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La resistenza della ragione
15 febbraio 2023

Viviamo nell’era della solitudine di massa caratterizzata dal narcisismo e dall’autoreferenzialità. Ci illudiamo di essere connessi col mondo, ma in realtà siamo connessi solo con noi stessi o meglio con quello che crediamo essere, ma non siamo. La consapevolezza di sé che una volta maturava con la cultura, i valori, la formazione e la crescita umana basata sullo studio e confermata dall’esperienza, ci offriva quella sicurezza di noi stessi che era soprattutto critica, che ci permetteva di discernere non solo il bene dal male, ma il vero dal falso, trovando nella verità la massima espressione della ricerca della propria identità, capace di darci sicurezza e confrontarci con gli altri. Oggi tutto questo è venuto meno grazie al web, ad internet, facebook e ai social che non solo ci illudono di essere dei premi Nobel, anche se non siamo imbecilli, ma, alla fine, rischia di trasformarci in quegli imbecilli che non volevamo essere. L’egolatria predominante e la naturale tendenza a sopravvalutarsi, miserabilmente umana, ci fa illudere di poter intervenire su qualsiasi argomento, come degli esperti, dei tuttologi (del nulla), per cui, perfino la scemenza sfuggita anche alla persona intelligente in un attimo di eccessiva considerazione di sé, diventa una verità, senza verifica. Ecco perché, per evitare la legione di imbecilli che Umberto Eco diagnosticava per lo strapotere del web e di internet in particolare, è necessario non solo recuperare l’intermediazione (anche della stampa, che non piace al potere) che faccia da filtro alle fake news e ai tuttologi improvvisati che alimentano tendenze, credenze, che arrivano fino alla politica, maestra nel manipolare le coscienze con la propaganda. Di fronte a questo dilagare di post-truth, post verità, quelle notizie o informazioni completamente false che, spacciate per autentiche, sarebbero in grado di influenzare una parte dell’opinione pubblica, divenendo di fatto un argomento reale, dotato di un apparente senso logico, occorre la resistenza della ragione. E’ l’unica strada di salvezza possibile contro il radicalismo e la paura tipiche della solitudine di massa del nostro tempo. Sì, perché anche se ce lo nascondiamo, il sentimento prevalente oggi è la paura e cerchiamo in internet e nei social quella sicurezza apparente che in realtà alimenta narcisismo e autoreferenzialità di cui parlavamo prima. E’ necessario liberarsi, fuggire dall’echo chambre, la camera dell’eco della nuova condizione umana che ci fa credere di essere connessi con un mondo (in realtà virtuale) che ascolta i nostri argomenti, favorito dall’algoritmo del web, uno specchio che non moltiplica l’immagine del mondo, ma quella di singoli individui, che al massimo, la pensano allo stesso modo, indotti dalle stesse post verità. Fuor di retorica o di filosofia, più siamo connessi e più siamo sostanzialmente soli, incapaci di ascoltare le ragioni e il pensiero degli altri, chiusi nel club di chi la pensa come noi, non siamo più in grado di venire fuori da questa malefica gabbia mediatica. Il sociologo Michele Ainis ha definito questa condizione come “il regno di uroboro”, in un suo saggio pubblicato qualche anno fa. E’ il serpente che si morde la coda formando un cerchio chiuso, dando vita al dominio dell’autoreferenza e minacciando la democrazia, il confronto delle idee e la partecipazione. Colpevoli il Web, la Rete, Internet e i suoi giganti, i Big Data: Apple, Microsoft, Amazon, Facebook, Google, Twitter, WhatsApp. «La nostra epoca – scrive Ainis – è quella del dominio del web sulle nostre esistenze, individuali e collettive ». Il sociologo parla della privacy, della post verità e delle fake news, della crisi della politica e della eliminazione dei corpi intermedi, del populismo, della paura sociale, del marketing che domina le logiche del web, della trasformazione della nostra società e dei rischi a cui andiamo incontro. L’algoritmo che regola la navigazione in internet riesce a realizzare (anche con le informazioni che noi forniamo) un profilo di ciascun utente della rete, una sorta di ritratto di “foto segnaletica” come l’ha definita Ainis realizzata combinando i nostri gusti, le nostre preferenze, gli stili di vita, gli oggetti che acquistiamo. Così, inconsapevolmente, diventiamo merce di scambio dal grande valore commerciale nel nuovo capitalismo globale. La studiosa Shoshana Zuboff nel suo libro The Age for Surveillance Capitalism. The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power (Profile Books, 2019), coglie gli aspetti più nuovi e preoccupanti del capitalismo che lo caratterizzerebbero come “capitalismo della sorveglianza” e si sofferma in particolare sulla sua tesi centrale e cioè che oggi oggetto di scambio di mercato e di arricchimento siano non solo le informazioni sulle persone ma le persone stesse con le loro esperienze di vita. «L’esperienza umana è ormai materia prima gratuita che viene trasformata in dati comportamentali… e poi venduta come ‘prodotti di previsione’ in un nuovo mercato quello dei ‘mercati comportamentali a termine’… dove operano imprese desiderose solo di conoscere il nostro comportamento futuro». Il “capitalismo di sorveglianza” è devastante soprattutto perché rischia di provocare la sparizione dell’umanità, intesa come modo umano di ragionare e di comportarsi, di cui l’autonomia e la dignità sono i tratti distintivi. Il “capitalismo della sorveglianza”, scrive Zuboff ricorrendo a un parallelo piuttosto terrificante, rischia di fare all’umanità quello che il capitalismo industriale ha fatto alla natura. Ecco che prolifica il regno della disinformazione e della disintermediazione che sono un pericolo per la democrazia. La solitudine di massa genera non solo paura, ma anche disinteresse per la politica (“votare non serve, perché non cambia nulla”) e alimenta sia il preoccupante fenomeno del populismo come quello dell’assenteismo, che sta raggiungendo livelli sempre più preoccupanti. Depotenziando o controllando i mezzi di informazioni di massa, il potere ottiene anche attraverso la pessima legge elettorale che toglie ai cittadini la libertà di scegliere i candidati, lasciandola ai partiti. Toglie così autorevolezza ai corpi intermedi che garantiscono equilibrio e separazione dei poteri, permettendo di recuperare il senso di comunità e di appartenenza. Una strada che tutti i partiti, e il Pd in crisi di identità, a parola sostiene di voler perseguire, ma che in pratica ha timore di percorrere. Manca, insomma, quell’idem sentire che permette di armonizzare il volere di ciascuno col volere di tutti e fornire alla società la disciplina condivisa di cui ha bisogno. Ecco i bisogni, quelli reali della comunità, chi li persegue? Sono tutti concentrati a gratificare interessi particolari, le lobby che finanziano i partiti e che possono arrivare all’assurdo di portare al vertice dello Stato, come è avvenuto con la destra, una minoranza del Paese reale. Venuti meno i valori etici, gli ideali, punto di riferimento delle generazioni passate, prevale la logica dell’interesse e del profitto personale, al punto che non ci si vergogna più di candidare o promuovere personaggi perfino condannati, con sentenze passate in giudicato e che oggi ritornano in quei posti che hanno consentito loro di delinquere. Il denaro e il materialismo sono la nuova scala di valori e riemergono problemi sociali come la disoccupazione, il razzismo, la criminalità e il degrado ambientale. Ecco la solitudine di massa che avanza, l’insoddisfazione, la frustrazione derivata dalla delusione, l’incertezza del futuro che ci fa ripiegare sempre più nel privato, il disorientamento, lo smarrimento collettivo che portano ad un senso di impotenza individuale e collettivo, la cui risposta è l’astensionismo. Un rimedio peggiore del male, che lascia a una minoranza spregiudicata, il potere di decidere per noi. E il fenomeno delle liste civiche, è una dimostrazione della degenerazione della democrazia rappresentativa. La cultura dell’immediato, porta molti giovani a rifiutare il sacrificio, per cui non hanno un progetto di vita, un riferimento sicuro, raccolgono quello che hanno a portata di mano: facile e dalla soddisfazione immediata, anche se effimero in questa “società liquida”. Si ferma, così l’ascensore sociale: chi nasce povero, resta tale. A ciò si aggiunge la distruzione progressiva del ceto medio. E la sinistra non riesce più a dare risposte a questi problemi, gira su se stessa, con la sua inanità, aggrappandosi all’elettorato di appartenenza, che, però, sceglie sempre più spesso l’astensione, frutto di sfiducia verso tutto il sistema. L’antipolitica diventa così il frutto dell’assenza della corrispondenza fra interessi e rappresentanza. Dov’è il bene comune? L’osmosi si è interrotta per mancanza di contenuti. E torniamo anche alla “questione morale” vero nodo irrisolto della politica. Ecco perché serve la resistenza della ragione. © Riproduzione riservata

Autore: Felice de Sanctis
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