Ma lei lo sa?
Ci risiamo. Lo ha fatto di nuovo. Nella stanza appena riordinata si è sdraiata sul letto, naturalmente sul copriletto ricamato, quello a cui sua madre tiene particolarmente perché ricamato da sua nonna, e lo guarda sfrontata, si stira voluttuosa e poi lo scruta provocandolo, aspettando la sua reazione. Quanto la odia, in certi momenti, ma non gliela darà vinta questa volta, tanto, comunque, ci rimetterebbe lui, sono tutti dalla sua parte. O quasi. La guarda ancora, prima di uscire dalla stanza, lei lo sta fissando con gli occhi semichiusi, due fessure luminose, quasi ipnotiche. Per essere bella è bella, accidenti a lei, ma a lui non può importare di meno. Non accenna neanche a farla sgomberare dal letto, tanto darebbero sempre ragione a lei, eppoi, se rovina il copriletto tanto peggio per loro. Si sta quasi augurando che avvenga, chissà, potrebbe esserci una reazione. Esce sbattendo la porta, così ora se qualcuno in casa ha sentito il botto staranno pensando che è il solito maleducato e come sempre la colpa sarebbe sua. Se ne va in giardino e spera ardentemente che lei non lo raggiunga, non vuole vederla, vuole dimenticarsi per un po’ della sua esistenza. Si siede sotto il carrubo, il suo albero preferito, sa che è un albero molto vecchio, i suoi frutti somigliano a baccelli legnosi, ne raccoglie uno e comincia a masticarne un pezzo, gli piace quel sapore dolce e acidulo, che sa di antico. Chissà se altra gente conosce le carrube, non ne ha mai viste in giro, gli hanno detto che in tempo di guerra le masticavano per calmare la fame e che sono uno degli alimenti preferiti degli asini se lo dicesse in casa che gli piacciono figuriamoci i commenti sarcastici, a lui piacciono, e basta! “Ciao, albero!”, dice alzandosi dal masso dove si è seduto, antistante un muretto a secco su cui poggia il prolungamento del tronco che è cresciuto sghembo. Rientra in casa silenziosamente e si affaccia piano dalla porta della stanza da letto matrimoniale, è ancora lì, lo fissa con gli occhi semichiusi, come due fessure sulle pupille che sembrano cangianti, beffarda, insolente. “Va’ al diavolo!”, dice fra sé e se ne va nella sua stanza chiudendo la porta, guai a lei se si azzarda ad entrare, fin’ora non lo ha fatto. E’ arrivata in casa loro quasi per caso, sembrava una sistemazione provvisoria e lui la aveva accolta con una certa curiosità, senza prevenzioni, e invece erano trascorsi mesi. Tutta la famiglia sembrava stregata, tranne sua nonna che non la vedeva di buon occhio, avendo forse capito più degli altri come fosse falsa e opportunista. Lei faceva i suoi comodi: entrava e usciva quando le andava, se pioveva e si bagnava non le importava lasciare impronte sul pavimento appena lavato, mangiava per conto suo e lui non aveva mai capito perché non potesse mangiare quello che mangiavano loro. Macché: doveva seguire una dieta speciale e, naturalmente, costosa. Uscì in giardino: era già lì, sembrava aspettarlo al varco, che sapesse già i suoi movimenti e lo precedesse. Era sdraiata su una panchina e fingeva di dormire… si avvicinò cauto e tanto bastò perché lei si levasse di scatto e andasse via. E dire che aveva quasi pensato di azzardare una carezza… pezzo di cretino! Ci stava cascando anche lui. A metà estate loro sarebbero andati in vacanza, tutti, in un residence piuttosto selettivo, voleva proprio vedere se avrebbero osato portarla insieme, comunque non erano problemi suoi e non voleva entrarci, avevano ancora tempo per trovare una soluzione, poi… chissà. Francesco ha cinque anni, e spesso si pone interrogativi di una incredibile precocità, quasi metafisici, che mettono quasi sempre in difficoltà gli adulti. E’ un momento tranquillo, non c’è nessun altro in casa, lei dormicchia sul divano, lui è solo con suo padre che legge il giornale, è il momento giusto per fare la domanda: “Ma lei lo sa che è un gatto?”.
Autore: Marisa Carabellese