L’Italia sotto la dittatura delle camicie nere
Dall’archivio centrale dello Stato
Nell’Archivio Centrale dello Stato (1) si rinviene un interessante articolo di Gaetano Salvemini, pubblicato il 26 settembre 1937 su “La stampa libera” (2), riguardante il significativo resoconto di un viaggio attraverso paesi di alcune Province lombarde, come di seguito (a cura di Ignazio e – per la traduzione dall’inglese – Isabellangela de Marco). “Mi fermai a Guss ola, una ridente cittadina di oltre 4 mila abitanti, situata al centro di una fertile pianura, per fare benzina e fare la consueta domanda: “Come vanno le cose in questa città?’’... “Come devono andare?” fu la risposta. ‘‘C’è miseria. I contadini stringono la cinghia e bevono acqua. I lavoratori non hanno lavoro perché le fabbriche di mattoni sono chiuse, la filanda è chiusa, i muratori non hanno lavoro perché tutte le attività di costruzione sono bloccate per ordine del Governo. I negozianti pagano ingenti tasse, sbadigliano e maledicono dalla mattina alla sera, vanno in fallimento e chiudono le saracinesche”. In pochi minuti la mia auto fu circondata da un gruppo di curiosi e di bambini laceri. Sentendo che io venivo dalla Francia gli uomini chiesero: “È vero che c’è una rivoluzione laggiù?’’? Non ebbi tempo di rispondere in quanto due miliziani fascisti dispersero la folla e mi chiesero i documenti. A Palvareto (3), dove mi fermai a un caffè mezzo vuoto, la cameriera mi sussurrò all’orecchio: ‘‘La città è senza risorse. La filanda Gresselli è chiusa. I contadini vivono alla giornata: tutti gli altri mendicano di giorno e rubano di notte. Molti giovani sono in Abissinia. Per fortuna la signora della ‘‘casa grande’’ è caritatevole”. Un vecchio domandò: ‘‘Tornate a Parigi?”... Risposi: “Si tra un mese”. “Hanno cibo da mangiare, lì?”… Poiché io parvi sorpreso egli spiegò che il segretario provinciale del partito fascista, in un pubblico discorso, aveva detto che era pericoloso andare alla mostra di Parigi in quanto la Francia era spazzata da cima a fondo dalla carestia e dalla rivoluzione. Verso le undici arrivai a Piadena. Era giorno di mercato. Il giorno di mercato in questa grande cittadina era di solito un evento piacevole, affollato di contadini, artigiani e piccoli proprietari provenienti dai dintorni. Lo trovai ridotto a poche bancarelle dove i rari passanti sembravano guardare più come curiosi che come acquirenti. “Come vanno gli affari?” ... chiesi a un venditore mentre sceglievo un capo di seta artificiale, prezzo otto lire. “Male e sempre peggio. Vendo a questo mercato da vent’anni e ci vengo per abitudine, però dovrò arrendermi (rinunciare) prima o poi. Non guadagno abbastanza per pagare la benzina e le tasse. Oggi ho venduto un solo grembiule per una dozzina di uova”. Io entrai nel caffè Polisoni, una volta affollato nei giorni di mercato da clienti vocianti, sorridenti e? bestemmianti. Oggi il proprietario stava seduto a leggere il giornale con un gatto acciambellato sul bancone. Due uomini ben vestiti giocavano al biliardo. Erano il segretario del locale partito fascista e il capo del sindacato fascista, che ammazzavano il tempo finché il 27 del mese avrebbero incassato duemila lire, senza contare gli altri benefici. A Canneto sull’Oglio la fabbrica delle bambole, una volta fiorente, era chiusa gettando più di cento donne sul lastrico. Sulle rive del fiume, due lunghe file di gente senza lavoro pescavano pazientemente. Un contadino, falce in mano, vedendo la mia macchina francese, si fermò e chiese: ‘‘Venite dalla Francia?”… Risposi anche questa volta: ‘‘Si, e ci tornerò tra un mese’’. “Non avete paura della rivoluzione? Si dice che c’è la rivoluzione a Parigi e in tutta la Francia e presto le cose saranno così come lo sono adesso in Spagna’’. E il contadino sussurrò: “Vinceranno in Spagna?”… Domandai: “Chi?” … “I repubblicani. Hanno armi? Hanno aerei e fucili?”… Aspettò la mia risposta con ansia come se ne andasse di mezzo il suo stesso destino. Io dissi: “Vinceranno perché vogliono vincere a tutti i costi. Nessun altro popolo vive la tragedia del popolo spagnolo con la stessa intensità del popolo italiano’’. A Isola Dovarese mi fermai per un po’ presso una locanda. La mia macchina francese attirò la consueta folla di curiosi. Uno volle sapere quanti morti e feriti ci fossero finora durante la rivoluzione in Francia. Un altro pensava che i massacri erano stati così terribili che nessuno straniero avrebbe pensato di andare in occasione della Esposizione. Anche qui la filanda è chiusa però la fabbrica di tessuti lavora con grande profitto del suo proprietario che ha inventato uno straordinario sistema