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Da Molfetta al cielo di Macallè
15 dicembre 2017

La pubblicazione di documenti e fotografie relativi a nostri concittadini caduti nei conflitti che insanguinarono il Novecento, non ha, personalmente, alcun intento celebrativo. Né, tantomeno, ritengo utile, oltreché giusto, utilizzarli come occasione per una ennesima condanna di questa o quella strage. Certamente, le guerre, quasi tutte inutili, non sono tutte uguali: occorre distinguere, valutare, giudicare senza esitazione. Ma esse, senza eccezione, comportano distruzione, morte, odio, sofferenze. Non sono tuttavia un pacifista integrale. Per dirla con Norberto Bobbio, «La pace è un fine altamente desiderabile per l’uomo, ma non è detto che sia, in senso assoluto, il fine ultimo. E’ un fine ultimo soltanto per chi ritiene che la vita sia il bene supremo. Se poniamo dei beni superiori alla vita, come per esempio la libertà e la giustizia, anche la pace cessa di essere desiderabile in modo eminente. Se io desidero la libertà e la giustizia più della vita, non posso considerare la pace come fine supremo, il che significa che non sono disposto ad ottenere la pace “ad ogni costo”, anche a costo di perdere libertà e giustizia. Si tratta, come sempre, di una gerarchia di fini, e quindi di valori». La conquista dell’Etiopia, fu una sporca guerra di aggressione: non fu certo la prima, e non fu l’ultima; in simili imprese si distinsero egregiamente (e si distinguono tuttora), molti altri Paesi, a cominciare da quelli cosiddetti democratici. Molti giovani italiani caddero in Africa Orientale, compreso colui del quale ora parleremo: non ne faremo una vittima, perché tale egli non volle, nè potè considerarsi. Vogliamo semplicemente ricordarlo. Domenico Pappalepore nacque a Molfetta il 23 giugno 1911 da Vito, dirigente postale e Lucia Lancellotti, casalinga. Era un giovane da carattere franco, vivace, e dal tempo stesso riservato. Amato da amici e commilitoni, ironizzava spesso sulle pose guerresche e gladiatorie molto in voga all’epoca. Sin dagli anni della scuola superiore, il volo fu in realtà la sua unica autentica passione. Era un bel ragazzo, e quando da Molfetta ripartiva per Caserta, pare che lasciasse non pochi cuori sospirosi, e spesso infranti. Dopo rigorosi esami medico-attitudinali, fu ammesso alla Scuola di Pilotaggio della Regia Accademia Aeronautica di Caserta il 18 ottobre 1931. Queste poche notizie biografiche mi sono state fornite dalla sorella Ada in Pansini, mia zia acquisita recentemente scomparsa: al momento infatti, non sono emersi altri documenti, ad esempio lettere, che possano servire a tracciare un quadro più completo della sua personalità, a parte naturalmente i dati relativi alla sua carriera militare, a cominciare dalla medaglia d’argento alla Memoria, con relativa motivazione, conferitagli il 15 aprile 1937. Rimangono tuttavia due preziosi documenti messimi a disposizione da questa mia parente di cara memoria: il Libretto Personale di Volo e un Album di fotografie, forte di circa 150 pezzi. Il primo misura cm 15x 10, è rilegato in tela rigida azzurra con lettere impresse in oro e consta di 123 pagine. Per ogni volo il pilota ha segnato giorno, mese, anno, durata, altezza, tipo di apparecchio, campo e ora di partenza, campo e ora di arrivo, riporto delle ore totale di volo, note. Queste ultime informano succintamente sullo scopo e sul luogo dell’azione: ad esempio, addestramento, ricognizione, bombardamento, trasporto truppe, trasporto materiali, servizio sanitario. Segue infine la firma del Comandante del Campo. Il primo decollo data Capua, 3 novembre 1931, l’ultimo Addis Abeba, 24 giugno 1936. L’album fotografico documenta la vita del Nostro. Dalle prime scampagnate a Molfetta con un vivace gruppo di amici, al Corso di Pilotaggio nell’Accademia di Caserta, dai primi voli da neofita sul campo di Capua, ai trasporti truppe in guerra con i Caproni Ca.133 e i Savoia Marchetti SM.81. Non mancano molte e splendide foto in formato medio sulle crociere di istruzione in Africa, Medio Oriente e ai Sacrari della Grande Guerra. Qualche ulteriore notizia si può ricavare dai suoi commenti, spesso scherzosi, vergati sul retro di alcune fotografie. La Regia Accademia Aeronautica fu istituita il 5 novembre 1923; nel 1926 fu trasferita a Caserta presso il Palazzo Reale. Dopo il disastro dell’8 settembre 1943 la sede fu chiusa e ricostituita temporaneamente a Brindisi. L’attività regolare riprese a Nisida nel novembre 1945, e definitivamente a Pozzuoli nel dicembre 1961. Ai Corsi, che duravano tre anni e mezzo, si attribuiva un nome ed un motto: “Leone” si chiamò nel 1931 il Corso di Pappalepore. Pubblicheremo in due o tre puntate le fotografie che riteniamo più significative, a cominciare da quelle della Scuola di pilotaggio, sperando che nel frattempo emergano lettere, documenti, o altro, che possano dare più spessore al racconto della sua breve vita. 1) In questa fotografia, datata 17 novembre 1932 vediamo l’allievo pilota Domenico Pappalepore ai comandi di un Breda A.4. Adottato nelle scuole di volo per l’istruzione al conseguimento del brevetto, questo aereo era un monomotore biplano, aperto, a due posti, uno per l’istruttore, dotato di doppi comandi disinseribili con carrello d’atterraggio fisso. Montava un motore Colombo 110.D da 130 CV. Aveva un’autonomia di 450 km e una velocità massima di 140 km orari. Ebbe varie versioni più potenti e veloci. Il Nostro volò anche su una di queste, il Breda A.25. Sul retro di questa foto scrisse: «Prima d’un volo che costa 10 giorni d’arresti di rigore (s’allontanava dal campo fino a Pignataro per fare evoluzioni pericolose)». 2) Scritto sul retro: «la seconda squadra al completo». Pappalepore è il secondo in piedi a sinistra. 3) Scritto sul retro: «il mio primo scasso con il BA.4! questa sera pagherò lo champagne a tutta la squadra!». Questo tipo di incidente in fase di atterraggio era piuttosto comune tra gli allievi inesperti; non causava danni seri, a patto che l’aereo avesse ormai perso velocità e restasse fermo in questa posizione senza capotare. Era dovuto in genere ad una erronea valutazione dell’abbrivo della macchina, rispetto alla propulsione. 4) Un istruttore ai comandi di un Ansaldo A.300.6. Questo biplano aveva due abitacoli aperti in tandem, quello posteriore destinato all’osservatore o al mitragliere; il carrello era fisso. La propulsione era affidata ad un motore Fiat A.12, che erogava una potenza di 300 CV. Fu impiegato inizialmente come ricognitore, e poi come addestratore nelle scuole. Leggiamo sul retro un eloquente commento del nostro allievo: «dopo un’ora surriscalda e brucia anche il sedile: un disastro!». Come testimonia il Libretto di Volo Pappalepore volò sul campo di Capua su altri tre velivoli: il Caproni 101, il Fiat BR.3, e l’Imam RO.3. Tutti questi aerei furono radiati alla fine degli anni 30 dopo l’impiego della Campagna d’Africa Orientale. Finisce qui la prima parte di questo breve racconto. © Riproduzione riservata

Autore: Ignazio Pansini
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