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È mancato il consolidamento territoriale delle vittorie passate: serve un lavoro comune IL DIBATTITO SULLA SINISTRA PERDUTA – Giovanni Infante di Rifondazione comunista
15 febbraio 2023

Caro direttore, ho letto con interesse sia il Suo editoriale che quello del dott. Gennaro Gadaleta Caldarola, entrambi ricchi di spunti più o meno condivisibili. Venendo rapidamente al punto, non sono in grado di spiegare perché la sinistra a livello nazionale non riesca più a mobilitare l’elettorato di riferimento come accadeva in passato. Non ho certezze sull’argomento. Probabilmente questa disaffezione dell’elettorato è la risultante di nuove condizioni storiche ed economiche a cui la sinistra storica, ereditata in gran parte dal Pd, non ha saputo dare risposte politiche convincenti. E soprattutto non ha saputo dare risposte adeguate alle aspettative dei ceti popolari, tarando invece le stesse risposte su aspettative politiche dettate da organizzazioni sovranazionali, in linea con la finanziarizzazione della economia globalizzata. La scelta degli italiani di optare per la destra di FdI alle ultime politiche, penso che abbia poco a che fare con l’ideologia. Anche se non si può non convenire che la maggior parte della popolazione italiana è incline al moderatismo, una parte rilevante ha scelto un’altra “ditta”, questa volta quella di “destra-destra”, quella che è sembrata meno compromessa nella attuazione di politiche anti-popolari quali quelle dei protocolli inseriti nell’agenda Draghi di cui il PD è stato fedele vestale. Il capitalismo finanziario con la globalizzazione ha portato a dei cambiamenti che in parte Marx aveva immaginato. L’affrancamento di milioni di uomini dalla povertà assoluta in tante parti del mondo, riportati dalla globalizzazione in gioco sulla scena mondiale, si è tradotta in un impoverimento netto per i ceti medi e popolari nelle nazioni di antica industrializzazione. Hanno dovuto subire le delocalizzazioni e i bassi salari. La Lega e la destra, mettendo al centro le istanze territoriali e cavalcando il tema delle identità, con la netta chiusura ai fenomeni migratori, sono riusciti ad accreditarsi presso quella parte maggioritaria dell’elettorato indicando il capro espiatorio a seconda dei casi, nei meridionali o negli immigrati. In ogni caso offrendo un’immagine di protezione per i minacciati o i “penultimi”. La sinistra o meglio quei partiti accreditati storicamente come di sinistra, invece, ci ha messo del loro per sancire la loro quasi scomparsa dal proscenio politico. La sinistra ha dimenticato i diritti sociali del suo popolo, il diritto al lavoro, alla sua sicurezza, non si è opposta alle delocalizzazioni, non ha combattuto l’evasione fiscale, ha “flirtato” senza problemi con i vincenti e i rampanti della globalizzazione. Ha smesso di essere presidio per i beni comuni a iniziare dal Servizio Sanitario Nazionale. Con la sciagurata decisione (di chi si avvia a diventare il nuovo segretario del PD), ha scelto di allinearsi ai presidenti leghisti nel chiedere la autonomia differenziata per l’Emilia Romagna e correndo il rischio di alienarsi quel poco di consenso che le è rimasto al Sud. E poi la posizione acriticamente pro- Nato con il supporto militare al governo Zelensky. Anche questa volta la guerra è il risultato del “complesso ed ossessione” russa dell’accerchiamento. La paranoia di Putin che ha portato alla guerra è stata scientemente ben alimentata dalla Nato e dal governo ucraino. Questi sono fatti che connotano il ruolo attuale del PD sullo scenario nazionale. Come può uno che si considera di sinistra pensare di avere in un partito che pratica queste politiche un punto di riferimento? Addirittura che possa essere una scialuppa di salvataggio (come la chiama Lei direttore) per il popolo di sinistra? Questo che ho dovuto descrivere non è disfattismo ma “parresia”. Dire la verità, non nascondersi dietro alibi inesistenti. Il Pd di oggi si vuole ascrivere alla sinistra, ma non pratica né a livello nazionale né sovranazionale alcuna politica che possa essere assimilata ad una politica di sinistra o almeno a quello che io ritengo debba essere una connotazione politica di sinistra. Vogliamo spostarci sull’ambito re-gionale? In quel contesto la politica del Pd si incarna nella volontà di un piccolo autocrate quale è Michele Emiliano. Con una maggioranza alla Regione che cambia ogni mese assorbendo, in linea con il peggiore civismo “amorale”, i vari ras delle liste civiche, anche di quelli che lo avevano abbandonato in dirittura di arrivo alle regionali. A Molfetta li conosciamo bene. Chiedo ad un elettore del Pd che ha votato Emiliano se immaginava di trovarsi come assessore alla sanità, (l’assessorato di maggior peso sia per il budget che per il significato politico che ne deriva dalla sua gestione), quel Rocco Palese, uomo simbolo della consigliatura regionale retta da Raffaele Fitto? Cosa c’è di sinistra in tutto questo? Come è possibile ricostruire, partendo da queste premesse, a livello regionale, una sinistra non nominale che si accrediti per delle politiche realmente riformiste a