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De Gregori incanta Molfetta nel “concerto per la vita” della Fondazione Valente Due ore di spettacolo applauditissimo dal pubblico, un successo confermato per quest'iniziativa benefica a favore della Lilt (Lega italiana per la lotta ai tumori)
13 settembre 2008

MOLFETTA - Vecchio o nuovo per lui non fa differenza: che sia con le sue canzoni meno note, tratte dagli album più recenti, o con i suoi classici, lasciati quasi tutti alla fine, Francesco De Gregori prende l'Anfiteatro di Ponente (nelle foto) nella morsa del folk delle sue ballate, e non lo lascia più, per oltre due ore. Poche parole, poche luci, una scarna presentazione, il cantautore romano mette al centro la musica dai suoni tra Cohen e Dylan e i suoi testi, le sue storie: quello che alla fine sarà il concerto più gradito, vox populi, che chiude degnamente il ciclo degli spettacoli offerti dalla “Fondazione Vincenzo Maria Valente”, presieduta dal dott. Pietro Centrone, in questa estate inizia quasi piano, col pubblico in ascolto dei pezzi sentiti meno, nel corso della quasi quarantennale carriera di De Gregori, o addirittura mai ascoltati, perché il cantante propone anche canzoni dal suo ultimo album, “Per brevità chiamato artista”, uscito a maggio di quest'anno (l'omonima canzone chiuderà la serata). Fa parte di queste L'angelo di Lyon, l'ultima di tantissime storie di donna che l'autore di Alice ha raccontato come forse nessun altro: si inizia, insomma, con il pubblico che anziché cantare a memoria le sue canzoni più celebri, è impegnato nell'ascolto. Ed è un grande ascolto, intenso, che raggiunge probabilmente il suo apice, in questa prima fase, nell'esecuzione di Festival, mai considerata veramente, in errore, tra le sue più belle prove: ma riascoltandola ancora ieri sera, questa poesia in ricordo di Tenco da parte di De Gregori, con le immagini, i simboli delicati eppure semplici, è eguagliabile, tra le tantissime dedicate all'argomento, solo da Preghiera in Gennaio di Fabrizio De Andrè. Festival è dunque un momento speciale dentro una serata speciale in cui anche l'acqua, che rischiava di marchiare il concerto come fu per quello di Gino Paoli, si ferma, quasi su richiesta. Ma il pubblico era pronto a sfidare anche la pioggia come ha constatato anche il presentatore Antonio Stornaiolo in questo 6° concerto per la vita a favore della Lilt (Lega italiana per la lotta contro i tumori), presieduta dal prof. Francesco Schittulli, in collaborazione con l'amministrazione comunale di Molfetta, come ha ricordato il sindaco Antonio Azzollini e sotto l'alto patrocinio del Presidente della Repubblica, che ha avuto come partner Exprivia, La Fondazione Antonveneta, la Banca Popolare di Bari, la Provincia, la Camera di Commercio e la Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia. Si va poi dentro la seconda parte, che idealmente inizia con Rimmel: il pubblico è la seconda voce, l'ultimo strumento della “banda”, tutta di strumenti a corda eccetto la batteria, concertata come sempre dal fido bassista, Guido Guglielminetti. La “dolce venere di rimmel” apre la serie dei classici, ricca ma troppo breve: ci si rende conto della grandezza dell'ospite di questo concerto di fine estate nel momento in cui si fa mente locale a ciò che manca, a ciò che De Gregori non canta. Pablo, Buffalo Bill, I muscoli del capitano, Ti leggo nel pensiero, Adelante, Niente da capire, mille altre, e ci si rende conto che di concerti potrebbe farne tre. Non mancano invece i gatti e lo sposo di Alice, non mancano la ragazza col cappello nuovo di Titanic e la paura per i rigori di Nino. Ci sono anche Buonanotte Fiorellino e un'altra stella di prima grandezza dell'opera di De Gregori, Il bandito e il campione, un'altra canzone non considerata a sufficienza tra le grandissime del ragazzo del Folkstudio. C'è La storia siamo noi (che abbiamo utilizzato come colonna sonora della Festa per i 10 anni della nostra rivista mensile “Quindici”, ndr), e poi Celestino che conta i pezzi della sua realtà, e gli vien voglia di andare in Africa, dove l'umanità è nata, perché lì si può ricominciare: a giudicare dal momento in cui viene eseguita, evidentemente De Gregori la considera già, non a torto, uno dei suoi classici. Quando si va a nascondere dietro le quinte, a richiamarlo fuori per il bis c'è un boato da stadio, non di routine, ed è perché manca la più amata, la più cantata: manca ancora La donna cannone. De Gregori canta la sua più bella storia d'amore prima di Viva l'Italia e dell'Artista, come scrive semplicemente nella sua scaletta attaccata sulle travi del palco, ma la chiusura ideale è quella, il canto d'amore del donnone del circo, infame alla vista, leggiadra di cuore: la chiusura, in una sera così, è proprio quella, perché canta tutto il pubblico, eterogeneo come mai. Cantano i ragazzi, cantano i fans degli inizi di Theorius Campus, cantano tutti, cantano tutti quelli che, almeno una volta nella vita, l'hanno sognato davvero, di abbracciarsi con chi amano e volare “in cielo in carne e ossa, e non tornare più”. Impossibile non averlo mai fatto, impossibile non farlo, in due ore così.
