M120XM90 un monologo del “Teatro dei Cipis” di Molfetta per ricordare l'olocausto
MOLFETTA - Nell'ambito delle manifestazioni organizzate per le celebrazioni del “Giorno della memoria” è stato presentato, presso la “Fabbrica di San Domenico”, un monologo teatrale di e con Corrado la Grasta, per la regia di Giulia Petruzzella. A produrre il testo il 'Teatro dei Cipis', associazione culturale costituita solo recentemente dai due artisti, ma già estremamente attiva nel tessuto cittadino con le sue “Storie al passo, al trotto, al galoppo...”, rappresentate una volta al mese, di Domenica, presso il “Maneggio”, e con qualificate iniziative d'animazione laboratoriale.
Con questo monologo, M120XM90, in concorso ai premi “Scenario” e “Ustica”, i “Cipis” danno vita a un vero e proprio caleidoscopio d'emozioni, con una performance di straordinaria intensità. Il pregio maggiore del testo di la Grasta risiede nell'inconsueto approccio alla tematica della Shoah.
L'autore, che tra l'altro conduce un continuo e attento studio sul teatro di narrazione (in particolare di Marco Paolini), si accosta a una delle maggiori tragedie dell'umanità di tutti i tempi attraverso lo sport del 'calcio', che diviene il filo conduttore dell'opera. La prima sezione dello spettacolo ricorda l'eroismo dei giocatori della Dinamo (ribattezzata 'Start' dai nazisti) Kiev, che sconfissero, in un'epica partita, una selezione calcistica teutonica, e quindi ariana, sancendo la propria condanna a morte. Titaneggia la figura del portiere Nicolai Trusevich, suggellata nell'estremo gesto della tentata 'parata' del proiettile che l'ucciderà.
La vicenda si sposta poi a Terezin, che lo sguardo di un ragazzino, che coltiva in segreto il sogno di divenire un grande calciatore, dipinge come una fucina di talenti, di energie vitali, animata dalla tensione a sconfiggere col potere eversivo dell'arte, dell'amore, il disegno d'annichilimento concepito dai nazisti. L'anima dei deportati s'infonde nella dolce-amara operina “Brundibar” di Hans Krasa, di cui il ragazzino descrive la genesi. La morte dell'autore e dei giovanissimi interpreti, passati dagli applausi ricevuti nel corso della recita per una delegazione internazionale della Croce Rossa alle urla e al silenzio di Auschwitz, sancisce la sconfitta di quest'anelito di vita.
Anche l'io narrante sarà successivamente trasferito ad Auschwitz e le spietate dinamiche descritte da Primo Levi ne “I sommersi e i salvati” lo indurranno a farsi, da vittima, alleato dei carnefici. Il sogno del calcio si assopirà nelle pieghe di un animo abbrutito e grigio; un ultimo sussulto d'orgoglio si estrinsecherà forse nel rifiuto di partecipare a una pseudo-partita contro le guardie dei Lager, competizione in cui, per gli Haftlinge addetti ai forni, perdere è d'obbligo. Ma Giorgio, uno dei giocatori, che si era trincerato nel silenzio dopo aver, un giorno, scoperto il cadavere della propria moglie tra le vittime dei forni, deciderà di non soggiacere alla logica umiliante degli aguzzini. Al suo grido di vittoria a portiere spiazzato le luci si spengono e si conclude il breve, intenso monologo.
Efficace la regia della sempre brava Giulia Petruzzella. Corrado la Grasta appare estremamente convincente anche come interprete. Ciò che colpisce è la sua capacità di passare da momenti, in cui manifesta assoluto coinvolgimento emotivo (si pensi all'estremo pathos della scena della partita finale), ad altri in cui adotta un registro apparentemente incolore anche con l'ausilio dell'affettazione della dizione. Ci riferiamo soprattutto a quando, piantina alla mano, descrive, con distacco da burocrate che si limita alla registrazione di dati, l'ubicazione di Terezin e la storia della sua fondazione.
La messa in scena alterna attimi d'esasperata tensione, come quello dell'esecuzione dei calciatori della Dinamo-Start Kiev, ad istanti in cui domina la vitalità quasi tribale propria delle competizioni calcistiche. Non mancano scampoli di puro straniamento, come quando vengono stesi come panni lasciati asciugare al Sole alcuni disegni, che riproducono quelli dei bambini di Terezin e il manifesto dell'operina Brundibar. Forse proprio allo spirito di “Brundibar” questo testo s'ispira, alternando levità e struggimento, offrendo una testimonianza, che non cede a facili retoriche e, proprio per questo, colpisce in profondità.
Autore: Gianni Antonio Palumbo