamo conosciuto e che abitiamo”. L’elenco delle storture che un’aberrante concezione della modernità ha prodotto nel pianeta, è lungo e per niente rassicurante. Prima fra tutte, lo stravolgimento dell’ecosistema, con l’imposizione delle monoculture, la desertificazione di vastissime aree, l’accaparramento delle risorse idriche, lo sradicamento di intere popolazioni dai loro insediamenti tradizionali, alla ricerca disperata di una minima speranza di sopravvivenza. Tutto questo, non è dovuto ad un destino cieco ed immodificabile, che colpisce soprattutto gli ultimi della terra, mentre altri sono garantiti al massimo per un paio di generazioni. “Da tempo, è evidente che l’andamento della Borsa e le dinamiche speculative, influenzano la vita dei Popoli. Il sistema finanziario globale è un attore che agisce nella nostra vita quotidiana infinitamente più di un partito. E persino l’Europa dei burocrati si è degradata in un perverso potere che in questi anni sta immolando profonde lacerazioni sociali sull’altare dei dogmi di una destra monetarista, ottusa e disastrosa”. E tuttavia, la degenerazione perversa delle dinamiche finanziarie globalizzate non avrebbe raggiunto l’attuale consenso, se non si fosse avvalsa di una miriade di pseudo valori sovrastrutturali creati ad arte, e universalmente diffusi, grazie anche al completo controllo dei media e dalla complicità di chierici ben pagati. A fronte di questo panorama desolato, la complessità dei problemi, interconnessi e collegati, impone un’assunzione di responsabilità da parte di ognuno. Il crepuscolo del “delirante desiderio di dominio e di possesso”, impone l’elaborazione di una nuova etica, ed anche di una sorta di nuovi “minima moralia”, di adorniana memoria che redimano le innumerevoli offese e facciano rinascere “la vita che non vive”. Non è detto però che dalla consapevolezza di aver raggiunto un punto di non ritorno, derivi automaticamente la teorizzazione e la pratica di nuovi comportamenti. Urge ridefinire, anzi rifondare ab imis, quella prassi che definiamo Politica, e quello che tradizionalmente viene considerato il suo carattere distintivo, vale a dire l’esercizio del Potere. L’analisi dell’Autore è impietosa. Le euro burocrazie ridotte a mere agenzie delle grandi corporation e delle lobby finanziarie multinazionali, ricattano le economie locali, imponendo scelte finanziarie e sociali devastanti, che mettono in ginocchio le fasce più deboli (vedi Grecia). All’interno dei singoli paesi la politica e i suoi schieramenti, indifferenziati e ridotti a meri comitati d’affari (il buon vecchio Marx!), si adeguano a questa forte limitazione della loro sovranità, perché da questo asservimento dipende in gran parte la sua sopravvivenza. L’astensionismo ed il declino della partecipazione concentrano il pote-re nelle mani di pochi professionisti della manipolazione che lo accumulano, conservando rituali istituzionali di facciata, ridotti a larve prive di incidenza reale. Il vuoto di democrazia che ne deriva, e l’annichilimento di ogni domanda di futuro, generano abulia, ma anche sacche di risentimento, potenzialmente eversive. Il nostro Paese non è immune da questa deriva. “Oggi il bluff di Renzi, con l’assenza di una lungimirante visione di futuro, e soprattutto con un approccio spregiudicato e cinico, si va disvelando. Cemento, trivelle, quindi combustibili fossili, grandi opere, disegni costituzionali raffazzonati che configurano dinamiche di concentrazione del potere in maniera inquietante, certo sono un cambiamento, ma nel senso di un arretramento, del ritorno ad un passato dal quale pensavamo di esserci liberati”. Il lavoro di Minervini potrebbe fermarsi qui. Sarebbe in questo caso una impietosa ed efficace analisi di un pianeta e di una società in declino. Ma l’Autore non appartiene a quella schiera di intellettuali che amano contemplare l’apocalissi prossima ventura, accettandone l’inevitabilità o, peggio, compiacendosi