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Riportato a galla il caso Truck Center a Molfetta: da che parte è la giustizia? Il Comitato 3 marzo e i parenti delle vittime dopo la sentenza di assoluzione degli imputati in Appello, faranno ricorso in Cassazione
31 ottobre 2017

MOLFETTA - A quasi 10 anni dalla tragedia si chiede ancora giustizia, si reclamano ancora diritti, si lotta ancora: la sentenza avvenuta a luglio, che ha assolto tutti gli enti, salvo la Truck Center stessa, riporta a galla il caso che ha visto morti cinque molfettesi sul posto di lavoro nella cisterna maledetta; il lavoro che, come sostenuto in un intervento post incontro, non solo è carente, ma, per quel poco che c’è, è spesso insicuro.

E niente lo dimostra meglio del caso Truck Center, di cui si parla, in presenza dei parenti delle vittime in Piazza Paradiso, domenica 29 ottobre, durante lo svolgimento del Fa, Fiera Delle Autoproduzioni.

Ricordiamo che l’incidente si verificò il 3 marzo 2008 nell’azienda di Molfetta. Gli operai persero la vita per le esalazioni di acido solfidrico sviluppatesi in una cisterna per il trasporto dello zolfo liquido che stavano pulendo. Tra le vittime il titolare dell’azienda, Altomare, gli operai Luigi Farinola, di 37 anni, Guglielmo Mangano, di 44, Michele Tasca, di 19, e l’autotrasportatore Biagio Sciancalepore, di 24 anni, i quali nel tentativo reciproco di salvarsi, furono uccisi dalle esalazioni di acido solfidrico provenienti dalla cisterna che avrebbero dovuto bonificare. La Corte di appello di Bari ha assolto “per non aver commesso il fatto” e, per alcuni, ha dichiarato la prescrizione dei reati. Assolte anche tre delle quattro società coinvolte nel processo, Fs Logistica, Cargo Chemical Spa, La Cinque Biotrans Snc, Nuova Solmine Spa. Confermata soltanto la responsabilità della società Truck Center Sas per violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro (con riduzione della sanzione amministrativa a 300mila euro) il cui titolare, Vincenzo Altomare, fu una delle vittime. Revocati i risarcimenti danni alle parti civili, Regione Puglia, Comune di Molfetta e alcuni familiari degli operai morti.

«Nessuna delle persone che, quel lontano 3 marzo, morì per esalazione di acido solfidrico ma anche per umanità, in quanto gli operai tentarono di salvarsi la vita a vicenda, si sarebbe aspettata una sorpresa tanto drammatica. Eppure la responsabilità è ricaduta interamente su di loro», sostiene Ciccio Mancini, appartenente al Comitato 3 marzo, sorto in seguito alla tragedia dall’unione di associazioni e partiti molfettesi.

Non è fuori discussione la responsabilità dell’amministratore della Truck Center stessa, per il fatto di non aver adottato le misure di precauzione e sicurezza necessarie, ma l’Eni e la Nuova Solmine non possono certo passare inosservate, al contrario di quanto stabilito dalla sentenza che, dopo la convocazione in separata sede delle due associazioni, le ha ritenute innocenti.

Secondo il Comitato 3 marzo, sembra, invece, che l’Eni e la Nuova Solmine, rispettivamente mittente e destinataria dello zolfo fuso con annessi residui di acido solfidrico, a conoscenza del pericolo letale contenuto nelle ferrocisterne, abbiano omesso volontariamente  le indicazioni della presenza, in quantità notevoli, di acido solfidrico, che avrebbe dovuto essere smaltito secondo le procedure di bonifica, rinviate dall’ Eni per non affrontarne i costi.

Dal punto di vista umano, l’aspetto peggiore della situazione è il presunto accordo fra i due enti che, per ragioni lucrative, hanno preferito compromettere la vita di altre persone piuttosto che agire secondo le norme, a parere del Comitato.

«Ma di questo, in Tribunale, se ne sono lavati le mani. Noi invece continuiamo a chiedere giustizia affinché questi cinque operai non siano morti invano, ma possano essere , oltre che esempio di solidarietà, punto di partenza per il miglioramento delle condizioni di sicurezza», dichiara, scossa, la madre del diciannovenne Michele Tasca, una delle vittime della tragedia.

«La battaglia non si arresta perché in Cassazione rivendicheremo quanto ci spetta, anche se con poche speranze, viste le modalità con cui il processo è stato portato avanti fino a questo momento», afferma Stefano Sciancalepore, padre di un’altra delle vittime, Biagio Sciancalepore.

E mentre i danni vengono pianti da chi subisce le perdite, resta solo da attendere e continuare a combattere per vedere «Da che parte è la giustizia?».

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