Salomé
Il racconto
In fin dei conti ero ancora quasi una bambina, una adolescente con il corpo ancora acerbo ma che già faceva intuire la bellezza che gli anni avrebbero rivelato nel tempo. Questa è stata la mia rovina. Ho baciato la tua bocca, Giovanni, quella bocca che diceva parole di fuoco, parole che avevano scatenato la furia della Regina, mia madre. Il Re non voleva che ti imprigionassero, ma a lei non sapeva (e non osava) rifiutare nulla, e allora ordinò che ti mettessero in una delle celle più buie e inaccessibili della reggia. Sperava ancora di salvarti. Sono venuta giù, la mia curiosità di vederti da vicino mi aveva portato a corrompere i carcerieri per farmi entrare, erano miserabili che si vendevano per poco. Ti ho visto: indomito, libero come quando pronunciavi parole di fuoco, e ti ho chiesto di lasciarmi baciare la tua bocca. Mi hai guardata con pietà, quasi con tenerezza, e hai detto ai carcerieri di portarmi via. Ero indignata! Nessuno avrebbe dovuto osare di rifiutare qualcosa alla figlia della Regina! Poi mia madre mi fece vestire di veli preziosi, adornare con i suoi gioielli più belli, e io danzai, ero brava, conoscevo le movenze più sensuali ed armoniose. Il Re era incantato. “Chiedimi ciò che vuoi, anche fosse la metà del mio Regno e te lo concederò!”. Andai da mia madre, in fondo non c’era niente che desiderassi veramente, “Chiedigli la testa del Battista!”, mi rispose. Non mi rendevo bene conto di quello che facevo e alla richiesta vidi il sorriso velenoso di mia madre e un lampo di orrore negli occhi del Re. Io mi sarei vendicata del suo rifiuto. Aveva promesso, non poteva rifiutare, così portarono la tua testa su un vassoio d’argento. Mi avvicinai: le tue labbra sembrava conservassero ancora la vita, e fra lo sgomento dei presenti baciai la tua bocca. Ho baciato la tua bocca, Giovanni, e da allora non ho più avuto pace. Andrò a cercare quell’uomo, quello per cui hai dato la vita. Sarà la mia condanna. O la mia salvezza. Lo avevo incontrato per la prima volta nell’ufficio di mio padre, e non ero più riuscita a togliermelo dalla testa, un giovane attraente Avvocato che dicevano avesse un grande avvenire davanti a sé. Mio padre era in realtà il secondo marito di mia madre ma mi voleva molto bene e assecondava qualsiasi mio capriccio e poi se avesse mancato in qualche cosa avrebbe dovuto affrontare le ire di mia madre che lo soggiogava completamente. In quella stessa occasione avevo conosciuto il Giudice, un uomo dall’aspetto severo ma che ispirava fiducia. I tre uomini parlavano animatamente e si erano interrotti al mio arrivo, mio padre che sembrava sconvolto, mi aveva fatto segno di uscire, in un modo severo che non ammetteva repliche. Mia madre detestava l’Avvocato e in un certo modo lo temeva, non capivo perché, lei non aveva paura di nessuno. Qualche giorno dopo ci fu una festa, una di quelle feste in casa nostra sempre affollate di gente che spesso non conoscevo e non mi piaceva. Erano arrivati tutti gli invitati e si commentava l’articolo che aveva scritto l’Avvocato su un giornale nazionale e prendeva di mira soprattutto mia madre il cui furore era arrivato alle stelle. Dopo il ricchissimo buffet (sono sicura che molta gente venisse soprattutto per mangiare), mia madre mi costrinse a danzare. Prendevo lezioni di danza fin da piccola ed ero brava. Così danzai, nel silenzio ammirato dei presenti, pensavo all’Avvocato che non era venuto con un misto di desiderio e di rancore. Quando la mia danza finì fra gli applausi dei presenti, il mio patrigno mi chiamò: aveva gli occhi lucidi. “Quanto sei brava – mi disse – chiedimi quello che vuoi e te lo comprerò”. Che potevo volere, avevo tutto, quello che volevo era che l’Avvocato si interessasse a me, ma capivo che questo non potevo comprarmelo. Andai da mia madre, vidi il suo velenoso sorriso mentre gli dicevo che non sapevo cosa chiedere “Chiedigli la testa dell’Avvocato”, poi vedendo che impallidivo: “Che hai capito sciocchina, non voglio certo la sua testa, ci sono tanti modi per distruggere un uomo”. Ben gli stava all’Avvocato, avrebbe capito chi comandava, e si sarebbe finalmente interessato a me. Il mio patrigno impallidì alla mia richiesta, ma era un uomo d’onore, aveva promesso davanti agli ospiti e non poteva perdere la faccia. Qualche giorno dopo tutti i giornali riportavano la notizia che l’Avvocato, una delle promesse della Magistratura, era stato radiato dall’Albo per presunti traffici di droga. Inutilmente aveva protestato la sua innocenza. Improvvisamente mi resi conto di quello che avevo fatto (“Ci sono tanti modi per distruggere un uomo”), ero stata io la causa della sua rovina. Ripensai fra le lacrime al suo volto serio e leale, al suo non scendere a compromessi: forse potevo ancora aiutarlo. Sarei andata a parlare con il Giudice, mi avrebbe ascoltata. Questa sarebbe stata la mia condanna. O la mia salvezza. © Riproduzione riservata
Autore: Marisa Carabellese