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Dialogo con l'assessore Minervini alla vigilia delle primarie: “vale la pena non sprecare l'occasione” Per prima cosa sollevare il velo di degrado che sta cadendo sulla città
13 ottobre 2007

MOLFETTA - Domani si vota per le primarie. Di fronte alla “rigenerazione politica più coraggiosa che la politica abbia finora messo in campo”, l'assessore regionale alla politica attiva Guglielmo Minervini risponde prima di tutto con la coerenza che ha contraddistinto il suo percorso politico, poi crede in un partito che deve “farsi cittadino” e che deve essere in grado di dare ai giovani una ragione per non mollare. Ma prima di tutto la preoccupazione per la città: “Il compito essenziale del PD è sollevare il velo del degrado. E' finito il tempo del silenzio, è ora di parlare, se necessario anche di denunciare. La città si sta riscoprendo sporca, trasandata, abusiva. Una città in cui i furbi, gli spregiudicati e i prepotenti dominano e si affermano, ostentando la loro impunità. La città sta perdendo la sua anima, il suo ethos civico, il suo nucleo di valori essenziali. Mentre al contrario c'è bisogno di mettere insieme le energie per giocarsi le carte delle straordinarie opportunità che stanno attraversando il nostro territorio. Questo è il tempo di convocare le “persone di buona volontà” attorno alla voglia di una buona politica che sappia guidare con intelligenza i cambiamenti in atto nella città. Il primo dato che sarà interessante rilevare a Molfetta riguarderà allora proprio la partecipazione. Nel 2005 alle primarie che scelsero Prodi come candidato dell'Unione votarono 2.260 cittadini. Quali sono le sue previsioni per questa tornata? Da questo dato sarà possibile rilevare un segnale di cambiamento nella nostra città? Considerate che nelle primarie per Prodi votò l'intera coalizione, mentre questa volta saranno impegnati solo due partiti. Dunque, ritengo che una partecipazione tra i mille e i millecinquecento cittadini si potrebbe considerare una buona risposta. Lillino di Gioia non si riconosce nel nuovo partito politico e annuncia di volersi dimettere da consigliere comunale, Piero de Nicolo si candida e sembra voler entrare quale protagonista. E il discorso potrebbe anche essere allargato a livello regionale e nazionale. Questi cambiamenti lasciano più d'uno scettico sulla nascente formazione, in cui sembra si vogliano misurare da subito i rapporti di forza fra le correnti che stanno dando vita al PD. Come spiegare questi cambiamenti alla gente? Non mi chieda di rispondere delle scelte compiute da altri. Ciascuno risponde della coerenza del proprio percorso. Il mio è di una linearità ferrea. Sono nato col Percorso, che fu un tentativo fortemente innovativo di superare la logica delle appartenenze: mettere insieme le persone e le idee lavorando sui problemi, una sorta di Ulivo ante-litteram. Ora approdo al Partito Democratico: come dire dall'Ulivo all'Ulivo. Abbiamo messo tredici anni per dare una forma compiuta a quello che sperimentammo nel '94. Quando si giudica la politica, i cittadini dovrebbero anche giudicare le storie dei politici, la coerenza delle loro storie. C'è chi la può esibire, chi ha qualche difficoltà. I giovani. L'idea diffusa è che i politici siano nella stanza dei bottoni solo per curare i propri interessi e che bisogna rivolgersi a loro solo come estrema ratio per ottenere una raccomandazione per un posto di lavoro; con il rischio che avvicinandosi alla politica si diventa come loro. È chiaro che si è sbagliato qualcosa nella formazione dell'attuale classe politica. Le chiedo quali sarebbero questi errori e quali sarebbero gli elementi di novità che il partito democratico si propone di offrire per l'educazione e la costruzione delle nuove generazioni politiche? Sono fermamente convinto che è giunto il momento di questa generazione di giovani. Per due ragioni. La prima è che loro comprendono il senso dei cambiamenti in atto molto meglio di noi. Hanno un'idea molto più adeguata di questo mondo complicato e veloce. La seconda è che ciascuno di noi è ormai figlio della sua storia e, invece, abbiamo bisogno di iniziare una nuova storia. In realtà c'è anche una terza ragione: mettere al centro i giovani, lanciargli la sfida della responsabilità del cambiamento significa anche dargli una ragione per non mollare, un motivo in più per provare a restare, per costruire qui le occasioni per realizzare se stessi. Altrimenti, questa emorragia di energie vitali ci continuerà renderci tutti più deboli. L'altra sera una