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Imboschimento di Lama Cupa, recuperare la macchia mediterranea
15 ottobre 2010

Nuovo abito per Lama Cupa, cucito dalla dott.ssa forestale Marianna Anaclerio, fondatore e presidente dell’Associazione Culturale Phyllirea, già collaboratrice esterna del Comune di Molfetta per la redazione del Piano dell’Agro e Piano dei Servizi. L’Amministrazione Azzollini approva in linea tecnica e candida il progetto «Lavori di primo imboschimento in Lama Cupa» per il bando regionale «Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 - primo imboschimento di superfici non agricole». «Entusiasta di questa iniziativa, molto sentita dall’ing. Rocco Altomare - il commento della dott.sa Anaclerio a Quindici - l’Amministrazione Azzollini sta dimostrando un notevole interesse per Lama Cupa, benché alcune aree siano ancora private». Attenzione anche per l’agro di Molfetta: dopo ben 3 anni di lavoro, «il Piano dell’Agro è arrivato a una fase intermedia, propedeutica alla valutazione e alla fase propositiva». Il rimboschimento della lama, considerata bosco periurbano come confine naturale all’espansione della città, interessa l’area dal ponte Schifazappa alla 16bis, ha spiegato la dott.ssa Anaclerio. «L’intervento riguarderà solo 20 ettari di superficie, il massimo programmato in base ai finanziamenti della Regione e alla densità di intervento, 1200 piante ogni ettaro, così come stabilito nel bando, direttive riduttive rispetto all’intervento desiderato». Importo complessivo, quasi 160mila euro, di cui 108mila euro da finanziamenti PSR Puglia e quasi 12mila euro con fondi comunali, subordinando l’impegno della somma e l’istituzione dei relativi capitoli di entrata e spesa al finanziamento dell’opera. Apportate le necessarie variazioni al Bilancio di Previsione 2010 e al Bilancio Pluriennale 2010-2012 con la delibera di Giunta Comunale n.241 del 13 settembre. Preparazione del sito e successiva manutenzione a carico del Comune di Molfetta, che dovrà mantenere il vincolo forestale permanente sui terreni oggetto di imboschimento, oltre a gestirne la sicurezza. Dovrà essere risolto il problema dei rom, che risiedono in casolari abbandonati abusivi, ad esempio, allo stesso tempo «ripulire o eliminare gli scarichi non consentiti delle imprese edili». Un altro tassello per un futuro parco naturalistico e biologico dentro Lama Cupa, bellezza mediterranea della città di Molfetta, memoria degradata del suo passato storico-culturale. L’amministrazione attende l’esito dello screening regionale, che ha già bocciato i progetti dell’ing. Francesca Caldarola - percorso escursionistico su Lama Cupa e ciclovia nell’agro - perché i siti non presentano un particolare interesse comunitario. LAMA CUPA LA GARIGA Unica tra le lame molfettesi a incidere sul territorio da un punto di vista morfologico- ambientale, Lama Cupa accoglie nicchie ecologiche ben definite su terrazzamenti e muretti a secco: in corrispondenza della costa, miscela tra specie tipiche della macchia mediterranea, piante coltivate e alofile, come il finocchio marino e il limonio, mentre all’interno la macchia incontra le specie murgiane, come la quercia roverella. Seppur compromessa e antropizzata in più punti, la gariga - versione degradata della macchia mediterranea - è un intrico invalicabile di salsapariglia, olivastri e olivi, fichi, prugnoli, edera, asparago selvatico, lentisco, giovani lecci, rovi, fichi d’india, allori, melograni, acanto, euforbia, ecc.. Presenti esemplari di carrubo secolari, memoria del commercio locale delle saccarie ‘frutta secca’. Lungo il versante destro della lama, interessanti le stratificazioni geologiche con una serie di successioni di strati calcarei e cavità più o meno ampie, tra cui una sequestrata dal Corpo Forestale per lo sbancamento abusivo del versate. Al centro dei coltivi, due pozzi artesiani. LA MACCHIA MEDITERRANEA L’antica macchia mediterranea dal ponte della ferrovia al ponte fino al ponte di Schivazappa sulla provinciale Molfetta- Bitonto: paesaggio naturale selvatico, con specie spontanee quali carrubo, biancospino, corbezzolo e leccio, da coltivazione come fichi, fichi d’india, olivi e nespolo, e specie ornamentali e infestanti come la Robinia pseudoacacia. In corrispondenza dell’Istituto Mons. Antonio Bello, dove un ramo laterale secondario confluisce nell’alveo princi-pale, un’antica piscina per la raccolta delle acque meteoriche. A monte, un canalone ricco di vegetazione spontanea, parallelo alla linea ferroviaria per circa 200 m, il cui accesso è coperto da una fi tta vegetazione. Questo corridoio, realizzato dalle FS, ha interrotto il ramo laterale della lama, riversando le acque meteoriche nel fondo con conseguenti allagamenti. Zona umida e ombreggiata, per la presenza di una fi tta vegetazione e la diff erenza di quota tra piano di campagna e alveo, muschi e felci ricoprono i fi anchi della lama, di calcarenite e calcare in successione orizzontale-verticale. Nello strato erbaceo, nuclei di gigaro, edera, acanto, rovo, salsapariglia, acetosella, arisaro comune, nepetella. Nel congiungimento con la strada vicinale Piscina Ser Nicola, sotto carrubi secolari, l’antica Grotta del Crocifi sso, scavata nella roccia calcarea, usata in passato come ricovero delle greggi o deposito di utensili agricoli. FINO ALLE SAMERALLE OLTRE VIA BERLINGUER Lungo il ramo laterale direzione SE, strada vicinale Samarelle, alcune strutture architettoniche tipiche del nostro paesaggio (calcara e pagghiàr·), in completo abbandono e decadimento. Ancora una volta, decorano i muretti a secco specie mediterranee, come la rosa di S. Giovanni, l’asparago selvatico, Il ciclamino autunnale, la ginestrella, il lentisco, il legno-puzzo, alcuni cardi spontanei, erba-vajola maggiore. Avanti fi no al ponte cosiddetto di don Carluccio, l’alveo è ostruito dagli edifi ci di via Ungaretti, un taglio netto che ha provocato e provoca allagamenti di strade e scantinati. Necessario oltrepassare via Berlinguer per rinvenire piccoli terrazzamenti con il ciclamino napoletano, lo zaff eranastro giallo, arbusti di essenze aromatiche comuni come l’alloro. Ormai semi-interrata, un’antica piscina, non messa in sicurezza, evidenziata da un gruppo di canne, favorite dal ristagno di acqua. Al ponte di Schivazappa, due gradoni di varia altezza innalzano il livello del piano di campagna. Conservato un paesaggio ancora selvatico, nonostante i rifi uti: erba-vajola maggiore, fumaria, rovi, asparago selvatico, zaff eranastro, esemplari di Prunus avium e mahaleb (cliegio di santa Lucia, portainnesti classico per il ciliegio da coltura), gruppi di viburno, malvone, acetosella, salsapariglia, gigaro, arisaro, euforbia e la cicuta. Oltre, l’abbandono. Muretti a secco e piccole costruzioni rurali disgregati. Edera soff ocante e carrubi secolari radicati alla men peggio sulla roccia. Villette e case mal rispettano la vegetazione circostante.

Autore: Marcello la Forgia
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