Autore: Vincenzo Azzollini
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Carissimo Vincenzo, io ringrazio te per aver letto una modesta opinione di chi oggi, viene considerato " passato e da non credere". Ti ringrazio ancora per aver dato anche un seguito ad un argomento che, a prima vista può essere considerato frivolo e che nasconde invece storia, cultura e socialità. Ti assicuro che nessuna americanità accompagnò la mia alba e accompagna tuttora il mio tramonto. E' solo un fatto storico e di tempi che, quando ero (eravamo)ragazzo tardavano a decollare. Già negli anni '50 attraverso il canto leggero, i giovani del pianeta manifestavano con rabbia, la voglia di essere i protagonisti, a ragione, di tutto quello che doveva decidere il proprio destino. In Italia forse anche in periodi recenti, forze conservatrici culturali, sociali, politiche e religiose, erano restie e bloccavano ogni forma di innovazione anche scientifica. Ricordo i detti "saggi" di allora (oggi?): "Tutto il mondo è paese" - "Chi lascia la via vecchia, sa' cosa lascia e non sa cosa prende" - Io (noi) che giravo il mondo mi rendevo conto come tutto questo, fosse fuori da ogni regola storica umana. Dagli estremi del pianeta da est a ovest e da nord a sud, per dirla da cantautore ( non io )spirava un vento di rinnovo, fresco, pulito, un vento rivoluzionario non nelle terminologia della parola,rinnovo, cambiamento, contestando un sociale amorfo e conservatore, non innovativo. Non erano pretese ma la visione di un cambiamento socio politico in atto e visibile a tutti. Questi eventi la cui provenienza da oltre atlantico, gridati e cantati da Dylan, Baez, Guthrie, penetrarono nelle viscere delle generazioni Europee, Asiatiche e Africane, in Italia no. L'Italia sembrava coperta da una coltre inpenetrabile, continuavamo a cantare Sanremo e non decollavano quei cambiamenti richiesti da noi giovani, a volte repressi nella violenza. Si cantava....."sul vecchio ponte nella valle aspetto te e guardo l'acqua con un fremito perchè.... anche...... "il pericolo n.1 la donna, chi viene vinto da quell'incanto sorride sempre mentre soffre tanto..". Solo nel 1958 si ha una svolta a Sanremo quando esplode Modugno con la canzone "Nel blù dipinto di blù" conosciuta in tutto il mondo come Volare e da qui, partì la rivoluzione della parola cantata con l'avvento dei cantautori, la scuola di Genova(da Paoli a Tenco, da Bindi a De Andrè). Dieci anni dopo, 1968 l'anno della rivolta giovanile: i figli rompono con i genitori e con gli insegnanti, i maestri. L'Italia diventa un campo di battaglia e l'opinione pubblica è costretta a prendere conoscenza di un fenomeno che fini a quel momento ha sottovalutato: la rabbia dei giovani. Tutto questo avvenne sull'esempio proveniente da oltre Atlantico, dove questa esperienza avvenne anni prima. Io (noi) segui con passione questa esperienza cantando Dylan, Baez,Drummond,Guthrie........ più tardi quando si spensero anche gli echi di questi tumultuosi avvenimenti, cantai (cantammo) i nostri bravi cantautori e la nostra storia musicale e sociale, lentamente si mise in moto. Come in Amore, in simbiosi e restando fedele all'ultimo Amore con il quale si è costruito la propria esistenza, il primo Amore lo si ricorda sempre con affetto e commozione, perchè è stato quello che ti ha fatto scoprire l'essenza del tuo essere. Questo è il mio rapporto con l'americanità di Bob Dylan. Sono daccordo con te e mi tengo De Gregori e De Andre' e Battiato..."spero che ritorni presto l'era del cinghiale bianco". Grazie Vincenzo e in bocca al lupo:
