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Molfetta città della pace
15 gennaio 2016

Dopo alcune settimane dai tragici eventi di Parigi non posso non pensare alla Ville Lumière e ai giorni meravigliosi trascorsi in quella città che è ormai diventata una città in stato d’assedio. Parigi deve tornare ad essere la città degli studi e dell’incontro. 1. Dopo il 13 novembre sono tornati i corpi Corpi trucidati, massacrati, corpi violati. Bisogna rinvenirne le cause; trovare soluzioni politiche, ridare il primato alla politica. Oggi il giorno dei funerali di Valeria Solesin bisogna ripartire dalla manifestazione in Piazza San Marco per delineare una narrazione, un pensiero per il prossimo millennio e la nostra città, Molfetta deve continuare ad essere la città della pace. La violenza non ha mai prodotto niente, solo distruzione e morte ed è terribile sentire in qualche dibattito televisivo qualcuno definire bastardi gli islamici. In Piazza San Marco erano presenti i rappresentanti delle tre religioni ( cristiani, ebrei, mussulmani). Una manifestazione che in forma allargata bisogna riproporre a Gerusalemme con i grandi del pianeta, sotto l’egida dell’Onu e papa Francesco ha l’autorità morale per proporla. Anche se da ogni parte nel mondo occidentale esiste una prepotente voglia di mercato, la libertà del mercato, il mercato delle libertà; il comando capitalistico su scala mondiale sta sconvolgendo frontiere e territori, interi popoli seguono gli itinerari tracciati dagli agenti del capitale finanziario, mentre i confini delle patrie e delle nazioni sono quotidianamente ridisegnati da accordi internazionali sostanzialmente precari. I due luoghi storico-teorici emersi negli ultimi tempi, la globalizzazione dell’economia mondiale e l’invasivo insediamento delle società multietniche, costituiscono il quadro di riferimento per la comprensione della realtà contemporanea. A questo livello il ruolo delle patrie, inteso come terreno di identità di particolari gruppi etnici, appare fortemente ridimensionato dalle leggi dello scambio globale. Per affrontare il problema è necessario confrontarsi sui seguenti punti: il ruolo dell’industria bellica nelle società mature, il mercato mondiale delle armi e la sua collocazione nei punti caldi del pianeta (Medio Oriente, Jugoslavia, America latina), lo sviluppo delle industrie belliche, la tendenziale ricontrattazione dei prezzi del petrolio da parte dei paesi produttori, il ruolo dell’integralismo islamico nella definizione identitaria dei popoli del Terzo Mondo, le condizioni di dualismo del mercato mondiale che trova nella guerra uno dei livelli di manifestazione del conflitto economico, il liberismo economico come economia di guerra, la dipendenza del Pil dalle industrie belliche. All’interno degli stati il neoliberismo economico, l’economia di guerra si presentano come assegnazione al lavoro e al controllo sociale, il lavoro è essenzialmente assegnazione al lavoro sia nel settore pubblico che in quello privato. Nel settore pubblico la gerarchia delle mansioni garantisce il corretto funzionamento del sistema; basta per un solo momento considerare i settori della ricerca, della formazione e della salute pubblica. Nel settore privato l’assegnazione al lavoro diventa un fatto costitutivo per la libera disponibilità di disporre della manodopera. Vi è un ulteriore processo evidente nelle società mature costituito dall’intreccio di tre forme di dominio che investono la vita di ciascun individuo: il discorso politico, quello espletato dai politici di professione; il discorso mass-mediatico e tecno-mediatico, rappresentato dalle nuove tecnologie e dai nuovi mezzi di comunicazione (il ruolo di Internet); il discorso accademico nelle università. 