Condizione morale e precaria degli immigrati al Caffè filosofico-pedagogico del Liceo Fornari di Molfetta
MOLFETTA - Nel terzo appuntamento del “Caffè filosofico-pedagogico”, offerto liberamente a tutti dal Liceo delle Scienze Umane V. Fornari, e promosso dalla prof.ssa Linda Panunzio (foto), il tema principale è stato incentrato sulla condizione morale e precaria di coloro che immigrano nel nostro Paese o sono figli di immigrati.
La problematica di queste persone consiste nel fatto che nonostante vivano da notevoli anni nel nostro Paese a tal punto da non venire quasi mai in contatto con il proprio paese d’origine debbano rinnovare periodicamente (ogni 3 mesi) il proprio permesso di soggiorno che va ad intaccare i loro animi. Esse non si sentono parte dell’Italia, creando situazioni ambigue e psicologicamente inaccettabili, portandole a creare una sorta di barriera per non sentirsi a disagio e spaesate con noi italiani. E’ emerso, infatti, che sono ben 900.000 gli immigrati in Italia che nonostante vivano e si siano completamente integrati nel Paese, non possano circolare liberamente.
Questo tipo di situazione non esisteva negli anni prima della venuta del fascismo poiché bastava che uno straniero sposasse un’italiana e in poco tempo poteva ottenere la residenza in Italia, mentre dopo il fascismo tutto è cambiato sia a livello organizzativo-legislativo che da quello umanistico: si sono diffuse notevolmente forme o opinioni prettamente razziste, mentre con gli anni, la richiesta del permesso di soggiorno, documento materiale, ha concretizzato questa divisione.
L’incontro si è aperto con un’intervista agli studenti del liceo migrati in Italia con le proprio famiglie, le domande a cui sono stati soggetti era semplicissime, del tipo: Nazionalità? Tradizioni famigliari? Lingua parlata tra casa e scuola? Come ci si sente in Italia? Poeti, attori e gruppo musicale preferito? Avvenimenti storico-politici del proprio Paese? Ognuno dei ragazzi intervistati è stato libero di esprimere le proprie opinioni e i propri gusti. In conclusione è emerso che le tradizioni del Paese d’origine o famigliari restano solo nei loro pensieri, ma le tradizioni italiane hanno subito influenza nella loro cultura, addirittura sovrastandola! Inoltre, questi ragazzi hanno anche potuto fornirci importanti risvolti tra il punto di vista che abbiamo noi italiani su di loro come rappresentanti di tutti gli immigrati. Una ragazza dell’Iraq ha affermato che secondo lei portare il velo sul suo viso anche nel nostro Paese dove si è liberi di scegliere, le aiuta a ricordare le proprie origini e a sentirsi una “donna-gioiello”, preziosa non solo per le sue forme. Ha anche affermato di voler avere titoli di studio per combattere la guerra e l’ignoranza al ritorno, quando sarà grande, del suo Paese.
Due ragazzi albanesi hanno confidato anche che le donne nel loro Paese d’origine vengono trattate meglio delle donne italiane e vengono considerate anche al pari degli uomini. Successivamente hanno sostenuto che gli Italiani vengono trattati in Albania meglio degli albanesi in Italia. L’incontro si è concluso ammettendo che siamo unici, anche essendo l’uno diverso dall’altro per la religione, il colore della pelle e la lingua. Il fatto di essere tutti esseri umani ci fa comprendere che proviamo tutti, senza nessuna differenza, le stesse emozioni, ed è questo ciò che ci unisce.
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