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Perché la Shoah: Michele Spadavecchia degli “Eredi della storia” all'Associazione Eirène di Molfetta
05 marzo 2015

MOLFETTA - “I am a Jew. Hath not a Jew eyes? Hath not a Jew hands, organs, dimensions, senses, affections, passions? Fed with the same food, hurt with the same weapons, subject to the same diseases (…) as a Christian is?” (“Io sono un Ebreo. Non ha occhi un Ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni un Ebreo? Non è nutrito dallo stesso cibo, ferito dalle stesse armi, soggetto alle stesse malattie di un Cristiano?) (William Shakespeare, The merchant of Venice, Atto III scena I). Così Shylock, l’ebreo shakespeariano, poneva una questione tanto ovvia quanto cruciale, contro i suoi detrattori. Il popolo ebraico è sempre stato vittima di persecuzioni, come dimostra già l’opera dell’autore inglese del sedicesimo secolo, sarà per la maledizione di non avere una terra, per la posizione che occupava nelle attività finanziarie (Shylock stesso era un usuraio) o per la “colpa” di aver causato la morte di Cristo. Senza dubbio l’episodio più eclatante e crudele è quello della Shoah, di cui sempre si parla per cercare di evitare che un tale fenomeno si ripeta. Il prof. Michele Spadavecchia, presidente dell’associazione “Eredi della storia”, ha rievocato gli elementi salienti dell’Olocausto nella serata “Perché la Shoah”, tenutasi alla sede dell’associazione Eirène, di cui Lucia Sgherza (nella foto) è la presidente. Il processo di esclusione e disumanizzazione degli ebrei è stato talmente lento e così graduale che il popolo tedesco quasi non se n’è reso conto. Bisogna premettere che quello era un periodo particolare per la Germania, uscita sconfitta dalla Grande Guerra e strozzata economicamente dalle potenze vincitrici, tanto che il marco aveva ormai il valore di carta straccia. L’enorme crisi e la decadenza derivatene spinse il Paese ad accettare una soluzione, una qualunque soluzione, che gli permettesse di vedere la luce e tornare alla precedente grandezza. Ecco perché Hitler venne accolto come una specie di salvatore della patria e il partito nazista riuscì a salire al potere, con tutte le conseguenze che conosciamo.

Dapprima fu pensato di deportare gli ebrei in Madagascar, ma la soluzione fu impossibile da attuare a causa di difficoltà logistiche e anche perché la Royal Navy inglese controllava i mari e non avrebbe mai permesso un’azione del genere. Nel febbraio del 1941 Hitler e Robert Ley, politico tra i più importanti del Partito Nazionalsocialista, pensano alla Judenfrage, la soluzione finale per eliminare questo popolo; l’importante però era rendere il provvedimento legale. Ma il tutto cominciò molto prima. Per prima cosa era necessario definire chi era da considerare ebreo, ovvero i praticanti, coloro che avevano uno o entrambi i genitori o i nonni ebrei. Si cominciò poi col boicottaggio delle attività commerciali, ad opera delle cosiddette camicie brune, che si piazzavano davanti ai negozi ed esortavano la gente ad andarsene e a non entrare. Il 13 settembre 1935 venne promulgata la legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco, vietando i matrimoni tra ariani ed ebrei e vietando alle famiglie ebree di assumere personale di razza ariana. Nel ’38 fu emanato l’ordine di chiusura delle attività e l’obbligo di vendita a compratori tedeschi a prezzi irrisori: agli ebrei non era concesso di possedere nulla; infatti in seguito venne anche vietato di avere capi di vestiario “superflui”, biciclette, apparecchi elettrici e oggetti di valore in genere, i quali andavano consegnati, fu persino vietato di avere animali domestici; in alcune città era negato loro l’ingresso; nel ’42 fu anche vietato l’insegnamento ai bambini di religione ebraica, divieto che però fu aggirato da attività di studio clandestine. C’era la possibilità di lasciare il Paese, ma solo a costo di un pesante versamento, fu infatti istituita la tassa sulla migrazione. Quelli che rimanevano erano destinati al lavoro coatto nelle fabbriche e nel 1941 ci fu l’obbligo di portare la stella gialla a sei punte, simbolo del giudaismo, come segno di distinzione e insieme arrivò la deportazione verso i ghetti (che mai furono posti in Germania, a causa di una certa resistenza); questa forzata segregazione era indice della completa rottura di tutte le relazioni sociali tra tedeschi ed ebrei e significava anche la completa disumanizzazione di questi ultimi. Nei ghetti era anche seguita una dieta particolare, senza pane bianco, panini, carne e uova e il cibo era razionato, raggiungendo quantità inferiori alle razioni giornaliere dei detenuti; l’obiettivo era affamare gli ebrei e questo portò a circa 5.000 morti al giorno, a causa di malattie, epidemie e stenti.

Il 20 gennaio 1942 ci fu il convegno di Wannsee, tenutosi in una villa sul lago omonimo, durante il quale si riunirono alti ufficiali e burocrati nazisti per mettere in atto la “Soluzione finale della questione ebraica”, con la reclusione nei campi di concentramento, e legalizzarla anche in Occidente, rendendola un’opera costituzionale. Per farla accettare furono diffuse foto di propaganda in cui i lager venivano presentati come industria coatta. Questo provvedimento fu trattato come una specie di “presa di coscienza scientifica”, fu una decisione studiata a tavolino.

