Un signore d’altri tempi
Ricordando l’amico Salvatore Magarelli
Da bambino rimanevo sconcertato quando sentivo qualcuno dire ‘sai, il tale ha perso la moglie, la talaltra ha perso il padre’ e via dicendo. Mi sembrava strano sto fatto di ‘perdere’ che era, ov- viamente, un modo delicato per indicare la morte di qualcuno. Non avevo, allora, sufficiente esperienza della vita per capire, né avevo subito lutti, per cui i miei interrogativi erano giustificati. Poi, col tempo, compresi. Indipendentemente dal fatto di credere o meno ad una esistenza ultraterrena, è indiscutibile il fatto che se ‘perdiamo’ fisicamente una persona cara tuttavia il ricordo di quello che ci ha detto, insegnato, o semplicemente, la vita condivisa, ‘’ritorna’, indissolubile nel tempo e lenisce un po’ il do- lore provocato dalla sua assenza. Questo vale, è naturale, per le persone che, ricambiate, ci hanno amato o comunque ‘dato’ qualcosa. Salvatore Magarelli non era mio parente, era solo un amico, una persona presente nella mia vita fin dall’infanzia perché’ il suo elegante negozio in corso Umberto era vicino all’ufficio della ditta ‘figli di Cosmo Sancilio’. La prima volta che lo vidi avevo più o meno una decina di anni e, trovandomi su corso Umberto vidi altri ragazzini che ‘giocavano’ a rubare i coperchietti dalle ruote delle biciclette parcheggiate lungo i marciapiedi; divertito e incosciente mi detti da fare pure io e ci provai con una bici proprio davanti al negozio di abbigliamento della famiglia Magarelli. Mente armeggiavo, sentii una voce pacata provenire dall’alto: ‘che stai facendo?’. Alzai la testa e vidi la faccia di Salvatore che, come al solito, sorrideva bonario… ‹Ma tu non sei il figlio di Gino Sancilio?› Mi bloccai subito, e scappai immediatamente. Era così Salvatore, amabile e pacato come sempre, quando accoglieva i clienti, lui e suo fratello Giovanni, con signorilità gentilezza e dignità però senza la benché minima ombra di servilismo. Veniva a giocare al Tennis club, d’estate a volte già in tenuta, fuori ‘stagione’ invece con un elegante trench chiaro a doppio petto in perfetto sti- le inglese sulla tenuta sportiva per cui penso che preferisse fare la doccia comodamente a casa sua. Appariva e spariva tra una battuta di spirito, qualche commento sull’an- damento del club e i soliti sfottò reciproci di rito in quell’ambiente. Sempre sorridente, cortese e contento di trovarsi fra gente conosciuta e simile a lui. Non l’ho mai sentito alzare la voce, alterarsi o abbandonarsi a ‘gesti in- consulti’ come usava dire il comune amico giudice Tonio Maralfa, colonna e personaggio storico del circolo. Quando ‘rimpatriai? anni fa ci incontravamo alla spiaggetta dietro il Duomo, dove arrivava con una sedia pieghevole in mano, e lì chiacchieravamo del più e del meno ragguagliandoci circa i nostri vissuti spesso e pur- troppo non piacevoli. Si appoggiava ad una stanza nel centro storico che gli serviva da cabina e da bottega per sue attività artistiche. Me la mostrò con orgoglio, mentre ci scambiavamo idee e opinioni sull’arte in genere, poiché’ anch’io artista dilettante. A volte, quando mi raccontava delle fregature, anche pesanti, in cui era incappato, distoglieva lo sguardo da me e fissava un punto lontano all’orizzonte quasi a voler scaraventare là i suoi amari ricordi e, allo stesso tempo ricrearsi l’anima e lo spirito con lo spettacolo, sempre bello di una natura forte, ricca e provvida, ancorché’ a volte crudele e impietosa. La cosa che mi rimase impressa fu il suo affettuoso consiglio e monito: ‘non ti fidare!’. Caro Salvatore, tutte le volte che da allora, per la mia ingenuità sono incocciato in ‘fregature’, mi sono dato la mano sulla fronte come San Pietro e mi sei subito venuto in mente. In futuro il tuo ricordo mi servirà a guardar- mi intorno con prudenza oltre che a far nascere sul mio volto un sorriso, simile a quello di chi ti ha amato e stimato per vincoli di sangue o di amicizia. © Riproduzione riservata