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Via Fontana, una brutta storia di falsi e omissioni L'INCHIESTA - La storia dei milioni di euro per la ricostruzione delle palazzine. Continua l'inchiesta del Pm, Savasta
15 gennaio 2004

Si fa presto a dire grazie. E' proprio vero: il motto “piove, governo ladro” non è più di moda. Anzi. Sempre più si attesta l'idea che di novità positive (o presunte tali), di interventi “a favore della collettività”, si debba rendere grazie a chi sta sopra di noi. Questo accade perché (e chi potrebbe negarlo?) è abbastanza raro e sorprendente che qualcuno si faccia carico dei nostri problemi, pur essendo egli 'pagato' (non dirò 'eletto') per fare esattamente questo. Tuttavia, ignari di questo elementare ma poco condiviso principio di democrazia rappresentativa, noi ringraziamo. Sempre più spesso. Talvolta persino a vanvera. Da Roma 4,5 milioni di euro. La verità sul ddl cofirmato da Azzollini Nelle ultime settimane si è levato un grido di giubilo per i finanziamenti recentemente accordati alle palazzine del prolungamento di via A. Fontana (il testo di legge, non ancora pubblicato, è stato approvato in via definitiva dalla Commissione Lavori pubblici-comunicazioni del Senato, il 4 dicembre 2003). Qui, a dispetto di tutte le possibili gioie postume del caso, più di un anno fa si è consumata la tragedia di decine di famiglie. Costrette ad abbandonare il loro tetto, per ragioni e responsabilità ignote, e ad accettare un futuro ancor meno certo del passato di quelle maledette palazzine realizzate 10 anni fa dall'Italco, impresa edile molfettese, nell'ambito di un piano edilizio sperimentale indetto dal Cer (Comitato per l'edilizia residenziale, presso il ministero dei Lavori pubblici). Sulle responsabilità della brutta vicenda di via Aldo Fontana indaga, dalla scorsa primavera, il sostituto procuratore Antonio Savasta. Due i sopralluoghi finora effettuati. Possibili rinvii a giudizio e sequestri di immobili all'orizzonte. Mentre, nel frattempo, si attende, pare inesorabile, l'avviso di sgombero di altre tre palazzine. Tant'è. C'è chi, in questo scenario tutt'altro che confortante, ha preferito brindare. E dopo i primi botti di champagne per i 4,5 milioni di euro stanziati dallo Stato, si è passati, come si dice, ai 'ringraziamenti di rito'. Al senatore Antonio Azzollini, innanzi tutto. Primo cofirmatario di un disegno di legge (n. 2364), che, stando alle notizie date alla stampa, si sarebbe poi convertito in legge (n. 2582) a seguito dell'approvazione definitiva, avvenuta, per l'appunto, lo scorso 4 dicembre. Orbene, se nel testo n. 2582 effettivamente c'è traccia del 'finanziamento molfettese' (pur essendo strana la dicitura dell'intervento cui fa riferimento l'importo: Palazzine“A. Fontana”), pare quanto meno approssimativo, per non dire grossolanamente errato, l'iter che vorrebbe quella legge derivare dal disegno di legge cofirmato dal senatore Azzollini. Per due motivi assai semplici. Innanzi tutto perché in quel disegno di legge, presentato lo scorso 2 luglio, non vi è traccia del finanziamento in favore delle palazzine di via A. Fontana. E, in secondo luogo, perché quel ddl (che porta anche il nome di Antonio Azzollini) è stato addirittura ritirato il 31 ottobre 2003. Dunque, il provvedimento (2582) che contiene il riferimento ai 4,5 milioni di euro è tutt'altra cosa rispetto al disegno di legge (2364) promosso dal senatore molfettese. E, anche se è legittimo pensare che Azzollini si sia fatto 'difensore' della causa di questo finanziamento, ci chiediamo perché mai inventarsi un iter legislativo sbagliato. Quel che è certo è che la vicenda dei finanziamenti così (erroneamente) posta, di sicuro avrebbe dato più enfasi