La Riforma protestante aveva causato una grave ferita al sentimento e alla preghiera cattolica. Negando alcune verità riguardanti Maria, i luterani e i calvinisti ne avevano ridotto il ruolo nell’opera redentiva; alcuni erano giunti a negare persino l’autenticità delle parole dell’angelo Ave Maria, gratia plena (Mâle 1932, pp. 29-48). L’esclusione di Maria dal circolo vitale della storia umano-divina era senza precedenti. I credenti erano addoloratissimi. La risposta, corale ed emotiva, fu superiore alle aspettative del Concilio di Trento, che non aveva giudicato utile consacrare una sessione né dedicare un capitolo ex professo sulla Madre di Dio. Per difendere la figura di Maria, Pio V chiese a Pietro Canisio di replicare alle Centuriae di Magdeburgo. La risposta furono i due volumi De Verbi Dei Corruptelis (Ingolstadt 1571 e 1577) e il De Maria Virgine incomparabili, dove il teologo, per avvertire i credenti, riassume e risponde a tutto ciò che i protestanti avevano scritto contro la Vergine. Ciò che i protestanti rigettarono della teologia e della pietà della Chiesa divenne, da parte dei cattolici, oggetto di maggiore ardore e devozione. Si rimane profondamente stupiti e meravigliati di incontrare facilmente, nell’arte di quest’epoca, le visioni e le estasi dei santi che parlano con Maria. Santi che supplicano la Vergine di liberare la città da pestilenze, come il San Francesco supplica Maria di liberare Mantova dalla peste, opera di Francesco Borgani († 23.IV.1624) del Museo del Palazzo Ducale di Mantova, o gli Ex Voto per la peste di Napoli (fig.19), del 1656, dipinti da Mattia Preti (1613-1699) e conservati nella Pinacoteca del Museo Nazionale di Napoli, dove a intercedere è un nucleo di santi locali (G. Cautela, Due bozzetti degli affreschi votivi per la peste del 1656, in Mostra Roma 1988, scheda n. 114, pp. 158-159). Ancora più poetico è il tema della Vergine che affida il Bambino nelle braccia di un santo. A Reggio Emilia, nel Santuario della Madonna della Ghiara, Alessandro Tiarini (1577-1668) dipinge per la Cappella Pagani la Madonna lascia il Bambino nelle braccia di san Francesco (1629). Affida la “visione” a un trasporto d’intimo abbraccio: san Francesco entra in una comunione di affetti raccontati con classicismo reniano; il rosso della tunica di Maria domina ed esalta un episodio, raccontato con toni caldi e bassi. Il soggetto è presente in mostra e rimanda alla stupenda Madonna che porge il Bambino a san Francesco (1640-1641) di Pietro da Cortona (1597- 1669), dipinta per la Cappella di Torquato Barbolani dei Conti Montauto nella chiesa della SS.ma Annunziata di Arezzo. Una replica è nella Pinacoteca Vaticana (fig. 20). Il tema della “Madonna che porge” è ripreso nella tela la Vergine che porge il Bambino a san Gaetano da Thiene, attribuita a Giovanni Lanfranco (1582-1647). La Vergine è onorata dai fedeli, come vuole l’Ambasceria della Vergine, detta “Madonna della Lettera”. Conservata nel Museo regionale di Messina e proveniente dalla chiesa di San Giovanni Decollato, il dipinto è attribuito a Mattia Preti. Racconta, secondo un’antica tradizione, della venuta a Messina dell’apostolo Paolo, della conversione dei messinesi e dell’invio a Gerusalemme dello stesso apostolo, il quale viene incaricato di portare a Maria l’omaggio della città, sollecitandone il gradimento e la risposta. La letteratura si accompagna. Il gesuita Wilhelm Gumppenberg pubblica in Germania l’Atlas marianus (Ingolstadt 1657), una raccolta delle Madonne più celebri d’Europa. Il canonico Giovanni Felice Astolfi scrive una Historia Universale delle Imagini miracolose della Gran Madre di Dio (Venezia 1624) per provare ai protestanti che i miracoli fatti dalle immagini si contano a migliaia. Placido Samperi passa in rivista tutte le