2. Tre forme di dominio Queste tre forme del comando agiscono in modo concertato nel controllo delle masse, costituiscono i pilastri della permanenza del sistema. A nessuno sfuggirà che i tre luoghi, forme e poteri della cultura che abbiamo appena identificato (il discorso espressamente politico della classe politica, il discorso mediatico e quello intellettuale, scientifico o accademico) sono più che mai saldati assieme attraverso gli stessi apparati o attraverso apparati indissociabili. A una economia della guerra sul piano internazionale corrisponde una politica del controllo sociale sul piano interno, su quello locale e comunale. Le socialdemocrazie servono a questo e sempre più si ispirano ai canoni del neo-liberalismo. È sempre la stessa solfa e lo stesso ritornello. Al ritmo di un passo cadenzato proclama: Marx è morto, il comunismo è morto, davvero morto, con le sue speranze, il suo discorso, le sue teorie e le sue pratiche, viva il capitalismo, viva il mercato, viva il liberalismo economico e politico. 3. Il marxismo non è morto Noi riteniamo che il marxismo non è morto; che esso costituisce uno strumento essenziale per l’interpretazione e la trasformazione della realtà; che il pontificato di papa Francesco sta creando molti punti di convergenza fra laici e cattolici, che nella fase contemporanea si sta definendo una nuova internazionale, non regimentata, non gestita dall’alto, non affidata a proclami e documenti programmatici; questa internazionale si sedimenta nella portata strategica della differenza, delle differenze; si esprime nell’urlo silenzioso del profugo su uno scoglio del basso Adriatico come nella critica esercitata da studenti e docenti all’interno dei processi formativi; nel languido sguardo di una delle donne dell’amore nella nebbia di Milano e nel volto mesto degli emigranti del Sud alla ricerca di un lavoro. La differenza è la ricerca di un nuovo linguaggio, un linguaggio della comunicazione; è la ricerca di una nuova patria non quella acquisita sulla base di annessioni e di trattati, ma la patria dei dannati della terra, dei paria del pianeta, di chi passeggiando solitario in una metropoli non trova un amico e piange silenzioso nella notte. Di questo pensiero c’è ancora bisogno; riarticolare la penuria e la sofferenza in progetto di cambiamento e trasformazione della realtà. L’economia liberista è un’economia di guerra; come il mercato degli organi, il mercato delle armi aderisce unicamente alla logica del profitto. La situazione è tanto più grave quando una funzione decisiva viene svolta dall’intervento statale e dal comando imperialistico su scala mondiale. I gendarmi del pianeta, USA e URSS, stanno svolgendo questa funzione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. La fase della Guerra Fredda e i continui conflitti che si sono avuti nei paesi in via di sviluppo mostrano in modo inequivocabile che la vera posta in gioco è il controllo delle materie prime e il controllo politico sulla ricontrattazione del prezzo del petrolio. 4. La vera posta in gioco è il controllo del mercato e all’interno di esso delle fonti di energia In assenza di strategie praticabili con fonti di energia alternative, la dipendenza delle società tecnologiche dal petrolio sembra indicare in modo inequivocabile che lo scacchiere medio-orientale continuerà a esercitare per un lungo periodo un ruolo decisivo negli equilibri economici e strategici del pianeta. La terza guerra mondiale si sta combattendo in Medio Oriente. La bat-taglia per la conquista di Gerusalemme è la terza guerra mondiale. La guerra per l’appropriazione di Gerusalemme è oggi la guerra mondiale. Ha luogo dappertutto, è il mondo. In essa si fronteggiano tre diverse ideologie, tre diverse concezioni del mondo (l’ebraismo, l’islamismo e il cristianesimo), anche se l’elemento predominante va ricercato nelle dinamiche economiche, negli assetti geopolitici per la cui comprensione è ancora necessario lo spettro di Marx. Il problema all’ordine del giorno è una nuova realizzazione delle premesse messianiche contenute nelle religioni, una realizzazione tenacemente terrestre che solo un summit mondiale da tenere in Medio Oriente con i rappresentanti delle tre religioni può avviare. 