Un libro di storie. Di quelle che non iniziano, però, con c'era una volta. Un libro di storie che iniziano con ciò che può succedere oggi nelle realtà scolastiche. Storie che i genitori dovrebbero leggere e che i ragazzi non vorrebbero trovarsi a vivere. Si tratta del testo Tutto normale. Bulli, vittime, spettatori di Elena Buccoliero edito da “la meridiana” di Molfetta. Abbiamo scelto questo approccio per approfondire un tema spinoso, quello del bullismo, lontano dai clamori delle notizie di cronaca, anche gravi che si sono verificati in alcune scuole della nostra città. L'intervista con l'autrice, sociologa che vive a Ferrara dove lavora a Promeco, un servizio pubblico che fa prevenzione con gli adolescenti, occupandosi prevalentemente di bullismo e uso di sostanze illegali, è un percorso che tende a sbriciolare alcuni luoghi comuni, un viaggio non solo nelle realtà giovanili ma che nell'analisi che ne segue richiama anche gli adulti alle loro responsabilità educative. Quando si affronta il tema del “bullismo” si presenta spesso la tendenza di minimizzare gli episodi: “è successo anche a me… a quell'età è normale… sono cresciuto e ho superato il tutto senza problemi”. Si tratta davvero di casi da derubricare nella normalità dell'essere ragazzi? «Ferrara, che è la mia città, un proverbio popolare dice: “quel che non ammazza ingrassa”. Forse è diffuso anche in Puglia, non so. E io penso: è vero, ma tra “quel che non ammazza” ci sono cose ottime, buone, accettabili, solo un po' dannose, e cibi veramente indigesti, avariati, anche solo debolmente velenosi... Insomma, bisogna fare delle differenze, il bullismo non è una cosa sola e non tutto può essere accettato, così come non tutto può essere drammatizzato all'estremo. A volte basta solo una parola al momento giusto per interrompere un comportamento sul nascere, per dare consapevolezza a un ragazzo o a un gruppo che quello che accade sta facendo soffrire altre persone. E poi c'è la questione del futuro. Quel che “non ammazza” noi lo mangiamo, ma poi bisogna vedere poi qual è il livello del colesterolo, le nevrosi cardiache, la pressione arteriosa... Nel nostro esempio, ci sono ragazzi e adulti che soffrono per anni a causa delle cattive relazioni instaurate nella scuola, problemi di depressione, di autostima, o irrigidimento delle difese personali per non essere mai più attaccati in futuro, sfiducia nel prossimo… Insomma, certo che le difficoltà e le sofferenze possono essere anche occasione di apprendimento, conoscenza di sé, approfondimento di sensibilità o capacità, ma possono dar luogo anche a conseguenze molto negative e, in ogni caso, non mi sembra questa una buona ragione per giustificare comportamenti vessatori a danno dei più deboli. A meno che si confidi nella “selezione naturale” come strumento di “pulizia” della società... ma questo evoca tempi e scenari ideologici francamente sconfortanti, orribili...» Nel suo libro racconta diversi episodi, dal più classico rito di iniziazione del più grande sul più piccolo alla sottile prevaricazione al femminile, c'è un percorso preciso che porta dalla presa in giro all'emarginazione? «Ci sono dinamiche di gruppo che cominciano e poi si riscaldano, prendono forme diverse, in alcuni momenti si consolidano, come cera che si raffredda. Qualche volte queste dinamiche di gruppo sono distorte e si basano su abusi di potere. Non è sempre vero, ma può accadere, soprattutto dove i ragazzi sono lasciati da soli a fare gruppo. Non è detto che ci sia un percorso. C'è chi viene preso in giro ogni tanto, chi spessissimo e per anni ma non altro, c'è chi nel tempo dopo le prese in giro viene arrivare le botte, le estorsioni, i danneggiamenti... Ma le prese in giro ripetute, senza bisogno di aggiunte, sono già state causa di tentato suicidio (o di suicidio riuscito, purtroppo) per