effigie della Vergine venerate a Messina (Iconologia della Madre di Dio, Maria, protettrice di Messina, Messina 1644). Nel secolo seguente, Serafino Montorio scrive lo Zodiaco di Maria, ovvero le dodici provincie del Regno di Napoli come tanti Segni, illustrate da questo Sole per mezzo delle prodigiosissime Immagini che in esse quasi tante Stelle risplendono (Napoli 1715), presentando una carta geografica dei santuari più famosi del meridione d’Italia. Tra questi s’incontra il Santuario della Madonna dei Martiri di Molfetta (“STELLA XII. Del Segno di Scorpione. Santa MARIA de’ Martiri fuori le mura della Città di Molfetta”, pp. 578-583)1. In molte chiese, ai dipinti si pone sul capo di Maria una corona preziosa. In Santa Maria Maggiore a Roma la “Salus Populi Romani” è sistemata in una magnifica cappella (1611) con affreschi esaltanti le virtù di Maria e rivestita di marmi preziosi. San Luca, dalla tradizione ritenuto l’autore del ritratto di Maria, aggiunge al solito attributo del bue, l’immagine della Vergine (Roma, pennacchi delle cupole delle chiese di Sant’Andrea della Valle e di San Carlo ai Catinari). Gli artisti partecipano alla difesa delle virtù di Maria come altrettanti apologisti. Alcuni di essi, a differenza degli artisti del XVI secolo, sono ferventi cristiani: dagli italiani Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino (1591-1666), Federico Barocci (1528?-1612), Carlo Dolci (1616-1686), Domenico Zampieri, detto il Domenichino (1581-1641), Guido Reni (1575-1642), il pio Ludovico Carracci (1555-1619), Domenico Fetti (1589-1624), per citarne alcuni, agli spagnoli Bartolomé Esteban Murillo (1618-1682), Francisco de Zurbarán (1598-1664) e, infine, il cretese Domínikos Theotokópoulos, detto El Greco (c. 1541-1614). Nella loro arte sviluppano temi riguardanti Maria (Immacolata Concezione, il rosario, la Vergine che soccorre e appare ai devoti…), particolarmente vilipesa dai protestanti (Stratton 1994). La Chiesa riprende la direzione delle arti. Pastori, teologi, laici si occupano dell’iconografia per orientare l’immagine sacra. In campo europeo il fiammingo Giovanni Ver Meulen, detto latinamente il Molanus, pubblica a Lovanio, nel 1570, il De picturis et imaginibus sacris liber unus: tractans de vitandis circa eas abusibus et de earumdem significationibus, che ottiene fino al 1626 ben altre quattro edizioni con il titolo: De historia SS. Imaginum et picturarum, pro vero earum usu contra abusus, libri IV. Nel 1594 a Lovanio; nel 1617, 1619, 1626 le edizioni di Anversa. Il Cardinale Gabriele Paleotti scrive il Discorso intorno alle immagini sacre e profane (Bologna 1582), per indicare il nuovo indirizzo della Chiesa, specialmente agli artisti di Bologna. Raffaello Borghini pubblica Il Riposo (Firenze 1584), con l’intento d’indicare i doveri dell’artista che esegue le opere destinate al culto. Giovanni Andrea Gilio (Dialogo degli errori e degli abusi de’ pittori, Camerino 1564), Romano Alberti (Trattato della nobiltà della pittura, Roma 1585), Giovani Battista Armenini (De’ veri precetti della pittura, Ravenna 1587), il gesuita Antonio Possevino (De poësi et pictura ethnica humana vel fabulosa collatis cum vera, honesta et sacra, Roma 1593), Gian Paolo Lomazzo (Trattato dell’arte della pittura…, Milano 1584; Idea del tempio della pittura, Milano 1590), i cardinali Carlo e Federico Borromeo (Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae, 1577; De Pictura Sacra, Milano 1624) s’impegnano per una civiltà figurativa che corrisponda ai criteri dei “diritti della storia” e dell’onesto. Le diocesi, che pur dettano “regole fisse e severe”, partecipano attivamente alla creazione d’un patrimonio inedito. Promuovono ambienti d’arte, stimoli e suggestioni che corrispondono alla storia religiosa e culturale