per pagare le tasse: invece di pagare l’intera somma dà soltanto una rata e poi – in accordo col segretario del sindacato fascista locale – dimentica di pagare il saldo e minaccia la chiusura se un dipendente osa chiedere ciò che gli spetta. A Pesc arolo, la fabbrica di tessuti Filippini (che dava lavoro a un notevole numero di operai) è chiusa. Chiesi a un vecchio operaio la ragione. Egli rispose: “Non siamo abbastanza fascisti da compiacere le autorità per cui il Governo ha smesso di fornire i materiali grezzi. Giacché la lana è controllata dal Governo non c’è nessun altro sistema di ottenere i rifornimenti. I nostri proprietari non appartengono al gruppetto dei privilegiati”. A Vesc ovado le filande sono chiuse, le fabbriche di mattoni sono bloccate e il setificio non lavora. La cittadina è dominata da un tale (?) sotto la protezione di suo fratello il quale è membro del Parlamento fascista. La popolazione è alla fame. I giovani, per disperazione, vanno a lavorare in Abissinia arruolati come soldati. Dopo sei mesi di inferno, generalmente chiedono di tornare in Patria. Le autorità militari rifiutano e dicono loro che devono scegliere tra rimanere lì o andare in Spagna. Qualche volta vengono mandati all’estero: pensano di andare in Italia e invece si ritrovano a Cadice. A Cremona le numerose filande sono chiuse. L’azienda Cavalli e Poli produce a pieno ritmo casse per munizioni. La fabbrica di ceramica Frassi e l’azienda di salatura e conserve alimentari Negroni stanno facendo profitti sui bassi salari e sugli operai non pagati. La seteria è chiusa. La città era in agitazione a causa dei molti arresti tra gli operai nei giorni precedenti. “Che è successo?” ... chiesi ad uno che sembrava potesse darmi molte informazioni. “Va così... Migliaia di volantini sull’assassinio dei fratelli Rosselli e centinaia di copie di Giustizia e Libertà che accusano i fascisti dell’assassinio furono misteriosamente distribuiti durante la notte. La gente se li procurò e sia i volantini che il giornale passarono velocemente di mano in mano. La polizia è infuriata. Farinacci è infuriato. L’impressione fu enorme e gli arresti sono stati fatti alla cieca senza alcuna idea dove colpire. Certamente avrete dei problemi con quella vostra macchina francese’’. Infatti due poliziotti mi fermarono esaminarono i miei documenti e mi dissero di presentarmi alla stazione di polizia. L’interrogatorio non rivelò nulla contro di me e fui autorizzato a proseguire. A Casalbuttano, delle otto grandi seterie solo due lavorano quattro mesi nell’anno. La disoccupazione ha gettato sulla strada migliaia di operai e ha abbassato i salari dei lavoratori dei campi a cinque lire al giorno per una giornata di lavoro di dodici ore. I grandi proprietari terrieri locali controllano non soltanto l’amministrazione della città ma anche i sindacati. Parecchi operai mi guardavano con meraviglia quando io dissi loro che lungi dall’esserci una rivoluzione in Francia gli operai guadagnano quaranta/cinquanta franchi al giorno. Mentre guidavo, il giorno successivo, attraverso la campagna mi imbattei in facce smunte per la carestia come non ne avevo mai viste prima in Paderno, Annicc io e Soresina. Nelle due precedenti città le filande Striglia e Bassani lavorano soltanto tre mesi all’anno; l’unica industria operante in Soresina è la grande azienda del latte. Le seterie, i caseifici e i cantieri della pietra sono chiusi da parecchi anni e la povertà ha assunto proporzioni inumane. Un amico di dieci anni fa, che incontrai nel caffè, mi disse: ‘‘Da tre pasti, la gente si è ridotta ad uno, e ora a metà pasto al giorno. La tubercolosi sta facendo strage di bambini. L’Abissinia e la Spagna assorbono gli uomini più disperati. Quest’inverno le donne si radunarono un giorno in piazza, con i loro bambini in braccio, e urlarono per mezz’ora finché la milizia fascista e i carabinieri le circondarono e il Sindaco fascista disse che avrebbe dato ordine di sparare se esse non si fossero allontanate immediatamente”. A Pizzighettone, per diversi mesi, si è lavorato febbrilmente per enormi capannoni lungo la linea ferroviaria, interconnessi ai binari, che vengono riempiti di materiale bellico di tutte le specie e sono vigilati da sentinelle armate. Ad ogni fermata sentivo sempre le stesse domande: “È vero che c’è la rivoluzione in Francia? Ci sono molti disoccupati? Quanto guadagna un operaio? ”… È interessante osservare quanto diffusa sia in Italia l’opinione che la Francia sia in uno stato di rivoluzione. Per consolare gli italiani della loro povertà, Mussolini fa loro credere che la Francia stia ancor peggio. © Riproduzione riservata