ragazza, nel corso dell'incontro con i giovani, ha formulato un concetto straordinario: il PD deve farsi cittadino. Proprio così: la scommessa del “partito nuovo” sarà vinta se sarà un partito non di “casta”, dei politici, ma dei cittadini. Cittadini che dopo aver assolto i propri doveri professionali, familiari, sociali, avvertono il bisogno di dedicare una quota del proprio tempo per risolvere i problemi di tutti, i problemi della città. Ritiene che anche a Molfetta, dopo la nascita del PD, sia necessario aprire un dialogo con la maggioranza di centro-destra imperniata sull'egemonia del padre padrone, nonché sindaco-senatore Antonio Azzollini, contribuendo nelle scelte più importanti per la crescita della nostra città e dando un senso ad un Consiglio Comunale dove si gioca a chi alza prima la mano? Credo nella politica come dialogo. La politica è migliore quando produce confronto serrato sui problemi. Invece, quella che vediamo comunemente è uno scontro senza sosta e senza esclusione di colpi. Un incessante gioco delle parti. Facciamo un esempio. Nell'ultimo consiglio comunale, l'opposizione ha cercato di argomentare i motivi del dissenso verso la scelta di dismettere la proprietà dell'immobile comunale presso l'Outlet. Mentre nella zona ASI nasce una delle concentrazioni della grande distribuzione commerciale tra le più rilevanti della Puglia, il comune liquida, in cambio di quattro spiccioli, l'unico canale di comunicazione tra quel polo e la città. Con quella scelta si isola la città dal polo commerciale, stiamo rinunciando a promuovere la città, nella sua bellezza ma anche nelle sue offerte commerciali, nel grande flusso di oltre 5 milioni di persone che transiteranno in quelle strutture. Non c'è stato verso di discutere. C'è ancora una politica che si concepisce come affermazione di muscoli, come arroganza del potere piuttosto che come ricerca delle ragioni. Penso che i cittadini fuggano proprio da questa politica. Molti cittadini, probabilmente, non andranno a votare in virtù del meccanismo delle liste bloccate, in cui sono inseriti i nomi di coloro che parteciperanno alle assemblee costituenti. In pratica si è inserito il meccanismo dell'ultima legge elettorale tanto criticata, proprio dal centro-sinistra. In questo i cittadini hanno visto una preventiva spartizione degli incarichi dirigenziali, c'è chi già non crede nelle novità del partito. E' vero le lista sono bloccate, ma è altrettanto vero che con poche decine di firme era data a tutti la facoltà di presentare liste di collegio. Lo ricordo anche agli amici dell'associazione del PD: forse un approfondimento delle regole avrebbe evitato certe scelte affrettate e ingenerose. Il PD resta veramente aperto, gli esiti saranno imprevedibili, ci sarà un forte ricambio di classe dirigente. Avrà anche dei limiti, ma resta l'esperimento di rigenerazione più coraggioso che la politica abbia finora messo in campo. Vale la pena non sprecare l'occasione.
Autore: Roberto Spadavecchia - Michele de Sanctis jr.
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TAGLI SVANITI, nel dl di bilancio un aumento del 2,74% La politica? Costa 53 milioni in più I costi dei Palazzi arrivano a due miliardi. Nonostante promesse, impegni e giuramenti Bastava tagliare un euro. Soltanto un piccolo, insignificante euro e per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana il costo degli organi costituzionali avrebbe avuto davanti il segno meno. Invece no: aumenterà anche nel 2008. Di oltre 53 milioni di euro. A dispetto di tutte le promesse, gli impegni e i giuramenti spesi per rassicurare un'opinione pubblica in fibrillazione. Lo dice, spazzando via mesi di pensosi bla bla, la tabella a pagina 279 dell'Atto Senato 1818, cioè il disegno di legge del bilancio dello Stato per il prossimo anno che accompagna la legge finanziaria. Lì c'è una bella sorpresa. In quella tabella si spiega che gli «oneri comuni di parte corrente» a carico del ministero dell'Economia per gli organi costituzionali, vale a dire le spese di Camera, Senato, Quirinale, Corte costituzionale, Cnel e Consiglio superiore della magistratura ammonteranno l'anno prossimo a 1.998.914.863 euro. Poco più che un milioncino sotto la soglia fatidica dei due miliardi. Una scelta dovuta forse al pudore. O al tentativo di seguire le vecchie regole raccomandate dai maghi della pubblicità per far digerire al cliente una cifra indigesta: molto meglio appiccicare una targhetta di 9,99 dollari piuttosto che 10,1. Certo, la differenza è minima. Ma psicologicamente… Eppure i numeri, si sa, sono