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Il dolore e la luce negli affondi di una superba analisi storico-letteraria dell'opera di Dino Claudio
15 novembre 2005

Una monografia sull'opera dello scrittore molfettese Dino Claudio, che vive a Roma da molti anni, “Il dolore e la luce”, sta suscitando un grande interesse letterario. Vi proponiamo due letture del volume di Bruno Rossi, realizzate da Antonio Coppola e Vittoriano Esposito. Quattrocento pagine fitte che implementano magnificamente tutta l'opera di Dino Claudio; una siffatta monografia, misurata e con una stretta esegesi storico-letteraria (appoggiata e ora emersa nelle centinaia di scritti-recensioni affidati a critici destinati a rimanere nel tempo) ci viene da un apprezzato ricercatore di filosofia estetica, per la verità solitario negli studi, dal nome silenzioso e poderoso: Bruno Rossi. Un tutto unitario di prosa e poesia che ha scandito l'iter di Claudio nato sotto la stella di "forzato delle lettere" che giunge a esiti di "superba" padronanza nella nostra storia letteraria dell'ultimo Novecento e inizio millennio. L'esegeta ha in modo esaustivo affrontato Claudio in ogni anfratto, investigandone a trecentosessanta gradi le opere (Bruno Rossi - Dino Claudio, "Il dolore e la luce", Bulzoni editore, Roma 2005, pp. 414, 20,00 euro). Rossi non si accontenta dell'aspetto di lucido fulgore che promana dall'opera in versi di Claudio, ma entra nelle parti e nel tutto con una prospettiva funzionale fino nei lembi della res cogitans con la visibilità che finora in pochi hanno tentato di raggiungere nella critica cosiddetta "ufficiale". Non stiamo affatto esagerando. Se l'analisi critica in poesia prevale su quella della prosa, vi è una ragione intrinseca e motivata: vi sono in Claudio quegli affondi perentori di intuizioni poetiche, quella grazia fanciulla, melanconica che preannuncia un attaccamento alla vita, al dono immenso dell'esistenza, che proprio perché immenso è precario, interrotto, fragile. Claudio è il visitatore del sistema-mondo, e della poesia fa una ragione di vita, s'impasta con essa, captando, appunto, linfe, fluidi, umori, segni di un vissuto con sciamanica precisione e atterrimento. Questo mondo o sentimento della precarietà, dell'enigma, lo fa giungere dentro la parola e da un dettaglio semantico afferrato con rapidità lo scrittore parte per fissare gli incantamenti di un paesaggio o richiamando nella parola elementi e persone su cui riversa il suo amore vorace. Tale stato conduce alla creazione estetica o classica, al riflesso immanente che sa ammaliare e trafiggere pur nel suo candore. La prevalenza della poesia ha fatto il resto e reso quasi un gioco riportare la stessa nei territori della prosa, ridare alla prosa la forza e il supporto immaginativo della poesia. Il passaggio alla prosa (non si sa quale viene prima o dopo) con le sue pagine affabulanti (Cfr: l'epico romanzo "L'alba dei Vinti") ha creato in quest'ultimo un mondo dilatato, a tempi lunghissimi, quella stagione vitale del dopoguerra degli anni '50, rapsodica di una Roma anfibologica, dove anche i momenti felici sono battiti di ciglia, rappresentano una parte importante della sua inventiva, spaziale e suasiva, che in pochi autori nostri contemporanei trova l'eguale. Claudio, ha un linguaggio estremamente composito, capace di alzare il tiro con inaspettati disegni di vicende umane antropomorfiche come nel racconto-favola classica "l'Isola di Cicno", un apologo fitto e irrorato di ironia sulla società contemporanea e franto di amarezza che è un bello esempio di operazione linguistica claudiana. In tutto questo incontro con l'autore, Claudio si lascia abbracciare dal critico, ma mai vi è quel tono del critico che vuol tutto sistemare, incasellare in un'epoca, in un mondo; Bruno Rossi semmai ha percepito la parte dell'uomo, l'intero ritratto dello scrittore, ne ha scandito e ordinato l'impulso vocazionale come un fiume che si confronta con chi l'ha generato; un Rossi soldato semplice, possiamo definirlo, che lotta per preservare la interna gnoseologia dalle nebbie in cui certa critica superficiale lo aveva avvolto. Un'occasione per mettere i lettori sulle tracce di questa scrittura densa claudiana, preziosa e varia nella sua "totalità"; "ha ordinata in modo che duri in un tempo di vita lungo, dove grava la prospettiva di finire diversamente in questo nostro mondo degradato e alienante. Un viaggio speciale attraverso e con l'artista, il "fanciullo sognatore" che si ferma come Efia dei Vangeli ad ascoltare la brezza. in realtà sta ascoltando il silenzio; il silenzio già scoperto da Claudio e che Rossi identifica con la voce dell'Assoluto. La parola di Claudio - scrive il Rossi - "è nata dallo stupore dell'infanzia, attraversa il dolore più esacerbato, ma a quello stupore riesce a tornare attraverso una coscienza più matura e consapevole. [...