dei medesimi territori. Le norme che regolano l’iconografia mariana, osservate un po’ ovunque, sono ricordate dal card. Federico Borromeo: «Bisogna conservare i simboli e i misteri che si usano a raffigurare la Vergine ss.ma… Non si deve poi rappresentare la Deipara svenuta ai piedi della croce, perché ciò è contrario alla storia e all’autorità dei Padri… Che l’immagine della ss.ma Vergine somigliasse al vivo a quel divin Volto… E perché i pittori con più esattezza ritraggono al naturale l’immagine della b. Vergine proporrò l’esemplare che lo stesso Niceforo ci ha lasciato:… per colorito tendeva a quello del frumento, capigliatura bionda, occhi penetranti con le pupille chiare e quasi di colore dell’oliva. Le sopracciglia incurvate e di un bel nero, il naso lunghetto, le labbra tonde e soffuse della soavità delle parole; la faccia non rotonda né acuta, ma alquanto allungata, parimenti le mani e le dita piuttosto lunghe…» (De Pictura Sacra, II, cap. 5). Insistendo sulla somiglianza della Vergine Madre con il Figlio, caratteristica iconografica che si continua fino al XVIII secolo, l’arcivescovo di Milano prescrive: «I pittori pertanto nel fare le immagini di Cristo e di Maria vorrei che si ricordassero di questa sola cosa che l’antichità unanime credette e i santi Padri tramandarono: la faccia del Salvatore essere stata ammirabile per la perfetta somiglianza con quella della Madre, così che chiunque guardi la Madre o il Figlio potrà facilmente riconoscere dalla Madre il Figlio e dal Figlio la Madre» (De Pictura Sacra, II, cap. 2). Rileva «la sconvenienza di quelli che effigiano il Divino Infante poppante in modo da mostrare denudati il seno e la gola della b. Vergine, mentre quelle membra non si devono dipingere che con molta cautela e modestia» (De Pictura Sacra, II, cap. 2). Gli artisti eseguono in genere questi dettami e si attengono, per la decorazione delle chiese, ai programmi iconografici loro assegnati, specie dai religiosi. I gesuiti, i carmelitani, gli agostiniani, i domenicani, i francescani, i trinitari, i servi di Maria, i minimi hanno per le loro chiese un programma iconografico, che attingono dalla storia spirituale del loro ordine e nel quale Maria occupa un posto rilevante. I domenicani promuovono l’immagine della Madonna del Rosario, associata, nel 1571, alla prodigiosa vittoria che l’Europa cristiana riportò sull’Islam con la battaglia navale di Lepanto. I frati predicatori evocano agli occhi incantati dei fedeli la scena del famoso sogno di san Domenico: la Vergine mostra san Francesco e san Domenico, i due grandi e nuovi fondatori, che trattiene la collera del Figlio. Nell’Italia meridionale compare spesso il solo san Domenico, come nella volta dell’area presbiteriale in San Domenico di Soriano a Molfetta dipinta da Nicolò Porta (1710-1784) nel 1773 (fig. 21; nel contratto si legge: “Immagine di Gesù Cristo N.S. in atto di fulminare il Mondo, e la vergine Gloriosissima implora la grazia per li meriti di S. Domenico di liberarlo” in Amato 2011, p. 120) e nella chiesa omonima di Taverna (CS), dove un secolo prima il calabrese Mattia Preti (1613-1699) consegna una straordinaria pala d’altare, Cristo fulminante-La visione di s. Domenico, carica d’intensa drammaticità dettata dall’atmosfera cromatica e dall’iconografia, che gioca tra la maestà coronata di Cristo e la supplichevole indicazione della Madre di Dio2. A partire del Seicento promuovono nelle loro chiese una miracolosa immagine di san Domenico, la quale è presentata dalla Vergine, accompagnata da santa Caterina d’Alessandria e dalla Maddalena, a un povero frate di Soriano (CS). Francisco de Zurbarán (1598-1664) esalterà il San Domenico di Soriano (fig. 22) in uno stupendo dipinto, che ancora oggi si conserva nella chiesa della Maddalena di