Quale memoria? Rifondazione Molfetta: l’amministrazione comunale mescola vergognosamente il Giorno della Memoria con quello del Ricordo (voluto dai post fascisti missini)
MOLFETTA – Rifondazione comunista di Molfetta ha diffuso un comunicato giustamente molto critico nei confronti dell’amministrazione comunale di Molfetta, presieduta da Tommaso Minervini per denunciare la confusione tra il Giorno della Memoria 27 gennaio (la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa) con il Giorno del Ricordo del 10 febbraio (le foibe, celebrazione voluta dai post fascisti).
Non c’è da meravigliarsi per la presenza della giunta comunale di un assessore esponente della destra postfascista locale, che ha spesso vantato questa appartenenza. Ci meraviglia, come un sindaco che rivendica l’antifascismo e si richiami a Gaetano Salvemini, per necessità di tenere insieme una coalizione politica di destra-centro, si faccia promotore di un’iniziativa che mescola vergognosamente le due cose.
L’obiettivo è quello di celebrare due volte le foibe (anche il 10 febbraio)? “Quindici”, rivendicando il proprio antifascismo (di questi tempi post fascisti meloniani, è necessario farlo) ha scelto volontariamente di ignorare e di non pubblicare il comunicato dell’ufficio propaganda del sindaco che mescolava le due date, creando confusione nella cittadinanza. L’antifascismo si dimostra con i fatti, non con le parole.
Ecco il comunicato stampa di Rifondazione: «Si apprende, da manifesti apparsi in giro per la città, di un’iniziativa patrocinata dall’Amministrazione Minervini riguardante la rassegna teatrale “Per non dimenticare” che sta avendo luogo queste settimane presso la Cittadella degli artisti. Le due date, quella del 25 gennaio e quella del 16 febbraio, mettono in scena due spettacoli aventi come temi, il primo, la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa; il secondo, la questione delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. A congiungere i due eventi, specifica il manifesto, sarebbe proprio il filo rosso della memoria e il riflettere sul passato e sul presente.
Sebbene sia dovuto celebrare il memoriale, come ogni anno, del dramma collettivo europeo che è stata la Shoah del popolo ebraico e degli altri internati dell’abominevole sistema dei campi di sterminio nazisti (sovente ci si dimentica il sacrificio degli oppositori politici, italiani e non, al nazi-fascismo), ci appare totalmente inopportuno e grave equiparare questo evento e quello del Giorno del Ricordo, presentando le commemorazioni nella stessa rassegna.
L’amministrazione però non è originale in questa trovata. Non a caso, infatti, la storiografia recente ha dato un nome a quel processo politico che a inizio anni Duemila decise di contrattare l’istituzione del Giorno della Memoria (voluta fortemente dal Centro-sinistra) con il Giorno del Ricordo (voluta fortemente dal Centro-destra e dai post-fascisti di Alleanza Nazionale), e cioè “Lottizzazione della memoria”.
Questo mercanteggiare portò infatti nel 2004 all’istituzione, il 10 febbraio, della ricorrenza civile che vuole ricordare l’eccidio degli italiani di Istria e Dalmazia da parte della popolazione slava locale e del successivo esodo forzato dei primi da quei territori.
L’operazione non è da considerare aberrante solo da un punto di vista simbolico e numerico. Anche se, già così, non farebbe certo onore equiparare i milioni di morti dell’Olocausto pianificato dai nazi-fascisti ai circa 3.000 o 5.000 morti determinati dagli eventi sul Confine orientale tra l’autunno del ’43 e l’estate del ’45. Il punto davvero problematico della celebrazione del Giorno del Ricordo sta, invece, nella strumentalizzazione di un evento storico di quella portata in senso anticomunista, addossando colpe all’Esercito titino che nessuna fonte storica riconosciuta ha mai dimostrato, soprattutto nelle dimensioni che certa destra è pronta a giurare.
In secondo luogo, poi, commemorazioni di questo tipo si sono dimostrate ree in passato di non portare una lettura complessiva di quello che è stato il Confine orientale e il rapporto tra italiani, sloveni e croati a partire dal Primo fino al Secondo dopoguerra.
Queste mistificazioni e semplificazioni sono state ammesse persino da Raoul Pupo, storico triestino affermato che per primo fece luce sui cosiddetti infoibamenti e sulla rimozione di questi eventi da parte della storiografia italiana. È relativamente recente, infatti, una sua intervista al giornale trentino Dolomiti in cui afferma espressamente che “L'utilizzo di un linguaggio banalizzante e semplificatorio ne è l'esempio. Si parla tanto di foibe perché impattano maggiormente sull'opinione pubblica, ma nella categoria di infoibati si comprendono anche persone uccise in altri modi o scomparse”.
L’invito che si vuole fare all’amministrazione, allora, è quello, come ricordavamo qualche anno fa, a ricordare tutto, quindi non solo la violenta risposta delle popolazioni slave all’invasore italiano e fascista, canto del cigno della barbarie collettiva che è stata la Seconda guerra mondiale; ma anche la terribile oppressione civile, prima, e militare, poi, che il Regno d’Italia operò nei confronti di quanti non si ritenevano italiani etnici, ma che si ritrovarono obtorto collo a essere sudditi sabaudi dopo il Primo dopoguerra.
E, proprio perché conosciamo la memoria “opzionata”, di questa amministrazione è bene ricordare qualche evento saliente. Potremmo iniziare, ad esempio, con il vile attacco che lo squadrismo fascista consumò nei confronti del Darodni Dom, la casa di cultura slava di Trieste, consegnandola alle fiamme il 13 luglio del 1920.
Per non parlare dell’aggressiva politica di italianizzazione forzata che portò l’intera popolazione slava non solo a rinunciare alla propria lingua, ma persino al proprio cognome. Non è raro, infatti, trovare addirittura fratelli con cognomi diversi, proprio perché le fantasiose e arbitrarie storpiature dei suffissi slavi da parte degli amministratori fascisti variavano di caso in caso.
Si potrebbe poi ricordare note meno di colore, anzi proprio bianco e nere, privilegiando quest’ultimo colore. Si fa qui riferimento alla temibile Circolare 3c del marzo ‘42 del generale Mario Roatta, a capo delle forze di occupazione in Jugoslavia, in cui si chiariva che il trattamento “da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula "dente per dente" ma bensì da quella "testa per dente!".
Si può concludere poi citando i campi di concentramento, creati per portare a compimento una vera e propria pulizia etnica della componente slava in quei territori, come quelli di Gonars e Arbe. Quest’ultimo, è stato dimostrato, registrava una mortalità del 19%, superiore persino ad alcuni lager nazisti come Buchenwald, che invece si attestava sul 15%.
Non si fa fatica ad immaginare quale possa essere stato quindi il sentimento della popolazione slava, più o meno irreggimentata nell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia (in cui si ricorda, dopo l’8 settembre ‘43, si arruolarono a milioni soldati sbandati italiani) in un contesto come quello della guerra.
Speriamo dunque che questa breve rassegna di comprovanti eventi e dati possa aiutare persino la componente meloniana di questa amministrazione a ricordare TUTTO questo 10 febbraio e a riconoscere, come si è timidamente fatto per la Giornata della Memoria, i crimini fascisti».
© Riproduzione riservata