Il significato del 25 aprile a 60 anni dalla Liberazione dal nazifascismo
MOLFETTA – 25.4.2005
Il 25 aprile del 1945 l'Italia e l'Europa venivano liberate da 20 anni di dittatura fascista e dall'occupazione sanguinaria del Terzo Reich.
Dopo la Seconda guerra mondiale, i Paesi continentali protagonisti di quegli anni di dolore convennero tutti su una grande verità: una pagina triste come quella si sarebbe potuta superare solo se si fossero creati i presupposti per una pace duratura, dando vita ad un un'Idea che partisse prima di tutto dal rifiuto di qualsiasi genere di violenza. La loro scelta nascondeva un germe ancora primordiale, ma che con l'andare del tempo sboccerà e crescerà fino ad oggi: l'Idea di convivenza pacifica, di cooperazione inclusiva, di crescita sociale.
Come 60 anni fa venivano gettate le basi per la creazione di uno spazio dominato dai diritti umani, dalle libertà democratiche e dalla giustizia sociale, oggi siamo qui affinché questa stessa Idea cresca più forte e sicura. Il processo di allargamento e di integrazione europea sono le nuove sfide di fronte alle generazioni di oggi. Queste stanno nel solco tracciato 60 anni fa con la Resistenza e con la Liberazione e giungono fino al Trattato Costituzionale Europeo appena firmato.
Alle giovani generazioni, spetta il compito di costruire la nuova Europa, imparando da chi ha costruito l'Italia 60 anni fa. Ai meno giovani spetta il compito di conservare la memoria della lotta di liberazione nazionale che portò all'Italia democratica e repubblicana e all'attuale Costituzione, che la destra postfascista oggi vuole cancellare con la complicità di chi crede che il governo di un Paese sia la difesa degli interessi particolari e personali in particolare.
I 60 anni dalla liberazione del nostro paese dalla dominazione e dall'oppressione fascio-nazista, non possono passare sotto silenzio come vorrebbe qualcuno, occorre ricordare che l'8 settembre 1943, dopo l'armistizio, migliaia di militanti comunisti, socialisti, anarchici, del partito d'azione, cattolici democratici e antifascisti di ogni colore politico, che costituivano l'avanguardia cosciente del popolo italiano, decisero di prendere le armi per combattere sia contro gli invasori nazisti sia contro i repubblichini dell'esercito mussoliniano in rotta. Il 25 aprile 1945 segna la sconfitta storica del dominio fascista, che aveva esercitato il potere con il terrore e la repressione, imprigionando e uccidendo centinaia di oppositori del regime.
Oggi la retorica ipocrita e patriottarda tende a far dimenticare che il governo fascista si macchiò anche di terribili devastazioni e omicidi fuori dal nostro paese, praticando una politica di aggressione coloniale in Africa, Croazia, Slovenia, in Albania e in Grecia. A 60 anni di distanza è in atto nel nostro paese un vero e proprio processo di revisione della verità storica che tenta di mettere sullo stesso piano carnefici e vittime. A 60 anni dalla Liberazione dal nazi-fascismo, parecchi degli obiettivi e degli ideali per cui i partigiani combatterono sono stati o rischiano di essere cancellati, o vanificati, dall'iniziativa del governo Berlusconi che vuole cancellare la Costituzione con i nuovi fascismi della destra e i razzismi del leghismo padano.
Celebrare in questo 25 aprile i 60 anni dalla Liberazione dell'Italia dal nazifascismo non è una esercitazione storiografica: significa svolgere una riflessione sulla crisi dell'Italia e dell'Europa di oggi. Infatti, quelle vicende di 60 anni fa ci parlano della sofferenza di milioni di individui nella tragedia dell'Europa di metà Novecento, ma anche di una liberazione che è certo vittoria militare contro un esercito di occupazione e una dittatura, ma è soprattutto la riscoperta della propria dignità nazionale, di diritti politici e di libertà di una intera generazione.
La Resistenza fu un grande moto di ricostruzione in primo luogo di una coscienza civile e di una moralità pubblica, di restituzione di dignità alla dimensione politica del vivere civile. Giaime Pintor, uno dei più promettenti giovani intellettuali italiani, morto durante un'azione partigiana nel 1943, testimonia nell'ultima lettera al fratello la consapevolezza della dimensione insieme generazionale e politica della Resistenza: “Credo che per la maggior parte dei miei coetanei questo passaggio sia stato naturale: la corsa verso la politica è un fenomeno che ho constatato in molti dei migliori, simile a quello che avvenne in Germania quando si esaurì l'ultima generazione romantica. Fenomeni di questo genere si riproducono ogni volta che la politica cessa di essere ordinaria amministrazione e impegna tutte le forze di una società per salvarla da una grave malattia, per rispondere a un estremo pericolo”.
Di quella nuova tensione politico-istituzionale il risultato più maturo fu la Costituzione Repubblicana, i cui valori e principi restano la garanzia di una democrazia avanzata: l'indivisibilità e unitarietà della Repubblica, l'equilibrio dei poteri e la loro autonomia, il ripudio della guerra, l'uguaglianza degli individui di fronte alla legge, la solidarietà come fondamento di un concetto inclusivo della comunità, sono acquisizioni che costarono la vita a migliaia di giovani e a noi compete il dovere di difenderla e attuarla. Ché la democrazia, questa democrazia, non è data una volta per sempre. Ricordare è, dunque, anche vivere nel nostro tempo quei valori, difenderli e rinnovarli.
“Coloro le cui vite sono feconde per se stessi, per i loro amici o per il mondo, sono ispirati dalla speranza e sostenuti dalla gioia; essi vedono con l'immaginazione le possibilità del futuro e il modo in cui esse devono essere realizzate. ...In politica essi non consumano il loro tempo e il loro entusiasmo nella difesa di ingiusti privilegi, della loro classe o della loro nazione, ma aspirano a rendere il mondo complessivamente più felice, meno crudele, meno ricco di conflitti tra interessi rivali, e più ricco di esseri umani la cui crescita non è stata conculcata e ostacolata dall'oppressione”.
Bertrand Russel