Alla fine de secondo conflitto mondiale, la Shoah, termine che in lingua ebraica significa “distruzione”, ebbe come risultato lo sterminio del 40% della popolazione ebraica.

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Autore: Rossana Petruzzella
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Perché la Shoah!!!!! - Il medico ebreo della famiglia Hitler, il dottor Eduard Bloch, cui, all'inizio della sua permanenza a Vienna Hitler aveva ancora inviato i suoi saluti ed espresso la sua “ infinita riconoscenza”; l'avvocato dottor Josef Feingold e il corniciaio Morgenstren dal quale era stato incoraggiato all'arte grazie al ripetuto acquisto, da questi fatto, dei piccoli acquerelli che Hitler dipingeva riprendendo i motivi da cartoline; o, per fare un altro esempio, persino Neumann, altro ebreo che era stato per un certo periodo suo compagno all'albergo dei poveri, e nei confronti del quale si era sentito profondamente obbligato: tutti costoro – figure che, sovente appena abbozzate, si delineano ai margini della strada testè imboccata dal futuro Fùhrer – durante pluriennale processo, perdettero via via consistenza, e il loro posto fu preso da quella “apparizione in un lungo caffetano, orna, ornata di piccoli riccioli neri”, che a mano a mano acquista le dimensioni di un fantasma mitologico, in cui Hitler si era imbattuto per la prima volta mentre “vagava per la città vecchia”. Rievocandola, Hitler ha affermato e sottolineato come l'impressione casuale, immediata, nel suo cervello sia andata “deformandosi”, cominciando ad assumere, un po' alla volta,m le caratteristiche di un'idea fissa, onnidominante. – Così in Mein Kampf: “Dacchè avevo preso a occuparmi di questo problema, ecco che all'improvviso gli ebrei cominciarono a non passare più inosservati ai miei occhi, e Vienna mi apparve sotto tutt'altra luce. Ovunque andassi, vedevo adesso ebrei, e più ne vedevo, più essi si separavano dagli altri esseri umani. Soprattutto la città vecchia e i distretti a nord del Dnaukanal pullulavano di una popolazione che già esteriormente non possedeva più alcuna somiglianza con la tedesca……Già questo non poteva certo riuscire attraente; ma non si poteva non provare ripugnanza allorchè, al di là della sporcizia dei corpi, all'improvviso si scoprivano le macchie di sudiciume morale del popolo eletto. C'era infatti sozzurra, esisteva un'impudicia di qualsiasi tipo, soprattutto in campo culturale, in cui non avesse mano per lo meno un ebreo? Se, tenendo gli occhi bene aperti, si affondava il coltello in quel tumore, si scopriva, a guisa di un verme in un corpo che vada decomponendosi, spesso abbagliato dall'improvviso irrompere della luce, un ebreuccio….un po' alla volta cominciai a odiarli”. ( “Hitler” – Joachim C. FEST)
Chi era Hitler? Da dove gli deriva il suo travolgente dinamismo, su che cosa si fondava il suo straordinario successo. E come si spiegano il suo trionfo e la sua sconfitta? Abbastanza comode le due definizioni di “psicopatico” e “burattino del grande capitale tedesco”. La sua ascesa fu dovuta soltanto a una genialità demagogica, a una totale mancanza di scrupoli, alla soggestività di un radicalismo almeno a parole totale: in Hitler va vista, non già l'antitesi, bensì la verità nascosta, addirittura l'”avatar” dell'epoca. Come nessun altro, Hitler seppe fare propri e formulare i risentimenti,m le scontentezze, ma soprattutto l'angoscia, sentimento dominante di un'epoca al tramonto. E alla fine, la stragrande maggioranza dei tedeschi, e con essi molti europei, dalle masse disorientate alle classi dirigenti che si vedevano sfuggire il potere, puntarono le loro speranze sulla singolare figura dell'antico ospite degli asili popolari, che pareva, con la sua “artisticità”, il suo disprezzo per la “politica”, la palingenesi cosmica sul cui sfondo proiettava ogni sua iniziativa e affermazione, esaudire in pieno i voti, le aspirazioni, i sogni di trascendenza di una società sempre più insicura. Sicchè, il nazismo non può essere considerato un fenomeno specificamente tedesco come vuole una tesi rassicurante, “ideologica“ (nel senso di mistificatoria), largamente diffusa; e non regge neppure l'altro pregiudizio, quello di un Hitler rivoluzionario nichilista. E la sua può ben dirsi una vita contesta di paradossi: lui, che aveva visto fallire tutti i suoi propositi, ha dato attuazione alle proprie angosce tramite il fallimento e la sconfitta della maggioranza dei tedeschi, in pari tempo straordinariamente accelerando quel processo di contestazione dell'autorità e di eguagliamento, cui si era opposto con tanta tenacia; ha decretato la fine della differenza tra i “popoli superiori” e “popoli inferiori”, su cui fondava ideologicamente l'era coloniale; ha fatto avanzare l'URSS, che avrebbe voluto respingere al di là degli Urali, fino al cuore dell'Europa; ha condannato alla catastrofe definitiva il mondo borghese, oggetto del suo odio e della sua invidia. Lui, che detestava la rivoluzione e i tempi nuovi, se ne è involontariamente fattom promotore. I suoi difetti in cui i complessi, l'inafettività, la rigidezza, la spstanziale “povertà interiore” erano ben prevalenti. ( “Hitler” – Joachim C. FEST)
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