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Successo della mostra antologica “Ritratti: 1966-2013” di Michele Paloscia
15 maggio 2014

In una Sala dei Templari gremita di pubblico è stata inaugurata, in data 12 aprile, la bellissima personale “Ritratti: 1966-2013”, dell’artista molfettese Michele Paloscia. A tenere a battesimo l’allestimento il prof. Gaetano Mongelli, docente di Storia della Comunicazione visivo-oggettuale c/o l’Università degli Studi di Bari. Come lo storico dell’arte ha dichiarato nella prolusione, è in fase di stampa il catalogo della ritrattistica di Paloscia, caratterizzato da un «taglio monografico e filologico articolato e ‘sofferto’». Concisa e pregna di doctrina l’orazione del prof. Mongelli, partito da una citazione manzoniana (“Il ritrattista è come lo scrivano obbligato a ricopiare un manoscritto sbagliato senza poterlo correggere”), per poi smentirne la validità, se ci si riferisce al lavorio di Michele Paloscia, che “rettifica il ‘manoscritto’, che da apocrifo diventa originale e originario”, spingendosi ben oltre il dato meramente ‘retinico’. La sua è un’inchiesta di quella bellezza, per Tucidide “possesso per sempre”, che diviene “apparizione continua”. I ricordi personali di Mongelli si intrecciano all’esame dell’itinerario creativo dell’autore della personale, per poi virare verso l’interrogazione, in riferimento a un articolo pubblicato in merito alla Mostra del Ritratto italiano allestita a Firenze nel 1911, sul ruolo che possa ancora ricoprire l’arte della ritrattistica nel 2011. È proprio nel suo “innervarsi d’eternità” che si cela il segreto della perenne attualità di questo genere pittorico. All’inaugurazione è intervenuto anche l’assessore alla Cultura, prof.ssa Betta Mongelli, e si è registrata, nel corso della serata, la presenza del Sindaco, la dott.ssa Paola Natalicchio. Quest’allestimento si impone all’attenzione per la pregnanza e la forza estetica, ma anche quale documento di mezzo secolo di storia della nostra città. Percorrendo i corridoi, si ha la sensazione che il passato riviva; si dialoga con gli sguardi di alcuni grandi intellettuali e artisti che purtroppo non passeggiano più per le vie di Molfetta, come il professor Lorenzo Palumbo o il celebre pittore Antonio Nuovo. Volti del passato si alternano a visi di bambini ormai divenuti adulti, accanto ad altri che sono ancora in boccio, perché figli dell’ultima ritrattistica di Michele Paloscia. Pittore che ha ereditato dal padre, come un dono genetico, la passione e l’acribia in questo dominio così complesso e affascinante. Ha una sua malia indefinibile il primo corridoio, quello sull’ala laterale, in cui sono conservate le prove meno recenti dell’artista, una addirittura ritoccata in corso d’allestimento. In apertura un estroso studio di autoritratto, cui seguono un Gaetano Mongelli - come s’è bonariamente definito il critico - con “alcune X in meno” e un accigliato e gravis Cosimo Allegretta. Poi una galleria di personaggi, tra i quali spiccano i fratelli Ettore e Gigliola, con i loro tratti segaligni, nel caso del giovane ammiccanti a qualche San Giovanni Battista ‘scugnizzo’ del Caravaggio. Figure figlie di un periodo, quello di Sorisole, particolarmente felice negli esiti e nella ricerca. Quasi fisiognomicamente lombrosiano il volto spigoloso della giovane di Molfetta vecchia sulla sinistra; l’immagine di Carla, invece, è un inno alla giovinezza e alla bellezza, tutto risolto nel controcanto tra la molteplicità di sfumature cromatiche dello sfondo, le tonalità d’azzurro della camicia e il bruno della morbida capigliatura. Molto efficace il ritratto di Ofelia Bellucci Azzollini, che si staglia in un cono d’ombra come un genius loci che affiori da un’altra epoca e rifulga nell’energia dello sguardo vivido e indagatore. L’ala laterale di destra, che poi confluisce a fondo sala, è altrettanto densa di suggestioni: dalla pluralità di ritratti di ‘matrone’ e adolescenti, ma anche avvocati e ingegneri, del pannello più denso di opere - tra cui spiccano anche alcune raffigurazioni di Rosalba, Musa effigiata in più periodi e in situazioni e scenari sempre diversi (anche immersa nella Lectura), non di rado con caratteri che sfiorano l’allegorismo - si procede sino a pervenire al riuscito ritratto di Mons. Donato Negro, che idealmente chiude la galleria. Si riconoscono figure del jet set cittadino, sicure nella loro capacità di dominio sulla realtà e apparentemente disinvolte al posare dinanzi allo sguardo dell’artista, ma non prive di intime fragilità, che il pittore in qualche modo rivela. Tra le prove più significative, l’ultimo autoritratto in ordine cronologico, quello che accomuna Paloscia e Mongelli, a suggellare la loro decennale amicizia; i ritratti di bambini, come la pensosa Agnese e l’acquatico piccolo Andrea (figlia e nipote dell’artista), un puttino delizioso nell’esibizione della dolce pinguedine tipicamente infantile. Estremamente varie sono le psicologie, che in ogni opera risaltano con forza, regalandoci delle figure in sé compiute: l’Anna Paola che varca il limitare di gioventù; “Angela delle fiabe”, che emerge come da un sogno rétro, disperatamente rimpianta dal marito attraverso i versi di Auden; Federica, con la sua fanciullezza sorridente, tra il candore del viso, il rosso squillante delle vesti e il celeste dello sfondo, cantico di Vita che s’affaccia alla Vita.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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