Siviglia. Le chiese domenicane dedicheranno volentieri chiese e altari a questo strepitoso evento. I carmelitani magnificano gli altari con la devozione allo scapolare. I certosini raffigurano Maria, perché patrona dell’Ordine; ne illustrano le apparizioni ai figli devoti della Certosa. Straordinario è il dipinto di Zurbarán la Virgen de la Misericordia o Madonna dei Certosini (fig. 23), 1635- 1640, del Museo di Bellas Artes di Siviglia, proveniente dalla Sagrestia della Cartuja de Santa Maria de las Cuevas, della medesima città (Amato 1990). Il silenzio estatico dei padri certosini è accolto sotto il manto rosato della Vergine, Regina e Madre di misericordia. Una galleria di volti spirituali, trattati con tinte basse, luminose, come gli allegorici fiorellini sparsi per terra. I francescani revisionano il loro repertorio iconografico e danno il privilegio allo stesso san Francesco d’Assisi di ricevere sulle braccia il Bambino, consegnato dalla Vergine, privilegio che riconoscono anche a san Felice da Cantalice, la cui immagine compare sempre in atteggiamento di grande tenerezza e trepidazione. Con gli ordini religiosi, il repertorio mariano si amplia di apocrifi, leggende, episodi di vita spirituale, visioni, estasi, perché meglio della storia esprimono il desiderio ideale delle anime. La Madonna del Pellegrino, eseguita dal Caravaggio (1573-1610) per la chiesa di Sant’Agostino a Roma, è una Vergine col Bambino che avanza sino alla soglia della chiesa per portarlo alla venerazione di una coppia di anziani contadini. Si tratta di una Madonna di Loreto, rifiutata perché ritenuta non corrispondente all’iconografia lauretana, ma partecipe della sensibilità giubilare del ‘600, come ricorda la Madonna incoronata con Gesù Bambino ed Angeli di Claudio Ridolfi (1570-1644). La Madonna dei Palafrenieri, sempre del Caravaggio, nota anche come Madonna del Serpente (Roma, Galleria Borghese; fig. 24), che fu rifiutata a causa della nudità del Fanciullo Divino, sviluppa un tema più teologico. Maria è la novella Eva, che calpesta con il piede il serpente. L’accompagna, sotto lo sguardo fisso e distaccato di sant’Anna, il piede di Gesù adolescente. La bolla sul rosario (Consueverunt Romani Pontifices, 1569) del papa domenicano san Pio V approva il duplice schiacciamento simultaneo del serpente: «La Vergine ha calcato la testa del serpente con l’aiuto del Bambino». La Madonna è partecipe con le sofferenze di Madre all’immolazione del Figlio. Il Riposo durante la fuga in Egitto, ritenuta di scuola ligure (sec. XVII), è una chiara lettura sulla sorte del Bambino disteso su una roccia, evidente richiamo alla pietra tombale; la Madre lo guarda, nell’atto di lavare un panno bianco, mentre Giuseppe, intento alla lettura delle Sacre Scritture riguardanti le sorti dell’Infante, è nella tipica iconografia del dolore. Al ciclo dell’Infanzia di Cristo, meditato e adorato quale agnello sacrificale, appartiene l’Adorazione dei Pastori, di pittore greco-italico, che attinge da opere più significative e la cui tematica troverà un maggiore sviluppo in tutta l’Europa controriformata. Il fervore creativo del ‘600 s’impreziosisce, nel secolo seguente, con le conquiste di tonalità cromatiche che donano, al tema del dolore, una maggiore visione di riposo nella fede. Francesco Solimena (1657-1747), Francesco Trevisani (1656-1746), Sebastiano Conca (1679-1764), Marco Benefial (1648-1764), Corrado Giaquinto (1703-1766) e altri ancora assegnano alla Vergine un velo di mestizia. Il Giaquinto, uno dei maggiori esponenti del rococò romano, sottolinea il dolore della Vergine (Madonna del Rosario, Molfetta, chiesa di San Domenico; Riposo in Egitto, Roma, Collezione privata), nel porre tra le mani del Bambino una piccola croce, quale destino riservatogli dagli uomini.