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Las Mariposas. Tre farfalle si son posate sul cuore del mondo
15 novembre 2023

Nel loro viaggio, le farfalle possono incontrare tanti fiori. Il loro volo tende a portare la vita là dove ancora non è nata o a perpetuarla dove deve rinnovarsi. In questo loro viaggio, così delicato, può accadere di posarsi su qualche fiore avvelenato. Quella mattina, avevano avuto il permesso di andare a trovare i loro compagni detenuti in carcere a Puerta Plata e, come ogni giorno, a guidare la jeep che le aveva regalato il padre c’era Minerva: lei amava scorrazzare in lungo e in largo per la provincia con quella sua automobile. Accanto a lei, quella mattina, c’erano le altre due sorelle, Maria Teresa e Patria. La strada che percorrevano era una specie di rettilineo che, in alcuni tratti, era fiancheggiata da campi coltivati e da una rada boscaglia. Ad un incrocio due auto si misero di traverso costringendo la jeep a fermarsi. Da quelle due auto scesero delle persone armate: appartenevano al Servicio de Inteligencia Militar. Le tre sorelle, con la forza, vennero costrette a scendere dalla jeep e a essere condotte in una piantagione di zucchero. Le uccisero a colpi di bastone. Le tre sorelle erano figlie dei coniugi Mercedes Reyes ed Enrique Mirabal. Erano nate e cresciute a Ojo de Agua, all’epoca denominata Provincia di Salcedo, nella Repubblica Dominicana. Avevano trascorso la loro gioventù negli anni della dittatura trujillista, una delle più dure dell›America Latina. Quando Trujillo salì al potere, la loro famiglia (come molte altre nel Paese) aveva perduto quasi totalmente i propri beni, prima nazionalizzati, poi incamerati direttamente dal dittatore nei suoi beni privati. Le sorelle Mirabal decisero negli anni 1950 di impegnarsi con decisione nei confronti della lotta contro la dittatura. Minerva Mirabal, era donna di grande cultura e volontà di ferro, e aveva deciso di militare nella resistenza antitrujillista dal 1949. Nel 1954 aveva sposato Manuel Aurelio Tavares Justo (Manolo) (l’oppositore più intransigente di Truillo) e con lui ebbe due figli, Minou e Manolo. Minerva iscritta alla facoltà di Diritto dell’Università di Santo Domingo, si era laureata nel 1957. Era la prima donna della Repubblica Dominicana a laurearsi in Diritto. La dittatura non le consentì però di esercitare la professione di avvocato. Fiera del suo carattere e delle sue idee, non si era mai conformata alla società Dominicana della sua epoca. Tra l’altro nel 1949, a 23 anni, durante la festa di San Cristobal, organizzata dal dittatore per la società più ricca di Moca e Salcedo, aveva osato sfidarlo apertamente rifiutando le sue avances e sostenendo le proprie idee politiche. Il generale Truillo era un uomo crudele, abituato a usare le donne come oggetti; da loro non aveva mai subito un rifiuto. Quell’episodio, in particolare, dette l’avvio alla persecuzione della famiglia Mirabal. Durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del maschilismo, in quel mondo maschilista, si erse Minerva “per dimostrare fino a che punto ed in quale misura il femminile è una forma di dissidenza”, racconterà anni dopo Dedé, unica sorella sopravvissuta. Maria Teresa Mirabal aveva seguito le orme di Minerva. Presso la facoltà di ingegneria e architettura di Santo Domingo, aveva conseguito il titolo di agronomo. Con la sorella aveva presto condiviso l’impegno per porre fine alla dittatura trujillista. Nel 1958 aveva sposato l’ingegnere Leandro Guzman, altro oppositore alla dittatura di Trujllo, e fondato con lui il “Movimiento Revolucionario 14 de Junio”, noto anche come “Agrupación Política 14 de Junio”, abbreviato 14J (o 1J4). Patria Mirabal, la maggiore delle sorelle, dopo aver contratto matrimonio nel 1942 con Pedro González Cruz, aveva aderito alla Organizzazione clandestina fondata dalla sorella Teresa. La dittatura di Rafael Leónidas Trujillo sulla Repubblica Dominicana durava da trent’anni ed era una delle più dure dell’America Latina: infatti dal 1930 al 1960 si calcola che furono uccise più di 50.000 persone. La ribellione e l’impegno di queste tre giovani donne di fronte alle atrocità