più di un ragazzino. Insomma i percorsi sono moltissimi, le relazioni umane sono una cosa complessa. Quello che si può fare è osservare per cercare di capire, e da lì intervenire in modi che siano di aiuto, che aprano strade nuove dove tutto tende a chiudere il novero delle possibilità». Comunemente, pensando al bullismo, si ritiene sia una problematica solo maschile, ma come lei mette alla luce nel suo scritto, c'è nelle scuole anche una forma di emarginazione al femminile. In base alla sua esperienza, ritiene si tratti di casi diffusi? Ci sono differenze tra forme di prevaricazione “al maschile” e “al femminile”? «È davvero sbagliato pensare che il bullismo sia un fenomeno maschile, anche se le prepotenze più frequenti e in un certo senso anche le più pesanti (aggressioni, estorsioni...) riguardano prevalentemente i ragazzi. Questo dicono le ricerche e questo si è abituati a leggere negli studi che riguardano le prevaricazioni: il bullismo femminile è soprattutto psicologico, quello maschile fisico, mentre in entrambi i casi sono frequentissime le offese, le prese in giro reiterate, e via di seguito. Negli ultimi anni, però, l'esperienza diretta nelle scuole ci fa osservare come questa differenza tenda progressivamente a sfumare. E in ogni caso, è difficile decidere dall'esterno quali atti sono più gravi. Anche una presa in giro ripetuta può diventare un macigno, in certe condizioni ». Il mondo dei grandi, ma soprattutto quello della scuola, non ne vien fuori bene nei racconti da lei pubblicati: professori distratti, che non vogliono vedere o nel migliore dei casi attenti ma impotenti. Ci sono delle reali responsabilità addebitabili alla scuola quando si verificano queste situazioni di disagio? «Sì, io credo che la scuola abbia responsabilità forti. Con questo non dico che la scuola sia colpevole: ci sono certamente delle buone ragioni se spesso non è in grado di prevenire o di cogliere e contrastare il problema, compresa una certa solitudine dell'istituzione scolastica, o l'ineguale formazione dei docenti sui temi delle dinamiche di gruppo per esempio. Credo però che certi comportamenti siano molto legati ai contesti in cui si verificano, alle regole esplicite o implicite, al tipo di sguardo con cui gli adulti accompagnano la crescita dei ragazzi, al grado di collaborazione e comunità di intenti che si stabilisce tra chi insegna, al fatto che si accetti di mettersi in gioco anche come persone o soltanto per il ruolo che si sta svolgendo... Potremmo continuare ancora...» Da quali segnali un insegnante, un genitore o un educatore può accorgersi che c'è qualcosa che non va in una classe o in un gruppo di adolescenti? «Ci sono fatti che si vedono o che prima o poi si sanno, per esempio le prese in giro si colgono e, quando sono ripetute e sempre sulle stesse persone, devono almeno interrogarci, anche perché spesso sono accompagnate a comportamenti più gravi che avvengono quando l'adulto non c'è, oppure i furti importanti, il danneggiamento del materiale scolastico... Ma anche l'improvviso calo di rendimento e la demotivazione di un adulto molto bravo possono nascondere (non è detto ma a volte è così) un disagio dato da relazioni poco positive con i compagni. Anche le esclusioni sono abbastanza osservabili. Certo cose come le estorsioni o le molestie si fa fatica a vederle, magari si può respirare un clima di paura, una divisione in sottogruppi troppo marcata rispet-to al solito, una sorta di omertà... E poi, se si ha voglia di rassicurarsi sul clima che i ragazzi respirano in classe, o se si ha il timore che qualcosa vada per il verso sbagliato e si ha bisogno di verificarlo, una cosa semplice che si può fare è chiedere ai ragazzi come stanno in classe. Farlo possibilmente in modo indiretto, magari per iscritto, in modo anonimo o con un semplice tema di