al contributo del senatore. E' bastato poco, tuttavia, per svelare un'altra storia: semplicemente restando ai fatti (e ai documenti disponibili sul sito internet ufficiale del Senato della Repubblica), si è scoperto che le cose non stanno affatto così come altri avevano creduto. Dura lex sed lex. Finanziamenti a pioggia per le opere pubbliche. Ma le palazzine Italco sono un'opera pubblica? Sgombrato il campo da equivoci ed errate attribuzioni, va detto che, al di là della specifica paternità del provvedimento (fatto, del resto, non particolarmente importante), l'intero testo di legge contenente il finanziamento in favore delle palazzine molfettesi si rivela, come del resto sottolineato nei dibattiti parlamentari, un coacervo incredibilmente variegato di “finanziamenti a pioggia per una serie di opere molto spesso microsettoriali, microlocali, sganciate da qualunque disegno generale” assegnati “senza nessun criterio di corretta programmazione, senza un'equa ripartizione territoriale tra le varie aree del paese e senza rispettare competenze che appartengono alle regioni e agli enti locali”. Si legge, sempre nei resoconti dei dibattiti parlamentari che questo provvedimento “assomiglia, insomma, ad una lotteria: qualcuno vince un po' di briciole, i più restano a bocca asciutta”, e che si tratta solo di “un elenco di opere ed operette della più svariata natura”. D'altra parte, al di là delle accuse venute dai banchi delle opposizioni, persino una deputata di Forza Italia ha candidamente ammesso che “se lo si osserva potrebbe essere giudicato come il tipico intervento a pioggia o clientelare”, precisando, però, che generalmente “si definiscono clientelari quei provvedimenti che soddisfano le esigenze di parecchie comunità”. Certo pare anomala la collocazione dei milioni di euro destinati alle Palazzine “A. Fontana” al fianco di importi relativi ad interventi di viabilità stradale, recupero di beni storici, realizzazione di strutture socio-sanitarie e molto altro ancora. Collocazione anomala, certo. A cominciare dall'intestazione del provvedimento che recita: “Finanziamento di interventi per opere pubbliche”. Il quesito (tutto politico) da porsi è: perché mai il caso delle palazzine di via Aldo Fontana è da ritenersi un'opera pubblica? Tanto da comparire tra porti, aeroporti, autostrade, ospedali, parchi urbani, case di riposo e molto altro ancora? Non fraintendano i lettori e, soprattutto, non fraintendano quanti da questa tragedia sono stati in prima persona non soltanto colpiti, ma offesi. Profondamente, duramente. Il punto è: perché mai delle responsabilità (ancora tutte da accertare) che furono alla base di questa vicenda, deve farsi carico solo e soltanto lo Stato? O, per meglio dire, perché lo Stato e tutte le istituzioni (che pure di questa vicenda negli passati furono tra i principali attori) finora hanno inteso farsi carico di questa questione solo e soltanto in termini finanziari? Perché oggi si vuole far passare lo strano caso delle Palazzine di via Aldo Fontana come una storia semplice, lineare, resa tragica solo dall'imprevedibile e maligno 'caso' e, tutto sommato, risolvibile con una manciata di miliardi di vecchie lire? Quelle palazzine valgono assai più di un intervento di rattoppamento della rete autostradale. Sono cosa assai diversa e assai più importante delle piste ciclabili di Sanremo o delle terme ai Bagni di Lucca. E non basta il gran 'calderone dei finanziamenti' a farne una semplice opera pubblica, come mille altre. Via Aldo Fontana ha alle spalle 15 anni di storia, tutt'altro che lineare, tutt'altro che semplice: cercare di annullarli in nome del bisogno di cinquanta famiglie è non soltanto un'operazione disperata e maldestra (perché è tutto lì, nero su bianco), ma anche un gesto profondamente offensivo della dignità di quelle stesse persone. E di tutti i cittadini, a cui questa storia, in un modo o nell'altro, appartiene. 