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Figliolo mio, eroe immaginario 10 ANNI 100 COPERTINE
15 febbraio 2004

Figliolo mio, eroe immaginario, questi giorni di occupazione della scuola sono stati per te dei grandi momenti: ti sei sentito importante, un “piccolo eroe rivoluzionario”, padrone dell'istituto per qualche giorno con i tuoi compagni. Dà sempre un brivido trasgredire le regole. Quel giorno quando sei tornato a casa e quasi trionfante hai esclamato: “abbiamo occupato il liceo”, la mia prima sensazione è stata di rabbia (“hanno trovato il modo per non studiare per qualche giorno”), seguita da una certa rassegnazione (“è la solita storia di ogni anno”). Poi, pian piano, ho avvertito un senso di fastidio, una voglia di condivisione, mista a inspiegabile nostalgia: i sentimenti hanno sempre il sopravvento. E con la mente sono andato indietro di quasi 30 anni, cercando di non tradire alcuna emozione visibile, per non sentirmi ripetere da tua madre la battuta sul “vecchio reduce del '68”. Ma è proprio a quegli anni che sono tornato, forse per un desiderio inconscio di recuperare qualche “primavera". Ho pensato a quegli “anni formidabili” e irripetibili, per dirla alla Mario Capanna (ma tu non sai nemmeno chi sia quest'idealista, che guidò il Movimento studentesco a Milano), quando abbiamo occupato il nostro liceo: il 3 febbraio del '69 (era anche il mio compleanno, ma non me ne ricordai, preso da un evento “più grande”). Ricordi del '68 Avevamo una gran voglia di cambiare il mondo, di mutare in meglio la vita. Assaporavamo, per la prima volta, un senso di piena libertà, la rottura con l'autorità, la voglia di pensare con la propria testa, la possibilità di dire “no” dopo anni di sofferti silenzi, il distacco dalla famiglia (i genitori, allora, non erano compiacenti come oggi, anzi!), la vita di gruppo. Tutte cose che ci facevano crescere in fretta e ci davano un senso di felicità. Una “felicità pubblica”, come la definì qualcuno. E poi, quanti sogni: dall'«immaginazione al potere», allo slogan «liberi e uguali». In quei giorni al liceo parlavamo, parlavamo, parlavamo. Di tutto. Per la prima volta avevamo la possibilità di farlo liberamente. Era tutto un fermento nelle assemblee. Già, l'assemblea che a te sembra una cosa normale e scontata, fu una “conquista” di quegli anni. Leggevamo libri, scrivevamo articoli (avevamo anche un nostro giornale “La Sveglia”, che trovi riprodotto in questa pagina). Certo, non sono mancati errori e degenerazioni. Ma senza gli entusiasmi e le ingenuità del '68, non avremmo avuto, in questi anni, il crollo delle ideologie e la fine del comunismo. Il processo è iniziato, inconsciamente, trent'anni fa. Allora la gente ha appreso che per creare qualcosa di nuovo bisognava fare piazza pulita delle vecchie prigioni intellettuali. E oggi la Seconda Repubblica stenta a nascere perché il vecchio non vuole lasciare la scena, anzi, mascherato da nuovo, tenta di impossessarsi dello Stato, del potete e perfino delle nostre coscienze. Questa è la rivoluzione incompiuta del nostro tempo. Il '68, quanti ricordi! Ma ora ho il grande dubbio: come comportarmi con te? Voglio risparmiarti le delusioni del '68-'69. Ma se ti parlo dei nostri errori, ho l'impressione di sentirmi un reduce, un vecchio partigiano, O, peggio, un moralista forzato. Che noia! Se ti incoraggio, ho la sensazione di essere un nostalgico con tanta voglia di tornare a combattere un improbabile nemico. Forse è la nostalgia degli anni giovanili, ma anche la noia della politica attuale e la voglia di cambiare. Ma sarei ridicolo, oggi, sulle barricate, come quei genitori che, in altre città, hanno costituito perfino un coordinamento per dare consigli agli occupanti sulle cose da fare e organizzare premurose staffette alimentari. Alla ricerca di un'identità No, figliolo, devi faticosamente cercare da solo la tua identità. Devi pagare i prezzi (giusti o sbagliati) di questa tua scelta, anche se oggi si va, si occupa e poi si torna a cena. E domani si ricomincia. Non ti faccio lezioni. Anzi, cerco di capire, nella continua tentazione di banalizzare tutto, nel ricordo di quei “mitici” anni. Non è possibile fare confronti, non perché allora eravamo migliori, più bravi, più impegnati. Ma perché eravamo diversi, in altre circostanze storiche, con la necessità di operare la grande rottura con la società, la politica, la cultura conformiste dell'epoca. Politica e felicità, allora, per una volta, furono conciliabili. Ma da allora nulla è stato come prima. Oggi è diverso, le condizioni sono cambiate: i genitori, forti delle loro esperienze, sono più comprensivi e accettano quelle blande “trasgressioni”. Ma, attento, c'è un pericolo: il ritorno massiccio, sfrontato della vanità, della ricchezza esibita, della pubblicità idiota ma insinuante, del perbenismo, del conformismo, del luogo comune, della mediocrità che aspira al potere. Su questi pericoli devi vigilare. Devi riscoprire i valori della solidarietà e del servizio, combattere l'ipocrisia dilagante, difenderti da un'autorità non più arrogante e palese, bensì nascosta, sorridente e pronta a piegarti alla sua volontà non con la forza, ma con le lusinghe televisive. Pensa con la tua testa: sempre. E scoprirai da solo il piacere della libertà e dell'indipendenza. Se l'occupazione servirà a farti crescere uomo libero, viva l'occupazione. Felice de Sanctis 15.12.1995
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