degli aspetti letterariamente stimolanti, che induce nelle anime più sensibili. Trasformando l’utopia in possibilità, propone e delinea una teoria della politica che definisce “generativa”, e che in qualche maniera, qualora praticata diffusamente, potrebbe (il condizionale è d’obbligo) invertire il trend negativo esposto nella prima parte del saggio. Essa parte dal presupposto che all’interno delle nostre comunità ci siano delle potenzialità che l’attuale sistema politico non riesce a far emergere e ad attivare. In un clima di scarsità diffusa, la delega non funziona più perché i suoi beneficiari non riescono, o non vogliono individuare quei processi virtuosi che una lungimirante selezione di priorità innescherebbe a costi contenuti. Una reazione a catena di energie sociali positive giace “inesplosa”, perché non riesce ad essere innescata da pratiche amministrative consapevoli, tempestive, sostenibili e, diciamolo, oneste. Ormai è evidente che in molti ambiti, soprattutto territoriali, si è pervenuti all’acquisizione di saperi derivati da una conoscenza diretta e diffusa delle emergenze ambientali, ecologiche, sanitarie e sociali, che vanno affrontate, e possibilmente risolte, partendo dalla periferia al centro, e non viceversa. I processi partecipativi, la redistribuzione del potere, la condivisione delle scelte innovative, anche in ambito industriale e lavorativo, possono contribuire a gestire i conflitti che non vanno rimossi, ma composti con la partecipazione paritetica delle parti sociali. Azzeramento della delega, scelta condivisa e democratica dell’impiego e della dislocazione delle risorse, in tempi brevi e col rispetto della legalità, protagonismo attivo e condiviso, in vista del bene pubblico. Questa, in grande sintesi, dovrebbe costituire quella Politica che l’Autore definisce Generativa, e che a suo parere, sarebbe l’unica capace di superare la crisi, che, si badi, egli ritiene sistemica e non ciclica. Ormai siamo alle prese soltanto con un “dopo”, per certi versi, inesplorato ed incerto: al “prima” non si torna più. Indubbiamente, la persuasione, motivata in molti anni di esperienza sul campo, che nella società italiana vi siano grandi potenzialità di autogoverno democratico, capaci di sviluppare innovazione, crescita, vivibilità, e che esse siano, in larga misura, bloccate dal persistere di pratiche passive di delega a poteri centralizzati e, quando va bene, burocratizzati, è suggestiva e foriera di inediti sviluppi. Resta da vedere quanto la politica, le classi dirigenti, insomma chi comanda davvero, sia disposto a cedere quote rilevanti del proprio potere, per limitarsi ad indurre, a suscitare, ad accompagnare pratiche di buongoverno locale. Minervini ammette che non è facile, non nasconde le difficoltà, ma ritiene anche che questo sia il problema capitale ed ineludibile che il nostro Paese, e l’Europa intera, dovranno affrontare negli anni a venire. Sfide geopolitiche certamente, di enorme portata, ma anche recupero dei principi costitutivi della nostra civiltà, tanto sbandierati quanto calpestati, a cominciare da quel Mediterraneo, trasformato per migliaia di disperati in una immensa tomba liquida. È bene sottolineare, concludendo, come alla base del discorso del Nostro, fatto salvo un sano e maturo realismo, vi sia soprattutto un tenace ottimismo della volontà, sorretto da forti motivazioni etiche. Scrive l’Autore: “Non si da democrazia generativa se non si procede anche ad una radicale revisione dell’attuale sistema economico. Non esiste solo l’economia del profitto, ma anche l’economia civile, o anche quella civica, l’economia del dono, l’economia della condivisione. Sono tutte approssimazioni di un nuovo legittimo diritto al senso e, dunque, alla felicità. Un diritto a vivere la nostra vita nella pienezza di tutte le sue dimensioni, e non sotto il dominio di una dimensione unica. Non vogliamo più vivere solo per avere, ma per essere”.