1992, Carnicella: stop al decreto di occupazione di urgenza Chiedersi se e perché le palazzine di via A. Fontana debbano essere considerate un' “opera pubblica” non è questione peregrina o da cavillosi Azzeccagarbugli. Piuttosto, questo quesito ha segnato, in svariate occasioni, il percorso 'a ostacoli' che portò alla realizzazione di quegli stabili. Fu il sindaco Carnicella, tra gli altri, a sollevare la questione. Con un provvedimento pesante come un macigno. “Dopo essere stato ammesso nel 1988 a un finanziamento speciale erogato dal Cer, pari a 21 milioni di vecchie lire per ciascun appartamento costruito – ricorda Matteo d'Ingeo, ex consigliere comunale, che, dopo essere stato protagonista di una conferenza stampa indetta da Rifondazione comunista alcuni mesi fa, ha continuato a raccogliere dati sul caso – l'Italco non riuscì in tempi rapidi ad ottenere la concessione edilizia dal Comune”. Infinite le proroghe concesse dal ministero, foltissimo il carteggio tra Roma, l'Italco e il Comune di Molfetta sulla questione. “A gennaio del 1992 – continua D'Ingeo - fu l'assessore anziano Giuseppe Ancona a dare il via all' occupazione temporanea e d'urgenza della nuova area di proprietà comunale individuata per l'insediamento Italco (il suolo inizialmente destinato ad accogliere questo insediamento, in contrada Spina, era di proprietà di Corrado Calò: qui, molti anni più tardi sarebbero sorte le piscine comunali, ndr)”. Ma anche quel decreto non ebbe vita facile: il 21 febbraio 1992 il sindaco Giovanni Carnicella dichiarò nullo il provvedimento emesso da Ancona. Con quali ragioni? “Perché quel tipo di procedimento autorizzato dal decreto di Ancona – spiega D'Ingeo - era applicabile alle sole opere pubbliche, come dichiarò nella sua nota lo stesso Carnicella”. Insomma, quelle palazzine non erano un'opera pubblica secondo il sindaco di allora. E come non condividere questa valutazione? O forse un insediamento edilizio realizzato da un'impresa privata può ritenersi 'opera di proprietà della comunità' soltanto per il fatto di fruire di pubblici finanziamenti? e, ancora, godere di un suolo di proprietà comunale? Può considerarsi opera pubblica quella di un privato che chiede ai propri compratori 966.204 lire al mq (anno: 1994) per degli appartamenti costruiti per giunta su un 'atollo' spazzato fuori dalla città? 1995: parte l'ubanizzazione primaria. D'Ingeo, il racconto di un consiglio comunale di otto anni fa Anche se l'iniziativa di Carnicella sarebbe stata vanificata dopo pochi giorni dal suo assassinio (il 14 luglio 1992 l'assessore anziano Vito Enzo De Nicolo comunicò al Cer la conclusione della procedura di occupazione d'urgenza), le travagliate vicende delle palazzine Italco si sarebbero protratte ancora. Attraverso complicati slalom tra disguidi tecnico-costruttivi (la scoperta, nel corso dei lavori, della presenza di un fondo di una lama, con la necessità di adottare una tipologia di fondazioni più costosa) e intricatissime complicazioni di ordine amministrativo. Che esplosero nel corso di una seduta di consiglio comunale del 23 maggio 1995. “Quella sera – ricorda Matteo D'Ingeo, che a quel consiglio comunale partecipò e intervenne – l'assemblea deliberò in ordine alle opere di urbanizzazione primaria da realizzare in quell'area”. Affollatissima l'aula consiliare, tesa la discussione. Molti sollevarono problemi di legittimità: l'ok definitivo alle opere di urbanizzazione di quell'area non sarebbe passato se non attraverso una variante al Prg. “Era ancora in atto – precisa D'Ingeo – un contenzioso con i proprietari dei suoli di quella zona, e, a quella data, già erano stati emessi dei provvedimenti che avevano dato ragione ad alcuni proprietari e condannato il Comune al pagamento delle spese”. Ricorsi al Tar, contenziosi e persino indagini della Procura (cfr. verbali C.C. 23.5.1995) erano partite già all'indomani di quel procedimento d'occupazione d'urgenza delle aree che delimitavano le palazzine Italco. Ma ancora, nel 1995, il problema (in che modo 'raggiungere' le palazzine, in che modo collegarle alla città, in che modo renderle realmente vivibili) sembrava di difficile soluzione. “Io scelsi di uscire dall'aula e di questo mi pento ancora: dai banchi consiliari avevo posto al Segretario Generale alcuni quesiti. Per esempio, se nella documentazione trasmessa al ministero per l'ottenimento dei finanziamenti Cer ci fosse traccia del cambio di suolo da contrada della Spina a via A. Fontana, fatto, questo, tutt'altro che irrilevante”. Anche altri consiglieri (tra i quali Salierno, Paparella, de Candia) posero questioni di legittimità, insinuarono dubbi o si limitarono a riepilogare la già corposa serie di problemi legali che il caso Italco portava con sé. Persino Antonio Azzollini, allora consigliere comunale di opposizione, mostrò perplessità e consigliò prudenza, esortando a “verificare immediatamente le condizioni di legittimità.. sarebbe una iattura, per tutti coloro che non possono accedere, ritrovarsi un provvedimento respinto”. Già, ma la 'iattura' per quelle cinquanta famiglie era già iniziata. Lo sgombero di molti anni dopo sarebbe stata solo l'ennesima punta di un iceberg. Assurda, come molti altri passaggi di questa strana, terribile vicenda. Tiziana Ragno ULTIM'ORA Mentre andiamo in stampa, è giunta notizia che l'ex consigliere Matteo D'Ingeo, nell'ambito dell'inchiesta sulle palazzine Italco del prolungamento di via A. Fontana, è stato ascoltato dal Pm Antonio Savasta come "persona informata dei fatti". Ulteriori dettagli saranno forniti nei prossimi numeri di “Quindici”. SCHEDA Le tappe della vicenda 2 giugno 1988: l'Italco, impresa edile molfettese, comunica al sindaco di Molfetta che il Cer ha ammesso a finanziamenti speciali, il proprio Piano operativo per la realizzazione in Molfetta di un intervento edilizio sperimentale: 50 alloggi minimo, ubicati sul suolo in contrada Spina (mq. 5000 di proprietà di Corrado Calò). Contestualmente l'Italco richiede che il suolo (non più disponibile, perché destinato alle piscine) sia permutato con altro suolo di proprietà comunale. 30 luglio 1988: il ministero comunica l'avvenuta approvazione del Piano operativo residenziale presentato dall'Italco, beneficiario dei finanziamenti statali. 7 novembre 1988: il Consiglio comunale di Molfetta sceglie l'area pubblica da edificare. Si trattava della zona poi nota come “prolungamento di via Aldo Fontana”. 11 settembre 1990: aspro scambio di battute sulla vicenda Italco (e su presunte irregolarità) nel corso di una seduta di Consiglio comunale. In quella stessa seduta si fissava il prezzo del suolo su cui sarebbero sorte le piscine comunali, in contrada Spina (meno di mezzo miliardo in tutto): era il terreno di Corrado Calò. 11 ottobre 1990: termine ultimo fissato dal Cer per la cantierizzazione dei lavori. Pena la perdita dei finanziamenti. Ma numerose proroghe e rinvii consentiranno all'Italco di accumulare 2 anni e 3 mesi di ritardi. 29 ottobre 1990: l'assessore Ancona inoltra richiesta alla Regione Puglia di approvazione della variante al Piano regolatore generale in relazione al nuovo lotto destinato ad ospitare le palazzine Italco. aprile 1991: l'assessore all'Urbanistica della Regione Puglia, dott. ing. Lillino di Gioia, comunica l'avvenuta approvazione della variante richiesta. 