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“I veri eroi sono i malati che nessuno vuole, quelli più fragili”
15 aprile 2020

È la prima domenica d’aprile. È l’alba di una insolita Domenica delle Palme. Chiudo gli occhi e ricordo l’odore della mia vecchia casa in via Massimo D’Azeglio a Molfetta, un tempo periferia della mia città. Sento la voce di mio padre che sta per andare al lavoro. Lui, come me, non lasciava soli i suoi malati nelle festività. Ricordo le sue carezze di prima mattina e il rumore della sua Ford Escort 1100 che partiva. Mia madre, cattolica sfegatata, mi esortava a svegliarmi per andare a Messa con lei. Ricordo ancora la canzone dei parrocchiani di San Giuseppe, una musica che mi è sempre piaciuta “i fanciulli ebrei agitavano le palme verso il Signore…”, il mio recarmi da solo in Cattedrale ad ascoltare l’omelia del nostro Vescovo salentino, poi il profumo del ragù di seppie al mio ritorno. Noi tre seduti a tavola che sorridiamo. La giornata è bellissima. Le lacrime sul mio viso mi fanno capire che non è tempo dei ricordi. Devo uscire a visitare alcuni miei pazienti, poi vorrei andare nella mia UO Cure Palliative a Monopoli per salutare e dare una parola di conforto ai malati che oggi saranno soli o quasi. Questo virus si prende beffa di loro più della loro malattia inguaribile. È brutto dirlo ma questa epidemia ha acceso i riflettori sui malati affetti da Covid 19 ma gli ha spenti su tutti gli altri, soprattutto, su quelli che nessuno vuole, quelli più fragili, quelli che hanno più bisogno di noi e che possono anch’essi essere infettati e, in questo caso, la prognosi non sarebbe delle migliori. Andrò da loro, fra poco, e dirò loro che non gli lascio soli, mi metterò i miei DP, indosserò i doppi guanti e proverò ad accarezzarli. Hanno bisogno di carezze mai come in questi momenti. Forse noi Medici, tutto il personale sanitario, le Forze dell’Ordine, i Vigili del Fuoco dovremmo fermarci davanti alle loro case o ai loro reparti per applaudirli. Noi, dicono, siamo “eroi” per attimi. Loro lo sono da giorni. Questa epidemia, però, un miracolo lo ha fatto. Ha ridato fiducia ai pazienti verso i medici, verso gli infermieri. Ha riunito il mondo dei malati a quello degli operatori sanitari. L’alleanza terapeutica tanto desiderata proprio in un momento impensabile. La gente ha cominciato a capire che noi medici siamo dalla loro parte, che siamo anche pronti a morire per loro e per questo vorrei ricordare tutti i miei colleghi, gli infermieri, i soccorritori deceduti in queste ore. Nello stesso tempo questa malattia ha fatto emergere il problema della Sanità che non può esser regionalizzata ma deve essere una sanità UNICA e PUBBLICA per tutto il territorio nazionale. Non devono esserci regioni privilegiate, bisogna raggiungere standard elevati in ogni regione ed è lo Stato che deve farlo. Ed emerge anche il fallimento in alcune regioni della teoria ospedalocentrica. Nelle regioni dove i trattamenti domiciliari anti Covid 19 iniziano prima, la malattia è meglio contenuta. E ora anche la Lombardia si sta adeguando a questo. Da anni, come voi sapete, mi batto per una Sanità organizzata che deve avere in Ospedali di livello, completi di ogni branca specialistica e di terapie intensive; oltre a tutto questo però, per poter soddisfare i bisogni continui dei pazienti serve altro, serve il supporto delle tecnologie della telemedicina, servono hospices, servono ricoveri domiciliari, servono più Ospedali Territoriali, RSA per malati complessi, serve DIVERSIFICARE la risposta sanitaria. La malattia non si vince solo con gli ospedali ma si vince con diversi modelli di cura, diversi percorsi di cura. Le mie giornate si arricchiscono anche di un nuovo e gravoso compito istituzionale, visto il mio ingresso voluto dal Presidente Michele Emiliano come consulente tecnico nella struttura di supporto della Protezione Civile della Regione Puglia per l’Emergenza Covid19. E quindi ogni giorno, inclusa la domenica, finisco le mie giornate presso l’Unità di Crisi della Regione a cercare di dare una mano per quelle che sono le mie modeste competenze. Tutti siamo Colibrì, tutti possiamo fare la nostra parte. Ho sempre sognato di lavorare gratuitamente per la mia terra, per la mia Regione: questo incarico, spero il più breve possibile, me lo permette. Avremo tanto da raccontare, da scrivere quando sarà passato questo momento. Avremo molto da criticare, avremo tanto da migliorare. Sono convinto però che da questa esperienza ognuno di noi uscirà trasformato. Bacio i miei figli, mia moglie. È tardi, devo andare.

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