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Sgominata banda di criminali che estorceva denaro a imprenditori edili e cittadini
06 ottobre 2005
MOLFETTA - 6.10.2005 Sembrava una normale carrozzeria e aveva anche una sua efficienza nel testare le autovetture. In realtà si trattava di veicoli rubati, mentre l'officina serviva come base logistica di un'organizzazione criminale dedita all'estorsione dai proprietari degli automezzi ai quali veniva promessa la restituzione della vettura o del camion, in cambio di denaro. Era una vera e propria banda quella che agiva a Molfetta e nel nord barese ed era riuscita a far cadere nella sua trappola anche la "Multiservizi Spa", società a partecipazione comunale, che - secondo i primi accertamenti - avrebbe pagato un "pizzo" di 800 euro senza denunciare l'estorsione. Un dirigente di quest'ultima azienda - è stato accertato nel corso delle indagini - sarebbe stato contattato dal capobanda e avrebbe condotto la trattativa conclusasi con il pagamento della somma di denaro per la restituzione di un mezzo rubato, un furgone "Fiat Iveco". Le indagini mirano, inoltre, ad accertare in che modo gli 800 euro siano stati celati nella contabilità della società ed eventuali responsabilità di dirigenti della stessa. E' stato il sostituto procuratore del Tribunale di Trani, dott. Giuseppe Maralfa (nella foto), a condurre per oltre 6 mesi le indagini e a sgominare la banda con un blitz notturno dei carabinieri in varie zone della città, che ha portato a 11 arresti su ordine del Gip Michele Nardi. A capo dell'organizzazione c'era un detenuto in semilibertà, Saverio Piccininni di 41 anni, che aveva come braccio destro Michele La Forgia di 54 anni. L'operazione è stata denominata "by pass" frase che - come è risultato spesso dalle intercettazioni telefoniche - era ripetuta dallo stesso La Forgia, mente della banda, il quale riferiva sempre di avere alcuni by-pass che gli impedivano di irritarsi, per cui "era opportuno" per motivi di... salute, evitargli "incazzature" per qualcosa che andava storto. Insomma, una cardiopatia da rispettare. Le indagini sono state avviate dal magistrato, dopo che a Molfetta dal 27 marzo al 2 aprile si erano verificati due attentati con l'utilizzo di esplosivo ai danni di altrettanti esercizi commerciali (una pizzeria e una videoteca, notizie rilevabili dall'archivio di "Quindici on line"). All'epoca, dalle dichiarazioni delle vittime non emersero elementi importanti ma gli inquirenti ritenevano altamente probabile che ci fosse un movente estorsivo alla base degli episodi. Anche "Quindici" lanciò l'allarme e intravide la mano del racket dietro questi attentati ed espresse la preoccupazione per l'eventuale proliferazione del fenomeno e più in generale per la sicurezza della città e dei suoi abitanti. Dopo una serie di pedinamenti e osservazioni nei confronti di pregiudicati di Molfetta che già da tempo erano sospettati di essere coinvolti in un giro di estorsioni, soprattutto con il sistema del cosiddetto "cavallo di ritorno", cioè il pagamento del pizzo per la restituzione del veicolo rubato, gli inquirenti sono riusciti a mettere le mani sull'organizzazione. Sotto osservazione è finito proprio La Forgia, pregiudicato, detto "Gamba di legno": gli investigatori avevano notato, grazie a un binocolo, che l'uomo si era recato in un cantiere edile di Molfetta dove aveva ritirato un plico da un imprenditore. Una conferma ulteriore dei sospetti del giro di estorsione proprio ai danni di imprenditori edili, approfittando del nuovo sviluppo dell'attività edilizia che vede impegnate decine di imprese con l'impiego di attrezzature e mezzi meccanici di notevole valore commerciale. E la criminalità ha voluto la sua fetta di "affare", individuando nella "protezione" dei cantieri una facile fonte di guadagno. Alle attività di pedinamento e di intercettazioni telefoniche e ambientali, si sono aggiunte alcune testimonianze delle vittime che hanno consentito di acquisire concreti elementi di prova. Finora sono state accertate estorsioni nei confronti di otto imprenditori edili, proprietari di cantieri a Molfetta, e circa 20 episodi di "cavalli di ritorno", fra cui quello della "Multiservizi". Dalle indagini sono emersi anche numerosi casi di furti e ricettazione di autovetture, mezzi e attrezzature da lavoro. La merce di provenienza furtiva, non destinata al "cavallo di ritorno", veniva consegnata alla carrozzeria