5. Il comunismo Nel dir questo, non pretendiamo che questa escatologia messianica, comune sia alle religioni che alla critica marxista, debba essere semplicemente decostruita. Le tre ideologie che si scontrano a Gerusalemme contengono diverse premesse messianiche e diverse concezioni del mondo; pensare alla egemonia di una nei confronti delle altre vuol dire riproporre le condizioni di dualismo che sono alla base delle tensioni attuali. Anche la scelta liberale e cristiana di una Europa o di un Occidente ricco e opulento a cui tutti gli altri paesi devono adeguarsi risulta impraticabile; l’Occidente è ricco perché molte delle contraddizioni che lo investono sono scaricate nei paesi terzi. Lo vediamo soprattutto nelle nostre città: l’Occidente diventa meta degli emigranti dal Terzo Mondo perché molti lavori non vengono più svolti dall’uomo occidentale, l’Occidente controlla il Terzo Mondo attraverso le politiche neo-coloniali e l’insediamento diretto delle industrie nei paesi in via di sviluppo. 6. L’Occidente è, esiste in quanto negazione dell’identità paritaria dell’Oriente L’integralismo che si esprime nelle forme radicali dell’Islam e in un certo sionismo è la manifestazione di questo scontro permanente. Pensare di fondare gli equilibri mondiali sulla centralità dell’Occidente e della nuova Europa unita vuol dire riproporre la politica della Santa Alleanza. È vero, è duro da accettare per gli uomini bianchi, per gli europei, per noi uomini europei, ma la democrazia a venire passa attraverso il riconoscimento e la legittimazione storica delle altre etnie. L’epoca dei nazionalismi deve finire; nella patria mondo, nella democrazia a venire deve esistere il rispetto per le molteplici razze e religioni esistenti sul pianeta. La politica di rapina operata nei confronti della natura e delle popolazioni più deboli può produrre solo nuove contraddizioni e fra esse l’esistenza permanente del terrorismo. 7. Certamente esiste un scarto fra realizzazione e progetto, ma esso attiene alla natura escatologica del marxismo L’idea, se ce n’è ancora una, della democrazia a venire chiama al rispetto infinito della singolarità e dell’alterità infinita dell’altro, e allo stesso modo al rispetto dell’uguaglianza contabile, calcolabile e soggettuale tra le singolarità anonime). Si tratta di un pensiero e di una pratica totale che sconvolge radicalmente abitudini, paradigmi, modi di comportamento fino a questo momento emersi nell’Occidente capitalistico: gestirsi come capitale del mondo tenendo presente l’a-capitale, farsi carico delle condizioni di penuria che quando diventano esasperate producono tragedia e terrore. Bisogna introdurre nelle pratiche, nei discorsi, nelle istituzioni, accademie e università i modi di pensare della differanza, delle differenze, una politica di attesa dell’arrivante. Attesa senza orizzonte d’attesa, attesa di ciò che non si attende ancora o di ciò che non si attende più, ospitalità senza riserve, saluto di benvenuto anticipatamente accordato alla sorpresa assoluta dell’arrivante, apertura messianica a ciò che viene, cioè all’evento che non si potrebbe attendere come tale, né dunque riconoscere anticipatamente, all’evento come l’estraneo stesso, a colei o colui per cui si deve lasciare un posto vuoto, sempre, in memoria della speranza – ed è questo il luogo della spettralità. L’arrivante è un popolo a venire; l’arrivante è una condizione di scarto che coinvolge uomini d’Oriente e d’Occidente, lo scarto esistente fra realtà e progetto. Quella dell’arrivante è una promessa escatologica perché l’arrivante è un dio dalla pelle nera. Vi sono dieci punti decisivi su cui sono chiamati a pronunciarsi gli uomini del nuovo millennio. 8. Il nuovo millennio La lotta al terrorismo – La disoccupazione – Il problema degli homeless e dei sans papier – La guerra economica dei paesi europei fra loro e dell’Europa con gli USA e il Giappone – Le contraddizioni del neoliberismo economico – Il problema del debito estero dei paesi in via di sviluppo – L’industria e il commercio delle armi – Le armi atomiche – Le guerre inter-etniche – La mafia e il commercio della droga – La subordinazione del diritto internazionale alla logica del comando imperialista e i limiti operativi degli organismi internazionali. 