Molfetta, la città che sarà: non c'è spazio ad una dimensione umana del vivere
L'amara lettera di un lettore di Quindici, propone alcune riflessioni sul futuro che ci sembrano condivisibili. Ancora una volta è l'urbanistica sotto accusa
MOLFETTA - Un lettore di "Quindici" ci ha inviato queste riflessioni che proponiamo al dibattito e che ci sembrano molto condivisibili, soprattutto perché disegnano uno scenario realistico, ma amaro. Ancora una volta sotto accusa è l'edilizia selvaggia e l'urbanistica di una città che diventa sempre più brutta.
Ecco la lettera:
«Spesso mi ritrovo ad immaginare la città che sarà, e non perché sono in vena di bilanci dovuti a motivi anagrafici.
Ma gli spunti di riflessione sono molti, o forse è meglio definirli punti, che uniti, come quei giochini per bambini, fanno comparire un'immagine...
Che città Molfetta sta diventando?
Lungi da me qualsiasi atteggiamento catastrofista-lamentoso, vorrei solo tratteggiare un possibile profilo futuro.
Innanzi tutto la trasformazione da paese a città.
Da paese a città? Che cosa ha del paese e cosa sta acquisendo della città?
Del paese ha ancora il parlare da “porta a porta”, o da “balcone a balcone”, il conoscersi un po' tutti, le immancabili tradizioni religiose.
Della città forse il continuo muoversi da un capo all'altro, la grande distribuzione alle porte, i nuovi snodi stradali, il mastodontico progetto portuale, i quartieroni immensi.
E poi la centrale a bio-masse, come dimenticare, e le nuove zone di espansione ASI... c'è proprio tutto quello che serve per uno sviluppo, o meglio quel tipo di sviluppo che tradizionalmente segna il passaggio da paese a città.
Detto questo, mi soffermerei anche su un'altra dimensione, quella umana, di come un cittadino può vivere questo tipo di città.
Nella mia infanzia c'era il centro, la periferia (era il Quartiere Paradiso e la 167 appena nascente!!!) e poi la campagna. Era facile andarci, bastava imboccare la stradina dopo l'ultimo palazzo costruito e vai... si apriva l'altra dimensione, non più cittadina, un'area che sembrava infinita, di terra, alberi, pietre, corse, biciclette, casolari, esplorazioni avventurose...
Ora tutto ha un confine, tutto è delimitato, già sulla carta edificato, sembra che non ci siano più spazi “liberi”; ciò che è ancora campo, o uliveto, scopri che ben presto non lo sarà più; e ti ritrovi a contare sulle dita di una mano quegli spazi che rimarranno. Ma ancora per quanto?
Forse si tratta più di un'esigenza mentale che fisica, di pochi e non di molti, forse perché quelli della mia generazione vivono il cambiamento sotto i propri occhi e in pochissimi anni.
Il sospetto è quello che si sta progettando, o meglio si è già progettato, qualcosa che poco ci appartiene, che non lascia spazio ad una dimensione umana del vivere la città.
Forse.
Ai cittadini la parola...».