impietosi. E dicono appunto che i sei organi citati, che nel 2007 sono pesati sulle pubbliche casse per un totale di 1.945.560.992 euro, ne peseranno l'anno entrante 53.353.871 in più. Cento miliardi delle vecchie lire. Con un aumento del 2,74%. Un punto in più rispetto all'inflazione, ferma all'1,7%. Il che significa che, al momento di fare l'addizione, la spesa supplementare sarà tre volte superiore a quei miseri 18 milioni di euro che il ministro dell'attuazione del programma Giulio Santagata diceva di essere riuscito a tagliare faticosamente nella scorsa primavera con un giro di vite su convegni, pubblicità, enti e commissioni inutili e qualche spesa dei ministeri. E superiore alla somma che lo Stato spende ogni anno per l'«integrazione sociale» degli immigrati (50 milioni). O a quella (ancora 50 milioni) che dovrebbe essere stanziata per le vittime dell'amianto. A una prima lettura, a dire il vero, il quadro sembrerebbe ancora più nero. L'anno scorso, alle stesse voci, c'erano infatti 1.774.024.973 euro. Il che farebbe pensare a una mostruosa impennata nei costi delle principali strutture ai vertici del Paese di oltre duecento milioni di euro. Mail confronto, che sarebbe disastroso agli occhi dei cittadini, è improponibile: le voci messe a bilancio sono state infatti spostate, riscritte, accorpate, ridisegnate fino al punto che da non potere essere messe sullo stesso piano. Altrettanto ingiusto sarebbe caricare l'aumento dei costi, alcuni dei quali crescono per forza d'inerzia, sulle sole spalle del centrosinistra: i numeri dicono che nei cinque anni della scorsa legislatura, quando il centrodestra aveva una maggioranza larghissima, i costi degli stessi organi costituzionali di cui parliamo ora aumentarono del 24% oltre l'inflazione. Per non dire dei casi specifici del Quirinale (più 41,9%) o del Senato: più 38,9%. Il nocciolo della questione, però, resta: nel momento di massima spinta a tagliare, i costi dei «Palazzi» principali crescono ancora. Ma sicuro, nelle tabelle disaggregate qualche taglio c'è. Il ministero di Rosy Bindi dovrebbe perdere 40 milioni (da 320 a 280) dei fondi di sostegno alla famiglia. Gli stanziamenti a favore dell'editoria dovrebbero scendere da 79 a 34milioni. Quelli per le pari opportunità da 52 a 45. E per risparmiare qualcosa vanno a raschiare anche n e i conti della Protezione Civile: il fondo per fare funzionare il dipartimento sarà dimezzato: da 78 a 39milioni. Le voci principali della «macchina», però, vedono aumenti, aumenti, aumenti. Il «fondo per il funzionamento della Presidenza del Consiglio» passa dai 399.316.327 di quest'anno a 433.882.000, con una crescita di quasi 35 milioni. Le spese per mantenere la Camera salgono da 961.800.000 a 990.500.000: più 28 milioni. Quelle per il Senato da 503 milioni a 519: più 16. Quelle per la Corte Costituzionale da 51 a 53 milioni: più due. Calano un pochino i costi del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia e di altre cose di secondo piano. Restano quasi al palo la Corte dei Conti, che però quest'anno è costata 299 milioni di euro e cioè 26 in più rispetto al 2006 (un aumento dell'8%: e meno male che i magistrati contabili invitano gli altri a tagliare, tagliare, tagliare) e il Quirinale. Dove i costi sono sì aumentati da 224 a 241 milioni (il quadruplo di Buckingham Palace, otto volte più della Presidenza tedesca, 27 volte più di quella finlandese, anche se si tratta di un paese «appena» dieci volte meno popoloso dell'Italia). Ma quei 17 milioni di euro in più non saranno chiesti al Tesoro bensì recuperati autonomamente. Quest'anno. Perché il prossimo, invece, la dotazione statale aumenterà ancora di 6,5 milioni (compresi 3.568 euro che serviranno a portare l'assegno personale del presidente da 222.993 a 226.561 euro lordi). E' il 2,97%, in più, anche in questo caso ben oltre l'inflazione. Direte: non si tratta sempre e comunque, a prenderli di qua o di là, di soldi pubblici? E' così. Ed è qui che, dopo avere visto quanto sia difficile fermare la corsa di una macchina impazzita, per quanta buona volontà possa essere impiegata nel risanamento, che Giorgio Napolitano si trova a dover gestire un passaggio delicato. Aprire o no i libri alla totale trasparenza, nonostante la Corte Costituzionale abbia già offerto in passato la sua copertura alla scelta di mantenere un velo di riservatezza? Una decisione non facile. Soprattutto in un momento come questo. Ma è qui che verrebbe voglia di parafrasare Primo Levi: se non ora, quando?
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