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Gli scout: grazie Quindici per aver aperto uno squarcio in un tempo di assopimento delle coscienze
15 aprile 2014

Ricevo una telefonata di un amico: hai letto l’articolo su Quindici? Si parla di una ragazza di 20 anni, una escort, dice di essere scout, va ogni domenica a messa e si prostituisce per puro piacere, non per necessità. Lo leggo, ne parlo in famiglia, richiamo l’amico, decidiamo di parlarne in comunità con gli altri educatori e capire come discuterne con i ragazzi. Questa la cronaca di una notizia che ci sconvolge, ci interroga, ci richiama fortemente all’assunzione di una responsabilità educativa. Sconvolge il perbenismo borghese di quelli che credono che bastino le apparenze per definire una morale. Come dice la ragazza nell’intervista, lei la domenica va a messa, frequenta un’associazione, è di buona famiglia, studia con profitto. Le apparenze ci dicono abbia una morale, ovvero “la facoltà dell’uomo di poter valutare, individuare e realizzare nella pratica di vita i valori fondamentali dell’esistenza individuale e collettiva”. Ma poi ci dice che le sue azioni hanno in parte una deriva che non coincide con quello che lei normalmente si trova a pensare e semmai a testimoniare in altri ambiti. Interroga il nostro modo di vivere e di essere, in un mondo sempre più complicato, contraddittorio, plurale, disinibito, anche la nostra morale viene messa alla prova. Il piacere sessuale fine a se stesso, slegato da ogni legame affettivo, è solo un vizio? È una degenerazione oppure una specificazione di una percezione sbagliata di vivere la morale cattolica, fatta solo di astinenze, rinunce, costrizioni e mai di piacere fisico, di “completo” godimento della persona, di gioia irrefrenabile di vivere liberamente la propria sessualità non intesa solo come genitalità? Richiama ad una assunzione di responsabilità educativa se è vero che quello che racconta la ragazza nella sua intervista non riguarda solo lei ma un mondo giovanile vasto a cui la Chiesa rivolge il suo sguardo a volte con superficialità e bigottismo di maniera. Dico a volte perché ad esempio nella nostra Diocesi l’Azione Cattolica e l’Agesci, le due più grandi realtà associative giovanili del mondo cattolico, hanno ben chiaro il ruolo delicato che sono chiamate a svolgere al servizio delle giovani generazioni, ma si scontrano quotidianamente con l’oggettiva incapacità di gestire la complessità. I nostri giovani educatori volontari, con tutti i loro limiti e incoerenze prestano il loro servizio con generosa disponibilità. Sono proprio loro a scontrarsi ogni giorno con la varietà delle agenzie educative che ruotano intorno ai giovani, la famiglia, la scuola, la stessa parrocchia. Quante energie e risorse vengono spese in organizzazioni di sterili iniziative rituali, penso alle attività scolastiche come a quelle parrocchiali, penso ai vari “open day” o alle “novene” o alle “sagre parrocchiali”, quanta precarietà affettiva in famiglia, quanta assenza delle funzioni genitoriali. Ma accanto a queste povertà, quanta ricchezza nei tanti insegnanti che si dedicano al lavoro personale di ascolto e orientamento dei loro alunni, quanti parroci sono attenti ai bisogni delle famiglie in crisi, quante famiglie suppliscono all’assenza degli ammortizzatori sociali. A volte sono gli atteggiamenti manichei, appunto moralistici, quelli che vedono sempre il mondo diviso tra guelfi e ghibellini, tra rossi e neri, tra interisti e juventini, sono questi che allontanano i giovani dal porsi le domande di senso sulla vita, quelle domande che, se incontrano un compagno di strada non banale e non occasionale, sono capaci da sole di farti capire che non ha senso vendere il proprio corpo, anche se si prova piacere, anche se lo si fa per bisogno, anche se in fondo c’è chi fa peggio! Quegli incontri che provano ad accendere una passione, un interesse, un sogno, per sconfiggere la noia che attraversa questo tempo. Non è con il moralismo che ci difendiamo dal relativismo, ma con l’impegno costante ed autentico a fianco dei giovani. Ecco perché ringrazio Quindici per aver aperto uno squarcio in un tempo di assopimento delle coscienze, in una città in cui le morti violente non suscitano più alcuna indignazione, in cui tutti amano rinchiudersi nei propri “appartamenti” e non aprono le proprie “case” al mondo che ci circonda. Un mondo che non è né cattivo né buono, non è fatto da solo da persone buone e oneste o solo da gente cattiva e furba, è semplicemente quello in cui siamo chiamati a dare il meglio di noi st

Autore: Ferri Cormio
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