3 dicembre 1991: il Ministero approva il programma definitivo di intervento – Pid - presentato dall'impresa Italco. 7 gennaio 1992: l'assessore anziano Giuseppe Ancona dà il via all' “occupazione temporanea e d'urgenza” dell'area individuata per l'insediamento Italco. Sempre di proprio pugno, l'assessore dà notizia al Cer dell'emissione del decreto di occupazione. 21 febbraio 1992: il sindaco Giovanni Carnicella, a pochi giorni dal suo insediamento, dichiara nullo il decreto di occupazione emesso da Ancona. 26 febbraio 1992: Calò si dichiara disponibile a cedere al Comune l'area in contrada Spina, per la realizzazione delle piscine. 4 giugno 1992: il sindaco Carnicella azzera lo schema di convenzione tra l'impresa Italco e il Comune di Molfetta, approvato dalla giunta comunale sei mesi prima. 14 luglio 1992: l'assessore anziano Vito Enzo De Nicolo dà notizia al Cer dell'avvenuta conclusione della procedura di occupazione d'urgenza. 31 dicembre 1992: rilasciata la concessione edilizia per la realizzazione delle palazzine Italco. Il giorno di S. Silvestro l'impresa darà anche comunicazione dell'inizio dei lavori. aprile 1993: il geologo M. Mezzina attesta in una relazione geologica e geotecnica commissionata dall'Italco che l'area oggetto dell'intervento edilizio si trova sul fondo di una lama e che, per questo, occorre adottare metodi e accorgimenti di costruzione più sofisticati. 30 dicembre 1993: con delibera di giunta, il Comune di Molfetta acquisisce l'area in contrada Spina (di proprietà di Corrado Calò) dove saranno insediate le piscine. 12 maggio 1994: la giunta comunale accoglie la richiesta dell'Italco di aumentare il costo degli appartamenti, prevedendo un incremento di poco più di 50mila lire al mq (966.204 lire al mq, piuttosto che 915.478 lire). 23 maggio 1995: il consiglio comunale di Molfetta dà il via alle opere di urbanizzazione primaria in favore delle palazzine site in prolungamento di via A. Fontana. 23 novembre 1995: l'impresa Italco comunica al Comune di Molfetta la conclusione dei lavori. dicembre 2002: l'amministrazione comunale di Molfetta dispone lo sgombero di tre palazzine Italco. Sono a rischio crollo. primavera 2003: il sostituto Procuratore della Repubblica Antonio Savasta dispone un'inchiesta sui fatti delle palazzine di via A. Fontana. Oltre il lamento “Per non dimenticare” è uno slogan usato negli anniversari delle stragi di mafia per ricordare alla memoria collettiva che le vittime cadute sotto quintali di tritolo, o sotto il fuoco incrociato di cecchini senza volto, sono ancora lì che invocano giustizia. I cittadini delle palazzine Cer – Italco sul prolungamento di via A. Fontana, attraverso un loro rappresentante, hanno voluto usare lo stesso slogan per ricordare una strage annunciata ma, per fortuna, mai avvenuta. “PER NON DIMENTICARE che poco più di un anno fa, a 20 famiglie veniva notificata l'ordinanza di sgombero delle loro case, acquistate con anni di sacrifici; PER NON DIMENTICARE che ben presto altre 30 famiglie si vedranno notificare una simile ordinanza; PER NON DIMENTICARE che tutto questo sta lasciando tracce indelebili nella psiche dei loro cari figli; PER NON DIMENTICARE che in questa città, dove le case costano assai di più che nelle città limitrofe, accadono questi assurdi episodi; PER NON DIMENTICARE l'indifferenza, le lungaggini burocratiche per sbrogliare il caso; PER NON DIMENTICARE la rabbia che si ha in corpo per chiedere giustizia; PER NON DIMENTICARE che a distanza di un anno nessuno sa la strada da intraprendere; PER NON DIMENTICARE che il cancro delle loro case lentamente e inesorabilmente le sta divorando”. Questi alcuni