di Laforgia che fungeva, come detto, da base operativa dell'organizzazione. I mezzi venivano testati da Sergio De Pinto, 28 anni, anche lui arrestato e posto ai domiciliari, che ne accertava l'efficienza. Compito simile nell'attività di ricettazione l'avevano a Bitonto, Antonio Agostinacchio, 38 anni, e a Bisceglie Giuseppe Cuocci, 49 anni, entrambi finiti in manette. Questi gli altri arrestati: Ambrogio Airoldi, 26 anni, Luigi Fruittidoro, 62 anni, tutti di Molfetta, e Giovanbattista De Gennaro, 28 anni, di Terlizzi, i quali sono stati posti agli arresti domiciliari. A Giuseppe Pati, 30 anni, di Molfetta, l'ordinanza è stata notificata nel carcere di Trani dove l'uomo è tuttora rinchiuso per altri reati. Sempre nel carcere di Trani sono stati rinchiusi i molfettesi Massimo Iannelli, di 22 anni e Michele Castriotta, 51 anni. Nel corso delle perquisizioni domiciliari, effettuate da circa 60 carabinieri con l'ausilio di un elicottero e di unità cinofile, sono stati ritrovati e sequestrati macchinari e attrezzature da lavoro di probabile provenienza furtiva. Due proprietari di altrettante autovetture rubate sono stati denunciati in stato di libertà per favoreggiamento nei confronti di La Forgia: avevano negato di aver pagato somme di denaro per ottenere la restituzione degli automezzi. Infine sono state avviate misure di protezione, anche con sistemi di videosorveglianza, in alcuni cantieri edili di Molfetta. In una conferenza stampa svoltasi in mattinata alla Procura di Trani il procuratore capo, Nicola Barbera, (nella foto, da sinistra i giudici Maralfa e Barbera, con un ufficiale dei carabinieri),
ha rivolto un appello ai molfettesi affinchè non indugino a denunciare eventuali episodi di estorsioni e minacce, sottolineando che in caso contrario, visti gli elementi già in possesso dei carabinieri che proseguiranno le indagini, nei loro confronti potrebbe configurarsi l'ipotesi di favoreggiamento in reato. Secondo Barbera è stata debellata "solo parte di un fenomeno radicato che conta molti adepti in una città imprenditorialmente dinamica qual è ora Molfetta". Insomma, il racket esiste e fa paura, proprio perché la gente non parla per timore di ritorsioni, allargando, perciò l'area di un'omertà diffusa che finisce per danneggiare tutti e favorire i criminali.
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Roberto Poli
09 Ottobre 2005 alle ore 00:00:00
Ci voleva: l'amputazione delle mani per i reati di furto; i lavori forzati per i reati di ricettazione; l'eliminazione fisica, sotteranea e silenziosa, per tutti questi criminali. P.S. Onore a Maralfa, il vero sindaco della città di Molfetta.
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cittadina preoccupata
07 Ottobre 2005 alle ore 00:00:00
sono gli arresti domiciliari che destano la mia preoccupazione. Solo questa è la punizione per un reato di estorsione? starsene a casa, in famiglia, seduti al guardare la TV e un buon pasto caldo? (seppure)! .....tanto di perdere la faccia, che gliene frega!
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Piramide Ovale
07 Ottobre 2005 alle ore 00:00:00
Siete tutti bravi a far discorsi. Danto questi usciranno frà qualche giorno.Con conseguente spreco di denaro pubblico. Alla redazione una domanda. Perchè non mostrate le foto ? Un famoso assassino (Saverio 7 punti),già in giro da tempo secondo Voi cosa volete che faccia. Cosa volete che faccia un onesto lavoratore difronte a questi animali, se poi dopodomani gli ritrova davanti alla porta di casa. Perchè la nostra Citta resti tranquilla bisogna DENUNCIARE
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Maria Minervini
06 Ottobre 2005 alle ore 00:00:00
Criminalità e racket siamo proprio messi male a Molfetta. Per fortuna la magitratura interviene a stroncare queste operazioni. Ma Molfetta non è più una città tranquilla.
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Bruno Lobasso
06 Ottobre 2005 alle ore 00:00:00
Bravo Maralfa, bella operazione.
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Lettore Affezionato
06 Ottobre 2005 alle ore 00:00:00
E' indecente che una azienda municipalizzata abbia pagato il pizzo senza denunciare l'accaduto alla magistratura. Quei soldi sono soldi pubblici e quindi anche nostri! Questa è l'ennesima dimostrazione del degrado morale cui ci ha condotto questa classe dirigente. E' ora di cambiare!
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