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Marinella, da Molfetta ad Atene: dalla grande paura al trionfo. Storia di un sogno olimpico In un diario il racconto della ginnasta dopo una brutta frattura
15 settembre 2004

«Vorrei che il mio sogno olimpico non sia più un sogno», chiudeva così Marinella Falca, argento nella ginnastica ritmica ad Atene, una delle ultime pagine del suo diario, al quale ha affidato ansie, timori e speranze per oltre otto mesi. Ma quella brutta frattura al quinto metatarso del piede destro non la fa dormire. «Mi hanno mandato a Roma al Centro medico sportivo del Coni, dove mi hanno visitato tanti dottori e ognuno esprime parere diverso e io non so cosa pensare e di chi fidarmi, tant'è che in alcuni momenti ho il timore (per non dire il "terrore") di non riuscire a recuperare il tempo per i giochi olimpici di Atene e mi spaventa molto la possibilità di un intervento chirurgico… speriamo bene!». E' tutta in queste parole la fragilità e la forza di una ragazza di 18 anni che sogna il podio olimpico dopo aver vinto due bronzi e un argento in competizioni mondiali. Ma olimpiade vuol dire raggiungere la vetta celeste, toccare il cielo con un dito, passare alla storia. E la bambina dal piede rotto sogna, spera, soffre (le terapie a base di onde d'urto sono dolorosissime) ma forte di un temperamento e di un carattere tutto meridionale, resiste («qualche volta presa dallo sconforto ho pensato di lasciare») e piange, come fa talvolta prima delle gare per sciogliere la tensione accumulata in lunghi mesi di allenamento. Otto ore al giorno di prove in quel ritiro di Desio nel grigiore lombardo così lontano dalla solarità di Molfetta e Giovinazzo le sue città, in una vita quasi monastica: ora et labora, allenamenti e sacrifici (anche lo studio da privatista per non perdere preziosi anni scolastici), soffri e spera, che quel maledetto piede si rimetta a posto prima di Atene. «Ma devo farcela - continua Marinella. La mia mente inizia a viaggiare su e giù con i ricordi più disparati: la mia carriera, le gare più significative, le mie colleghe, le mie amiche, i compagni di scuola, la mia famiglia e penso a tutta la gente che continua a credere in me e alle mie ambizioni di sportiva e di ginnasta. Ho il timore di ricevere dai dottori un referto pari a una "condanna" a smettere con la ginnastica ritmica, una specie di colpo secco di mannaia su quella che è stata (e spero sarà sempre) l'essenza della mia vita». Poi l'atteso-temuto responso: «Tutto bene, lei ce la farà», dice il chirurgo, sciogliendo in un attimo ogni dubbio e timore. «E invece mi fanno sdraiare sul lettino dove mi "torturano" il piede muovendolo in tutte le direzioni possibili e immaginabili. Mamma mia che dolore». Quando finiscono la certezza: nessun intervento chirurgico, solo terapie specifiche, come la magnetoterapia, per accelerare la formazione del callo osseo: otto ore attaccata alle macchine, per fortuna durante le ore notturne. I compagni di scuola di Molfetta (è uditrice presso l'Itis) e gli amici di Giovinazzo non la lasciano mai, seguono con apprensione i suoi progressi. Anche la città di Salvemini accompagna Marinella in questo cammino verso il sogno: nelle scuole leggono il suo diario pubblicato su "Quindici", il periodico di Molfetta e le mandano tanti sms di incoraggiamento. E pensare che tutto cominciò per caso e per un altro infortunio al gomito fratturato in una gara di pattinaggio a 9 anni. Poi la rieducazione e la ricerca di un «passatempo» in palestra. Gira e rigira e a Giovinazzo lei resta incantata da cerchi e palle, un modo per giocare e fare sport: amore a prima vista per uno sport in cui si comincia a 3-4 anni. Marinella brucia le tappe e a 10 anni già gareggia a livello agonistico, con un po' d'invidia delle compagne. Ma c'è anche una componente genetica in questa passione, la mamma ha praticato la danza da giovane e il padre l'atletica: una perfetta fusione nella ginnastica ritmica dove grazia, armonia, eleganza, ma anche audacia e coordinazione si fondono per offrire uno spettacolo unico e avvincente in quelle geometrie cosmiche tra suoni e figure, che hanno avuto la loro consacrazione ad Atene. E qui Marinella non dimentica la sua città e mentre le altre atlete salutano mamma e papà lei pronuncia quel «ciao Molfetta», un debito di gratitudine davanti alle telecamere. Per Marinella e le sue compagne di squadra cerchi e palle forse erano giochi di bambine e oggi, dopo anni di preparazione in attesa del grande giorno, sono diventati argento vivo al collo di queste giovani donne che entrano degnamente nella storia dello sport. Una vittoria contro il destino, un premio per anni di solitudine e sacrificio, quando le amiche andavano in discoteca o sognavano di diventare veline, loro hanno scelto il rigore e, forti di una grande volontà, hanno scalato l'Olimpo con una corona di ulivo che non si può comprare, né ottenere senza merito, soprattutto per una donna del Sud, dove tutto diventa più difficile, ma dove il successo vale doppio perché pagato caro a pane e sudore per un riscatto che sembra impossibile. Felice de Sanctis (articolo pubblicato sul quotidiano di Bari “La Gazzetta del Mezzogiorno” il 30.8.2004)
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