passi del “lamento” di dolore dei nostri concittadini. Com'è noto, quella strage annunciata li ha risparmiati perché le palazzine non sono collassate improvvisamente. I segnali di pericolo si sono fatti annunciare in silenzio, lentamente nel tempo, e lo sgombero immediato ha evitato l'irreparabile. Il loro lamento disperato apparso sulla stampa locale nel mese di dicembre mi ha fatto riflettere a lungo su questa tragedia e il messaggio che voglio lanciare ai nostri amici potrà apparire provocatorio e impietoso: in realtà è sincero e disinteressato. Le argomentazioni che questi cittadini hanno usato per ricordarci la loro disavventura sono le stesse che devono usare per la soluzione del loro problema. Sono riflessioni semplici, e profonde al tempo stesso, che dovrebbero servire a creare una limpida consapevolezza di essere stati, attori e vittime inconsapevoli, per tutti questi 15 anni, della storia di una città di donne e uomini che continuano a sopportare ed accettare di essere dipendenti dalla cultura del “favore” e dello “scambio” anche nei momenti più tragici. Rispetto il loro lamento ma non posso condividerlo. In più occasioni ho invitato gli inquilini delle palazzine Cer a venir fuori da questo stato di soggezione, rinunciare alle paure, cominciando ad affermare a voce alta i loro diritti e denunciare i responsabili di questo disastro annunciato. Dopo un anno si dice che “nessuno sa la strada da intraprendere”! Ma cosa è successo dal giorno dello sgombero ad oggi? Cosa è successo dal 1988 ad oggi? Cosa hanno fatto tutti i nostri amministratori in questi anni? Hanno imbavagliato tutti, da quella maledetta sera del maggio '95 (il 23 maggio 1995 il consiglio comunale avviò le opere di urbanizzazione primaria in favore delle palazzine Italco, ndr). Hanno voluto che cadesse il silenzio su questa squallida vicenda che è lo specchio della nostra società; è un pezzo di storia politica e amministrativa di questa città fatta di speculazione edilizia, strane connivenze tra imprenditori e politici, cattiva amministrazione, malgoverno, cattiva gestione di fondi statali e quant'altro. Voi oggi inconsapevolmente potreste decidere le sorti di questo paese, la vostra storia deve diventare la nostra storia. Liberate le vostre coscienze e cominciate a raccontare ai vostri figli come intendete riscattare la loro e la vostra dignità che qualcuno ha voluto offendere tenendola in ostaggio. Abbandonate il vostro silenzio, durato anche troppo, e urlate la vostra rabbia a tutta la città. Se chiederete giustizia, cadrà quella indifferenza che avete denunciato e troverete la solidarietà ad ogni angolo delle nostre strade. Ai politici non dovete elemosinare nulla di quel che vi è dovuto: milioni di euro raccattati in una logica politica governativa spartitoria che non potranno mai essere spesi, se mai arriveranno. Non abbiamo mai sentito parlare, in tutto questo tempo, della volontà dell'amministrazione comunale di denunciare i possibili responsabili di questa sciagura, e di volersi costituire parte civile in un eventuale procedimento penale. Le casse comunali fino alla conclusione di questa vicenda si alleggeriranno parecchio; e chi pagherà? Non c'è dubbio, noi tutti. Dobbiamo chiedere tutti insieme che le imprese che hanno costruito male le vostre case mettano a vostra disposizione le loro proprietà immobiliari fino a quando si ricostruiranno le nuove palazzine. Insomma abbandonate la logica del lamento, tirate fuori il vostro orgoglio, la rabbia e il desiderio di giustizia e sarete circondati da una diffusa solidarietà che non è ancora arrivata forse perché non è stata da voi mai chiesta con convinzione. Matteo d'Ingeo
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