lettere… o ragionando su un film che permette poi di parlare del proprio gruppo… I modi sono moltissimi». Gli ultimi episodi di cronaca mettono in luce come ci sia una ulteriore componente negli atti di bullismo: il bullo, la vittima e la ripresa video, quindi il pubblico allargato e dilatato dalla messa in rete di questi filmati. Da una parte questo rappresenta una ulteriore forma di attrazione generata dalla spettacolarizzazione del gesto violento? Dall'altra, quella della vittima, il video rappresenta una reiterazione dell'offesa? È possibile contrastare questo fenomeno? «Tutto vero, e credo ci sia in più un bisogno di emulazione che si è scatenato dopo il fatto di bullismo nella scuola torinese – per intenderci il primo che è salito alla ribalta negli ultimi mesi – e, come dato ulteriore, una “voglia di esistere” che a quanto pare, nel nostro tempo, acquisisce un senso di realtà solamente attraverso il virtuale. Se una cosa è vera quando la dice la televisione (o Internet...), anche noi, le nostre azioni e relazioni diventano reali quando c'è un occhio che le guarda. In questo senso lavorare sulle dinamiche di gruppo con la telecamera (e con tutti i permessi dei genitori... ecc.) può essere interessantissimo ed anche rivedere i filmati con i ragazzi, far crescere la capacità di prendere le distanze dal mezzo, di smontarlo e di criticarlo, di governarlo in modo intelligente piuttosto che di subirlo. La testimonianza ripresa con un telefonino può servire anche a condannare un criminale... il male non sta nei mezzi, ma nell'uso che se ne fa. Beh, prova ne è che proprio i filmati in rete sono stati utilissimi per portare all'attenzione di tutti episodi sì violenti ma non troppo peggiori di tanti altri che accadono nelle scuole ogni giorno. Certo non in tutte le scuole, non sempre, ma queste cose ci sono. Forse dobbiamo ringraziare i videofonini perché ce le hanno fatte vedere, hanno mosso le acque. In ultima analisi, il Ministero alla P.I. sta avviando un osservatorio sul bullismo anche grazie ai “bulli” di Torino». In conclusione, questi episodi mettono in luce la mancanza di una educazione al rispetto per la persona ma anche una crescente incapacità di rispetto per le regole da parte delle giovani generazioni. Davvero, come sostengono i più allarmisti, ci stiamo perdendo i ragazzi per strada? Davvero la cultura diffusa del predominio del più forte, della facilità di accedere ai desideri attraverso la prepotenza, la facilità con cui tutto pretendendo e minacciando e ricattando si realizza, ha cancellato o reso pericolosamente minoritario chi rispetta le regole, chi parla sotto voce, chi siede all'ultimo banco? «Nei momenti di peggior pessimismo penso che le cose stiano veramente così, e che non riguardino soltanto né principalmente i ragazzi. I modi in cui spesse volte si fa divertimento, si fa spettacolo, si fa sport, si fa politica, si fa denaro… i modi in cui gli adulti fanno tutto questo, non sono sempre puliti. Le prepotenze come strumento di affermazione, i ragazzi non se le inventano da sé. Nel bullismo, in più rispetto all'uso disinvolto della vessazione c'è la reiterazione sulla stessa persona più debole, dunque il crearsi di una relazione molto stretta, piena di emozioni e sentimenti forti e contraddittori, tra i primi protagonisti del gioco. Ma come in tutte le azioni sociali c'è un contorno e un contesto che contribuisce fortemente a far sì che il gioco si compia, e a dichiararne l'esito, e la prima impronta è data dal mondo dei “grandi”. Poi i momenti di peggior pessimismo lasciano spazio alla convinzione che qualcosa di bello sia pur possibile offrirlo, pensarlo, costruirlo, certo non da soli. “Al centro dell'agire sono persone”, diceva un maestro di nonviolenza che è Aldo Capitini. Forse dovremmo cominciare da lì».
Autore: Michele de Sanctis jr.