Grande De Gregori: una personale lode non aggiungerebbe meriti al valore del più bravo "menestrello" della musica italiana da oltre quarant'anni. Un plauso anche alla "Fondazione Vincenzo Maria Valente" presediuta dal dott.Pietro Centrone per l'annuale manifestazione a favore della LILT ( Lega Italiana Lotta ai Tumori ). Questa è una conferma, qualora ce ne fosse bisogno, dell'alto senso civico e morale della manifestazione. Vorrei però separare la nobiltà dell'opera, con il popolare ricordo storico di questi cinquant'anni. A mio modesto parere, confrontare De Gregori con Bob Dylan è fondamentalmente un errore storico e, come qualcuno ancora fa, confrontare campioni di ciclismo come Ganna, Girardengo, Magni, Coppi e Bartali, con i campioni attuali in circolazione. Immaginate le strade ferrate, le gomme di ricambio sulle spalle e l'assenza del meccanico: oggi al contrario è tutto assistito e più facile essere campioni aiutati dalla tecnologia farmaceutica. Bob Dylan nato col nome di Robert Allen Zimmerman, prende il nome del poeta gallese Thomas Dylan soprannominato il poeta maledetto:" vorrei esserti vicino nella tomba per poterti scaldare con il mio fiato ". Autore,Rocher, Ribelle, Leggenda. La maggior parte delle sue canzoni più conosciute risale agli anni sessanta, quando l'artista si pone come figura chiave del "movement", il movimento di protesta americano. Canzoni come Blowin'in the wind e The Times They Are A 'Changin sono diventati gli inni dei movimenti pacifisti e per i diritti civili. Le sue canzoni fecero il giro del mondo, tradotte in tutte le lingue, riuscendo ad armonizzare le generazioni di tutti i continenti. La gioventù americana, europea, africana e asiatica, si riconobbero nelle sue canzoni. Nel 1990 il Ministro della Cultura francese Jach Lange lo ha nominato "Commandeur des Arts et des Lettres e nel 2000 è stato insignito del " Polar Music Prize dalla Accademia Reale Svedese. E' stato proposto varie volte per il premio Nobel per la letteratura ed è stato insignito del premio Pulitzer alla carriera nel 2008. Bob Dylan lo abbiamo ascoltato sui posti di lavoro, nei treni viaggiando con le valige piene di speranza, trasferendoci in posti sconosciuti lontani dagli affetti più cari. Con le sue canzoni ci rinnovava la dignità, l'orgoglio di appartenere al genere umano senza distinzioni di sorta. Si ascoltava in piedi, correndo, saltando, piangendo con le emozioni che portavano il cuore in gola. Canzoni come You Been On My Mind, Just Like A Woman, Idiot Wind, Farewell Angelina, M.Tambourine Man, Lke A Rolling Stone, Ye Shall Be Changed - "Gesù mi batte la mano sulla spalla e mi disse: "Bob perchè mi resisti? - io risposi: " Non ti sto resistendo! Lui disse " Mi seguirai? - Io risposi - "Beh, non ci avevo mai pensato prima." Il bravissimo De Gregori, lo si ascolta stando seduto su una poltrona sorseggiando una bevanda a piacimento. Bob Dylan lo si ascolta ancora, andando su e giù come un leone in gabbia: questo capita a me. In fondo poi, le canzoni non fanno cultura, rispecchiano una cultura.


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