del regime presero il via dunque con la costituzione del “Movimento 14 giugno”, sotto la direzione di Manolo Travares Justo usando il nome in codice “Mariposas” (“Farfalle”). Le sorelle Mirabal quella mattina erano cadute in un’imboscata del regime. I cadaveri furono poi rimessi in macchina per simulare un incidente al quale però nessuno credette. Nonostante la censura imposta dal regime di Trujillo, fu subito chiaro che le sorelle Mirabal erano state uccise e molte coscienze si scossero. La figura di Trujillo iniziò a tramontare e la dittatura a scricchiolare: anche gli Stati Uniti, che lo avevano appoggiato fino a quel momento, smisero di proteggerlo, dopo il suo tentativo di far assassinare il presidente del Venezuela Betancourt, contrario alla sua dittatura. Quando a Minerva Mirabal dicevano che Trujillo l’avrebbe fatta ammazzare, lei rispondeva: “Se mi ammazzano, tirerò fuori le braccia dalla tomba e sarò più forte”. La promessa di Minerva si realizzò. Dall’assassinio delle sorelle Mirabal la dittatura di Trujillo infatti iniziò a vacillare e, qualche tempo dopo, il dittatore venne assassinato. Nel 1962, si tennero finalmente le prime elezioni libere dall’inizio della dittatura. Ogni anno, nel ricordo delle Mariposas, il 25 novembre si celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne e il femminicidio, una data scelta dall’ONU tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. Nella risoluzione viene precisato che si intende per violenza contro le donne “qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”. Anni più tardi, in Messico a Ciudad Juárez, un’altra donna, un’artista, Elina Chauvet, il 22 agosto 2009 decise di portare il suo contributo proprio nella sua città, diventata tristemente famosa per il numero altissimo di donne uccise, tra le quali anche sua sorella: posizionò in una piazza della città 33 paia di scarpe femminili, tutte rosse, diverse l’una dall’altra ma accomunate dal colore rosso, lo stesso del sangue, e dal fatto di essere prive delle loro rispettive proprietarie, scomparse a causa di una violenza innegabilmente sistemica. A questa immagine si affiancò poi quella della panchina rossa, oggi utilizzata per dire no alla violenza domestica. La violenza contro le donne è diffusa in forme diverse in tutti i Paesi e comporta costi umani, sociali ed economici altissimi. Il fenomeno si manifesta in vari modi, dall’assassinio, alle violenze domestiche, ai matrimoni forzati, dalle molestie sessuali alla prostituzione, fino alle mutilazioni genitali. Per quanto riguarda le conseguenze sulla salute psicofisica delle donne, il 46% vivono nella paura, il 28% hanno subito una perdita significativa di autostima, il 27% affermano di vivere nella disperazione o nell’impotenza, il 21% hanno sofferto ematomi, ferite o ustioni, il 21% vivono stati di ansia o fobie, il 16% stati di depressione, il 15% difficoltà di concentrazione, il 14% soffrono di disturbi del sonno o dell’alimentazione, il 13% sono in una situazione di isolamento familiare e sociale. E i percorsi di uscita dalla violenza sono spesso difficili. Il prossimo 25 novembre non deve allora essere vissuto come una data rituale ma deve essere usata per porci alcune domande. Siamo ancora un paese fortemente patriarcale? Le istituzioni sono pronte a credere al racconto delle donne che coraggiosamente denunciano? Le altre donne sono sempre solidali con le vittime di violenza? O forse il pensiero del dolore di queste donne viene scacciato perché troppo forte? Quella che serve è una rivoluzione culturale che riconosca il ruolo della donna nella vita e nel lavoro, che rifiuti il concetto di ogni discriminazione e violenza, non solo quella fisica? Las Mariposas sono state uccise, in quel lontano 25 novembre di tanti anni fa, per le loro idee politiche e perché reputavano un dovere l’esporsi per sostenerle. Furono uccise anche perché il loro modo di essere donne irritava un regime. Erano farfalle, belle, libere, colte, indipendenti. Le loro ali erano le loro idee, le stesse che devono andare a fecondare prati senza fiori avvelenati. © Riproduzione riservata

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