} E' una parola che ha la consistenza viva ed affascinante della stessa realtà, ma risolta nella forma musicale del sogno gnoseologico ed edenico, quello che ci aiuta a ricordare la nostra origine teomorfica e la serietà drammatica del nostro destino etico ed escatologico". Crediamo che l'opera monografica composta da Bruno Rossi è come una vigna, di suo sono le radici abbarbicatissime, ed è davvero difficile, quando alligna, "spiantarla". Antonio Coppola Vasta, densa, rigorosa monografia, quella che Bruno Rossi (laureato in filosofia, con particolari interessi per i problemi estetici e filosofico-religiosi) ha dedicato alla figura e all'opera complessiva di Dino Claudio, nell'ambita collana "Biblioteca di Cultura" di Bulzoni Editore. Uno studio critico che abbraccia il poeta e il narratore in una visione strettamente unitaria, con al centro la problematica esistenziale dell'uomo in un'ottica profondamente cristiana anche se priva di supporti dottrinali e implicazioni confessionali. Nella sua ampia nota di prefazione, lo stesso autore del saggio informa il lettore sulle modalità strutturali e sulle finalità della sua interpretazione: le une e le altre sono rivolte a rinvenire il filo di straordinaria connessione tra il motivo del dolore e l'urgenza di una luce superiore, in una prospettiva essenzialmente metafisica eppure mai scissa dalla condizione umana, che è sempre ben presente al Claudio poeta e narratore, scrittore e pensatore. Va ricordato che il poeta Dino Claudio, dopo l'esordio con i versi giovanili raccolti col titolo "La strada e la montagna" (1958), si presenta già con "I sentieri del vento" (1984) decisamente avviato alla sua maturità, ma fortemente in contrasto col gusto dominante della neoavanguardia, perché la, parola per lui restava "uno strumento di conoscenza, non soltanto un modo di registrare e comunicare oggetti e sentimenti" (G. Barberi Squarotti). Di qui, anzi, derivava la "limpida linearità" della scrittura claudiana (E. Giachery), incrinata tuttavia da un conflitto psicologico tra "parola e silenzio" (G. Manacorda). Bruno Rossi, prima di addentrarsi nella lettura personale dei testi poetici di Dino Claudio, procede ad una meticolosa rassegna delle valutazioni critiche avutesi sulle opere maggiori, specialmente "Il bosco illuminato" (1993). Per tratteggiarne poi le motivazioni di fondo, si sofferma a lungo su alcuni testi, come ad es. "Autunno e Puglia", dove il poeta, di origine pugliese (ma residente a Roma), quasi novello Ulisse, più che cercare la patria perduta, cerca "scampo al dolore, ma il dolore ha radici nel sangue, e cioè nella natura stessa dell'essere umano". Soffermandosi, inoltre, debitamente sulle altre raccolte, più in particolare su "Sentieri del vento" (che riunisce tre precedenti pubblicazioni), giunge alla conclusione che, dietro "il pessimismo apparente", in Dino Claudio "c'è un ottimismo dell'attesa, che è stato sì deluso nell'incontro con la realtà, ma non fino al punto di annientarsi; al contrario esso rimane costante, centro saldo e infrangibile del suo movimento poetico e del suo credo filosofico-religioso". Per quanto riguarda le strutture formali della poesia claudiana, il critico afferma che sono riconducibili ad una "classicità trasgressiva", in quanto il suo verso rientra sempre nell'ordine tradizionale (senza dissolversi, senza frammentarsi), ma avendo assimilato la lezione moderna sulla tecnica analogicO-metaforica. Parimenti attenta e rigorosa è la lettura delle opere narrative: da L'albero nudo (1977) a Il Provveditore (1984), L'isola di Cicno (1997), I racconti di Tardone (2000) e L'alba dei vinti (2002), si disegna un itinerario complesso, accidentato, tutto alimentato dalla "religione dell'Essere" che, stando alle parole dello stesso scrittore (cfr. intervista concessa a Giorgio Baroni nel 1986), non va intesa come "una generica e sincretistica religione naturale", ma del tutto inclusa in una concezione cristiana e cattolica della vita e della storia umana. Alta e degna conclusione di tutto il percorso narrativo è da scorgere nell'ultimo romanzo, "L'alba dei vinti", che Rossi giustamente definisce "romanzo polifonico della giovinezza tradita". Ci sembra di poter chiudere questa nota di segnalazione col dire che Dino Claudio meritava uno studio completo su tutta la propria opera Essendo un poeta e un narratore che ha sempre rifiutato l'irregimentazione in correnti e gruppi più o meno clamorosi, egli ha rischiato di non essere adeguatamente inserito nel panorama ufficiale della storia letteraria del nostro tempo. Col saggio di Bruno Rossi, in sintonia con le acquisizioni critiche di ampio consenso accumulatesi in più decenni, questo rischio dovrebbe essere abbondantemente superato. E la ragione principale si potrebbe trovare nelle parole conclusive dello stesso Bruno Rossi, che vogliamo qui riportare: "Da quanto sopra argomentato pensiamo che si possa evincere che l'esistenzialismo cristiano, così connaturale al suo essere nel mondo, vero motivo unificante della sua prosa e poesia, pone Dino Claudio nella condizione del dolore, ma su uno sfondo di cieli aperti, di orizzonti di luce. Si può dire anzi che i due poli in cui si evolvono tutte le sue vicende interiori e la produzione letteraria siano proprio il dolore e la luce: condizioni essenziali che configurano in modo apodittico e indelebile un creatore autentico, visitato dalla grazia". Vittoriano Esposito
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