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Le madri coraggio di Molfetta ricordate dagli “Eredi della storia”
Marta Pisani (foto Antonio Fiore)
04 settembre 2024

MOLFETTA - Eroine coraggiose e silenziose a cui la storia non ha tributato il giusto riconoscimento. Donne che hanno fatto quello che occorreva fare, senza titubanze.

Eredi della Storia ha preso le redini della memoria.

“Le madri coraggio di Molfetta” riunisce in una calda domenica di estate ricercatori storici che, introdotti da Angelo Bellifemine, direttore artistico di “Storia sotto le stelle” E.d.S., hanno fatto rivivere quelle donne che hanno dato lustro, per irreprensibilità e coraggio, alla nostra città.

Donne comuni, popolane, figlie, sorelle, madri, uccise, violate.

La violenza, afferma Marta Pisani Presidente della Commissione Pari Opportunità del Comune di Molfetta (foto Antonio Fiore), è un crimine contro l’umanità, ma lunga è stata la strada perché fosse definito tale. Ne “Una strategia di guerra”, Marta Pisani, afferma che, durante il Primo conflitto mondiale, numerose furono le donne che, subirono violenze che portarono a gravidanze indesiderate. Molte erano spose, i cui mariti rifiutarono il frutto della violenza, un figlio non proprio. Il primo stupro di massa registrato dalla Storia fu quello del Belgio del 1914, ad opera dei Tedeschi su vasta scala come mezzo per piegare il nemico.

In Italia dopo la sconfitta di Caporetto si registrarono violenze sulle donne in gran numero nella zona della Carnia.

Per questo motivo a Portogruaro, nel 1918 nasce l’istituito San Filippo Neri per accogliere e far crescere bambini nati da violenze di guerra e, pertanto, considerati figli del nemico.

Abusi furono perpetrati anche dai soldati che liberarono l’Italia dal nazifascismo, quasi diritti per uomini che dovevano ricevere un ritorno materiale per aver liberato il Paese. Molti furono le nascite di bambini figli di soldati, nati dai medesimi abusi, figli che portavano, anche per il colore della pelle, il marchio di figli di stupri, come ricorda la famosa composizione “Tammuriata nera”.

Lungo è stato il percorso, continua la relatrice, per giungere alla definizione di stupro come crimine contro l’Umanità, alla quale dichiarazione si sono opposti, in primis, gli Stati Uniti d’America secondo i quali, umanità non è un concetto concreto, tangibile, e nonostante l’impegno da parte di associazioni femminili, neanche il processo di Norimberga prese in considerazione la violenza come strumento di guerra. Nel 1992 l’ONU lo inserì tra i reati, decisione improcrastinabile a seguito delle violenze perpetrate durante il conflitto nei Balcani, per arrivare al 2001 quando, finalmente l’ONU, lo inserì tra i reati contro l’Umanità, un reato sulle donne e sugli uomini perché compagni di donne violate. A questo si aggiunge il tacito patto per mantenere il silenzio, imposto dai familiari e dalla comunità e la vergogna e il giudizio pubblico dissuadevano dal denunciare.

E la documentata quanto appassionata ricerca della verità storica di Marta Pisani è una carezza verso quelle donne sconosciute che invocano giustizia.

E non poteva non essere ricordata Rosa Picca, colei che per sfuggire alla furia e alla violenza umana, preferì mettere fine alla propria vita, precipitando dal terrazzo dell’abitazione ove risiedeva con la propria famiglia, in via Scibinico 57. Rosa, la sposa di Molfetta come è stata definita portava in grembo suo figlio, anch’egli vittima incolpevole del sacco di Molfetta nel 1529.

Lo storico Corrado Cifarelli e l’artista Elisa Cantatore ne raccontano gli ultimi momenti con emozione, provocando un senso di impotenza verso l’ineluttabilità del destino di una ragazza che preferì mantenere l’onore pagandolo con la vita.

Tornano anche ad essere presenti Angela, madre coraggio di Francesco Cifarelli, ucciso da un soldato inglese, scambiato per un ladro. Francesco, figlio di Angela, madre anche di una bambina, morta prematuramente, uscì un pomeriggio con i suoi amici, un lunedì che aveva il sapore della domenica, per assistere allo spettacolo dei burattini.

L’unica colpa di Francesco fu quella di trasgredire agli ordini della mamma che lo voleva a casa immediatamente dopo la fine dello spettacolo. Francesco fu persuaso dai compagni a raggiungere la località La Sciala ove trovò una morte atroce, colpito alla gamba da un proiettile, scambiato per ladro, lasciato morire dissanguato, abbandonato dai suoi compagni che non dissero nulla dell’accaduto ai genitori, condannandolo ad una morte lenta, dolorosa, in solitudine.

Anche Annamaria Bufi c’era nella calda serata estiva tra i partecipanti al dibattito, c’era.

Giovane donna di ventitré anni, fu vittima di femminicidio nel 1992. A lei è stato intitolato il Centro Antiviolenza Pandora Molfetta-Giovinazzo.

Il prof. Cifarelli non poteva non ricordare anche Lucrezia e la storia nascosta di una donna ignota e di altre a cui la storia, quella ufficiale, non ha nemmeno menzionato.

Perché le guerre causano milioni di vittime sui campi ma pochi ricordano il sacrificio di milioni di donne.

Siamo state amate ed odiate, adorate e rinnegate, baciate e uccise, solo perché donne”. Alda Merini.

© Riproduzione riservata

Autore: Beatrice Trogu
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