9. La Nuova Internazionale La Nuova Internazionale deve in primo luogo denunciare a chiare lettere la subordinazione degli organismi internazionali ad alcuni stati-nazione: sono gli stati guida del mondo occidentale che determinano gli equilibri militari e politici dell’intero pianeta. Non si può negare che nel momento in cui certuni osano neo-evangelizzare, in nome dell’ideale di una democrazia liberale finalmente pervenuta a se stessa come all’ideale della storia umana, bisogna proprio gridare che mai, nella storia della terra e dell’umanità, la violenza, l’ineguaglianza, l’esclusione, la miseria, e dunque l’oppressione economica, hanno coinvolto tanti esseri umani. La Nuova Internazionale non si costruisce sulla base di statuti, ma è un pensiero e una prassi critica operante in tutte le situazioni di disagio prodotte dalla esistenza e legittimazione degli stati nazione. Quel che qui si chiama con il nome di Nuova Internazionale rinvia all’amicizia e a una alleanza senza istituzione tra coloro che, anche se ormai non credono più o non hanno mai creduto alla Internazionale socialista-marxista, alla dittatura del proletariato, al ruolo messianico escatologico dell’unione universale dei proletari di tutto il mondo, continuano a ispirarsi almeno a uno degli spiriti di Marx e del marxismo, per allearsi in modo nuovo, concreto, reale. Questa alleanza non prende più la forma del partito o della Internazionale operaia, ma quella di una sorta di controcongiura, nella critica (teorica e pratica) dello stato del diritto internazionale, dei concetti di stato e di nazione; per rinnovare questa critica e soprattutto per radicalizzarla. Intendiamoci, la decostruzione deve coinvolgere anche gli apparati dei marxismi realizzati che si sono rivelati devastanti per la crescita e l’affermazione dei movimenti di massa. Intendiamo riferirci alla dittatura del proletariato, al ruolo del partito unico, alle involuzioni totalitarie del potere sovietico. In questo senso la decostruzione si raccorda al concetto di critica radicale e all’evento di una promessa. Questa critica appartiene al movimento di una esperienza aperta all’avvenire assoluto di ciò che viene, cioè di una esperienza necessariamente indeterminata, astratta, desertica, libera, esposta, dedita alla sua attesa dell’altro e dell’evento. Nella sua pura formalità, nell’indeterminazione che richiede, le si può trovare ancora una affinità essenziale con un certo spirito messianico. Si tratta di un progetto aperto senza adesioni a forme di dogmatismo di cui gli uomini del prossimo secolo sono eredi. La principale eredità di Marx è una lotta incondizionata contro l’ingiustizia e l’ineguaglianza sociale, contro le gerarchie, le forme di controllo; esse pervadono l’intero corpo sociale, sono presenti negli apparati e nelle istituzioni, alimentano un disagio permanente e sono la principale causa del male oscuro. Dovunque, dal centro alla periferia dell’impero! Si possono impostare tanti discorsi di carattere neo-evangelico sulla crisi definitiva del marxismo, ma non si può proporre una vera strategia della trasformazione se non si affronta preliminarmente il problema del mercato mondiale e delle forme di dipendenza che questo induce su stati, patrie e nazioni. È vero, bisogna scrivere di nuovo, riscrivere la funzione dello stato; ridefinire il suo ruolo rispetto al campo delle libertà individuali, non dimenticando la stretta dipendenza che patrie e nazioni hanno rispetto alle forze economiche, il mandato e il vicariato che svolgono rispetto al capitale finanziario internazionale, il progressivo esaurimento della propria autonomia rispetto ai gendarmi del pianeta.

Autore: Marino Centrone
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