«Pagine che, più che la storia, contengono le storie»: con queste parole il direttore del settimanale diocesano “Luce e Vita” don Giuseppe Germinario commenta i contenuti del periodico che ha tagliato l’invidiabile traguardo di ben 100 anni dalla prima pubblicazione. «Un secolo di storia, di impegno di testimonianza della fede che merita di essere festeggiato con fede e gratitudine» ha sottolineato il vescovo Mons. Domenico Cornacchia. La Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi ha, giustamente, scelto di celebrare con un interessante convegno sulla comunicazione e con la pubblicazione del volume “Cento anni di Luce e Vita. Le comunicazioni sociali nella Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo- Terlizzi” curato da Luigi Sparapano. Il libro è arricchito dai contributi di Marco Ignazio de Santis, Girolamo Samarelli, Renato Brucoli, Ignazio Pansini, Emanuela Maldarella, Luigi Sparapano, Fabio Tangari e con prefazione di Luigi Michele de Palma. Il convegno si è articolato in due giornate di interessanti e stimolanti incontri per celebrare il settimanale e riflettere sulle sfide future della comunicazione, in un tempo in cui il digitale e i cambiamenti globali richiedono nuove visioni. La prima serata ha avuto come tema “La “macchina” del giornale. Dialogo sui principi di costruzione di un notiziario”, con il capo redattore centrale del Tg1 Mario Prignano che ha dialogato con don Giuseppe Germinario nonché con Martina e Roberto, due giovanissimi autori di podcast per il format “Oltre l’altare”. Mario Prignano, con aneddoti e riflessioni, ha raccontato la sua esperienza con la carta stampata prima e la televisione poi. Ad accomunare la sua duplice vocazione di storico e giornalista è «la passione per la realtà (di qualunque epoca), la passione di capire cosa c’è intorno e raccontarlo». Dalle sue riflessioni sono emersi atteggiamenti imprescindibili per un giornalista: semplicità (elemento essenziale per la comunicazione, oltre che indice di autentica cultura), porsi delle domande, aprire la mente. Nella seconda serata, oltre a mons. Cornacchia e a don Giuseppe Germinario, sono intervenuti Mons. Sabino Illuzzi, delegato della Conferenza Episcopale Pugliese per la cultura e le comunicazioni sociali, Piero Ricci, presidente dell’Ordine dei giornalisti di Puglia, Chiara Genisio, vicepresidente della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici), e il Card. Gianfranco Ravasi, già Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura. Per mons. Illuzzi la celebrazione del centenario, come ogni evento giubilare, non deve essere considerato un traguardo ma un punto di inizio. «Oggi, sempre più, la nostra stampa – ha aggiunto – è una esperienza di forza propositiva di un messaggio particolare, deve porre tre dimensioni: il nostro essere comunicatori è fatto con il cuore, con competenza e professionalità nonché con la consapevolezza di essere oggi una voce con gli altri». Chiara Genisio ha tratteggiato un profilo della Federazione Italiana Settimanali Cattolici, che conta ben 190 testate. Il presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia, dott. Piero Ricci, ha posto l’accento sui cambiamenti a cui si assiste nella professione del giornalista, sottolineando l’importanza della tempestività: «una parte del ruolo del giornalista è andato perduto; è cambiato il modo di fare giornalismo. La notizia deve essere scritta bene e in modo completo in brevissimo tempo». Non è mancato un riferimento al valore sociale e comunitario dell’informazione: «Il futuro del giornalismo è l’informazione di prossimità e Luce e Vita è una testata di prossimità. Dove c’è un giornale si crea una comunità, che è una comunità responsabile». Interessantissima la riflessione del Cardinale Ravasi, sul tema “Il Vangelo e il Giornale. Comunicare la vita tra fede, teologia e tecnologia”. Una relazione colta ma estremamente comunicativa che ha preso il via da Hegel, secondo il quale, la preghiera del mattino dell’uomo moderno è la lettura del giornale, poiché ci permette di situarci quotidianamente nel nostro mondo storico. E, come afferma Ravasi, «il Cristianesimo è incarnazione: incarnazione nell’esistenza, nella storia, nella quotidianità». Ha articolato il suo intervento in quattro punti, quattro semi da far germogliare nelle nostre menti. Innanzitutto, guardare alla società contemporanea, costituita da persone benché oggi si tenda a parlare di “individuo” e «non ci sia più un concetto di natura umana condiviso, sulla natura, sulla struttura fondamentale». Per Ravasi l’elemento di dialogo possibile è la relazione: io (la persona con la sua coscienza, che dialoga con se stesso), tu (la persona con cui dialoghi), esso (le cose), noi (la comunità, l’essere insieme). Ha, quindi, stigmatizzato la mancanza di grandi visioni dell’esistere, così come ha esortato a parlare di interculturalità, che implica la necessità di stabilire un nesso, un ascolto, un incontro. Non poteva mancare una riflessione su fede e religione, passando per citazioni di Kierkegaard e Taylor ed evidenziando la differenza tra “secolare” e “secolarizzazione”: «il Cristianesimo è una religione secolare (il fondatore era un laico); la secolarizzazione è eliminare qualsiasi voce che sia religiosa, relegarla ai margini». Oggi si vive un’epoca in cui il sacro sembrerebbe morto. In realtà c’è un ritorno che, in realtà, non è sempre positivo, c’è un ritualismo, una ritualità fine a se stessa. Si dovrebbe tornare, invece, alla fede. Grandi sfide sono rappresentate da Scienza e Tecnica che, per il Cardinale, oggi prevale sulla Scienza. La prima ha sempre una visione mentre la seconda è un meccanismo che va sempre avanti. Le grandi scoperte hanno contribuito a migliorare le condizioni dell’Uomo ma, al tempo stesso, hanno presentano ombre (con la scoperta del DNA, ad esempio, è stato possibile curare diverse patologie ma c’è la tentazione di “creare un nuovo modello umano, oppure l’Intelligenza Artificiale consente nuove modalità di intervento nella Medicina e di affidare alle macchine lavori usuranti ma chi possiede queste macchine domina mentre i lavoratori diventano sempre meno necessari). La sua, però, non è una filippica contro la scienza e la ricerca, anzi, citando Stenone, è un elogio della conoscenza e della competenza. Ma il tema centrale della serata è stato sicuramente la comunicazione. «È bellissima la parola “comunicare”, dal latino “scambiarsi un dono” – ha affermato Ravasi – Gesù è stato uno straordinario comunicatore, è capace di coinvolgere, è incisivo». Lucida la sua analisi dell’attualità: «ormai viviamo nella cultura digitale. L’uomo attraverso la comunicazione si estende, non si può farne a meno ma è necessaria capacità critica». Il Cardinale Ravasi ha concluso il suo intervento avvalendosi di testimoni, apparentemente, agli antipodi. Di Steve Jobs ha ripreso una riflessione sulla tecnologia che «da sola non basta, è il connubio tra tecnologia e arti liberali, tra scienza e discipline umanistiche, a darci il risultato che fa sorgere un canto nel cuore». Per la testimonianza di Padre David Maria Turoldo ha scelto una bellissima poesia sul dialogo, dedicata al fratello ateo, “essere nobilmente pensoso”, con il quale superare il “deserto” e “la foresta delle fedi” per giungere all’Essenziale, a quel “Nudo Essere, là dove la parola muore”. Il convegno ha ulteriormente dimostrato quanto il settimanale diocesano non solo rappresenti un importante tassello dell’informazione ma anche un fondamentale strumento di dialogo, di confronto e di formazione. ©Riproduzione riservata