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Successo della mostra “Cavalli da amare” di George Farah
15 luglio 2016

Tra il 18 e il 24 giugno, notevole successo è stato riscosso, presso il maneggio “Macchia degli Esperti”, sito nella Zona industriale di Molfetta, dalla nuova personale dell’artista George Farah, “Cavalli da amare”, che riprende un soggetto già debitamente scandagliato dal pittore nell’allestimento “Passione cavalli”, realizzato nell’aprile 2013 nella sede Ane cittadina. Farah è artista di origine egiziana e di formazione e cultura francese; laureato in Lingua e letteratura francese, ha insegnato tale discipline nei due prestigiosi licei del Cairo, per poi trasferirsi in Italia, dove, a partire dal 1987, ha realizzato ben 11 personali in centri della regione pugliese, conseguendo sempre apprezzamenti per il suo stile estremamente personale. “Cavalli da amare” si configura quale intersezione di molteplici arti. Alla fotografia, passione coltivata con entusiasmo e dedizione dall’artista, si affiancano disegni, realizzazioni pittoriche e liriche, che ben esprimono la poliedricità di Farah. I suoi versi si connotano per una bellezza straniante, non priva d’influssi, soprattutto nella peculiare musicalità, della francofonia dello scrittore. Il tessuto assonanzato, la ricchezza dei richiami fonici, la feconda presenza del mito, così come della memoria biblica (si vedano le allusioni alla vicenda di Orfeo e della sposa di Lot), costituiscono i tasselli di un pregevole mosaico poetico, meritevole senz’altro di attenzione. Il percorso pittorico-figurativo, come ha ben evidenziato Damiano D’Elia, nel suo lucido discorso di inaugurazione della serata, dietro la maschera di un’apparente naiveté, consente di cogliere il ricco e pregevole retroterra artistico-culturale di Farah, che attinge all’arte egiziana e, in generale, alle suggestioni d’Oriente, per poi far proprie influenze delle poetiche del Novecento, in particolar modo dell’automatismo psichico surrealista. Così, quei cavalli che nei versi appaiono schiavi del Sentimento del Tempo, perennemente lanciati al galoppo, al fine di macinare istanti preziosi di vita, si muovono talora su scenari stralunatamente geometrizzanti, quasi corressero in un’aura di vetro. Talora, una luce arancio sembra fasciarne le membra sinuose, esaltarne le linee, mentre si slanciano tra nubi bambine, non di rado richiamate dalle chiome luminose di un albero, contraltare di altri rami spogli e secchi. Ora in solitaria maestà, ora protesi a camminare insieme in una perenne lotta contro il mondo delle ombre, i cavalli di Farah sono vessilliferi di un dolce mistero, preda di quella maledizione antica che impedisce di volgersi indietro nell’infinita baraonda del tempo edace.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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