vantaggio di chi sta pagando la crisi? Consideriamo, infine, l’ambito locale. Cosa è diventato quel partito oggi a Molfetta? Un partito a vocazione nazionale maggioritaria che raccoglie alle comunali più o meno gli stessi voti di Rifondazione comunista nella nostra città. Sconta il fatto di essere stato organico fino a pochi mesi prima delle elezioni comunali alla giunta Minervini condividendo tutto. Ed attualmente questa condizione di ambiguità di cui portano la responsabilità i referenti politici locali si concretizza con la sostanziale afasia del referente politico in consiglio comunale. Come è possibile votare contro provvedimenti che giungono a delibera e che recano ancora in fase di avviamento delle procedure l’egida dell’assessore del Pd nella scorsa consigliatura? Consideriamo anche l’abbandono del posto in consiglio comunale del candidato sindaco scelto da Emiliano alle scorse comunali che ha contribuito a mettere ancora di più in difficoltà il centro-sinistra e consideriamo anche la presenza di una corposa quanto battagliera opposizione di destra (su cui soffia a favore il vento di centro-destra a livello nazionale). Consideriamo la difficoltà di lavorare a fare opposizione di fronte ad una maggioranza che si può permettere anche di ignorare, non rispondendo, alle numerose interpellanze che non solo il sottoscritto ma anche altri partiti di centro-sinistra come SI e Rinascere hanno presentato finora. Ci sono dei margini per ricostruire a Molfetta una sinistra compatta che possa ambire a governare la città? Molfetta non è certo una città di sinistra, probabilmente non è neanche una città orientata a destra. È una città dove il bisogno, l’interesse personale orientato dai signori che controllano i pacchetti dei voti finiscono per decidere. La sinistra ha vinto quando si è unita attorno a personaggi carismatici capaci di fare la differenza nel caso di Guglielmo Minervini, o quando è riuscita a sfruttare la convinzione della destra di essere già vincente (con Paola Natalicchio). Ma alla vittoria elettorale non è seguito un lavoro di consolidamento territoriale, un rafforzamento delle comunità politiche di sinistra lontano dai momenti elettorali. Basti vedere alcuni indicatori di base: quante e quali sedi fisiche sono presenti in città delle organizzazioni facenti parte della sinistra nominale? Quante ne sono stabilmente aperte? Quante organizzazioni sviluppano un’attività politica e associativa capace di andare oltre il chiacchiericcio a mezzo stampa, social media? Insomma, la cittadinanza larga o ancora il “popolo di sinistra” come potrebbe affezionarsi a gruppi politici sbiaditi e sradicati? Forse una riflessione più meditata e di lungo periodo, oggi che siamo lontani da appuntamenti elettorali, potrebbe essere utile a sinistra per non ricadere nella solita litania delle “solite divisioni a sinistra” come se non ci fossero anche a destra e a centro... Nel frattempo dopo il passaggio elettorale il collettivo di cui sono rappresentate istituzionale continua a stare sul pezzo, a studiare, a collaborare con movimenti che hanno a cuore le sorti di questa città. Continua a coinvolgere i cittadini con interpellanze, manifestazioni e petizioni circostanziate. Crediamo di aver contribuito cono le nostre proposte a segnalare come intervenire sui problemi. Certo non basta. Non basta fare da soli questo percorso perché è faticoso. Perché a volte illude di essere nel giusto ed invece si sta sbagliando. Confrontarsi con gli altri è giusto e spesso paga. Nessuno più di me desidera che si possa trovare uno o più punti in comune per iniziare a provare a costruire ponti con gli altri movimenti politici, ambientalisti, di volontariato e che condividano come chiede il dott. Genni Caldarola, “l’idea del socialismo chiara e poco complessa: solidarietà e giustizia sociale nella libertà di realizzare le proprie aspirazioni”. Rimane sullo sfondo il dubbio che mettendo sulla propria bandiera una idea semplice e condivisa possa farti vincere una campagna elettorale. Probabilmente però non apre le porte al cambiamento di una città dove l’interesse pubblico è da anni calpestato, i privati possono decidere cosa fare di ettari di terreno, la pulizia delle strade esiste solo negli occhi di chi gestisce l’ASM, si consuma suolo pubblico, si continua a costruire quando ci sono centinaia di appartamenti sfitti ed invenduti. Proviamo a lavorare insieme, a metterci insieme per un obiettivo, una campagna. Ho proposto a Domenico Gagliardi di lavorare insieme per fare controinformazione e sostenere il referendum contro l’autonomia differenziata. Ci sarà il Pd? Cosa farà Bonaccini quando sarà segretario? Sconfesserà il Bonaccini presidente dell’Emilia-Romagna convinto firmatario con Zaia e Fontana della richiesta di autonomia? Dopo di ciò, se dovesse manifestarsi questa contraddizione, anche a Molfetta e le interlocuzioni non si realizzeranno, si risolverà tutto, parafrasando quei comici napoletani che sfottevano negli anni Novanta la Lega, affermando: “Non è che il Pd non è di sinistra... è che voi siete troppo comunisti”.
Giovanni Infante

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