Questa mattina al Museo archeologico di Molfetta spettacolo teatrale “Il sogno di Gea” del Carro dei Comici
MOLFETTA – Va in scena oggi alle ore 11.30 nel Museo Civico Archeologico sito nelle vicinanze del Pulo di Molfetta lo spettacolo teatrale : “Il sogno di Gea” scritto e diretto dal regista Francesco Tammacco della compagnia “Il carro dei comici”, con Claudia Castriotta, Claudia Gadaleta, Marco Sallustio, Gemma Amato, Arianna Orvieto, Carlo Salvemini, AnnaPaola Ragno, Giovanna Guarino, Claudia Buono, Martina Ciannamea, Valentina de Candia, Pierluigi de Palma, Domenico Esposito, Anna Ely Nappi, Nicole Turtur, Giorgia Spadavecchia, Andrea De Candia.
Note di regia suggerite dalla recensione di Giacomo Pisani, redattore di “Quindici”:
Riscoprirsi nel ventre della Grande Madre, trascinati da suggestioni intricate, mai risolte, suscita quelle emozioni ancestrali, spontanee, che sciolgono l’uomo da ogni vincolo, da ogni mediazione. Il cerchio universale, in cui si racchiude il mistero generativo della vita, si lascia svelare dalla danza creatrice della donna. Creatrice di sogni, di passioni, di pulsioni autentiche, che immettono l’uomo direttamente nel ritmo della natura.
La donna, così, porta l’individuo a ripercorrere la via del sentimento, cammino strano, sciolto dall’ansia stringente dei motivi quotidiani, sempre uguali, sempre finiti. Nell’amore l’uomo si apre all’infinito, intravede il proprio oggetto vivendolo in sé stesso, riscoprendo la danza del proprio universo interiore. E’ così che la natura rivela il proprio mistero, cullata dal chiarore primordiale della luna.
E’ lì la chiave, tutto è al centro della Grande Madre, sotto l’immensità inesplorabile del cielo, racchiuso nello sguardo della donna, nel mistero insondabile del suo ventre. Tutto è lì, l’infinità vissuta dei sentimenti, oggettivata nel principio della vita. La luna, stimolatrice di riscoperte riflessioni, approssimate alla misteriosa fonte creatrice dei sentimenti, della vita, dei sogni, ispira il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, nelle parole degli attori: “Ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale?”: così, ripercorrendo riti culturali, scene di caccia e di sacrificio che hanno animato la vita primitiva, lo spettatore rivive i simboli che hanno espresso il legame immanente dell’uomo con la natura.
Ma il segreto eterno, che racchiude il senso del nostro vagare, del nostro approssimarci alla bellezza in sé, al sentimento disinteressato, attraverso la soggettività mai finita della donna, è ormai stato violentato. Quella bellezza, motore dell’universo sognante dell’uomo, è stata ricoperta da distese di palazzi, macchine, fonti di immediato appagamento materiale. Tutto è qui, tutto nel mondo finito.
Non c’è più niente sopra il cielo, a reggere la luce delle stelle, della luna. Persino il mistero della donna si perde nella corsa spietata allo sfruttamento, all’appagamento carnale. “E’ tempo”, è tempo di risalire nell’unico mondo ammissibile, l’unico che non promette vie di fuga.