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Che succede al Cmp di Bari? Lo chiedono i lettori di “Quindici” a Molfetta: ritardi inspiegabili, caos organizzativo, giacenze senza tempo. “Poste italiane: se le conosci, le eviti”
19 novembre 2023

MOLFETTA – Che succede al Cmp (Centro meccanizzato postale) di Bari? Regna il caos? Il personale è insufficiente e aumentano le giacenze? C’è una montagna di corrispondenza che non si riesce a smaltire o si perde? Vi è una incapacità organizzativa? E’ in atto uno sciopero a tempo indeterminato? Esiste una discriminazione nei confronti della stampa libera? Viene data la precedenza ai clienti che pagano di più? Nessuno è in grado di dare una risposta ai cittadini che hanno il diritto di essere informati. Poste italiane, com’è noto, non brilla per efficienza nel servizio, anzi la sua lentezza è proverbiale, ma che si arrivasse alla paralisi, finora non era accaduto. Ci chiediamo: c’è una disposizione del governo sovranista della Meloni che punta a boicottare i giornali? L'obiettivo è far morire la stampa locale, meno controllabile? Il compito della stampa libera è quello di fare domande per capire e informare i cittadini su quello che succede: ne abbiamo il diritto.
E fino a quando esisterà il diritto di critica garantito dalla Costituzione (che qualcuno vuole cambiare), continueremo a porre e a porci queste domande, anche se resteranno senza risposte, perché il muro di gomma di Poste Italiane è invalicabile: non c’è nessuno che risponda dei ritardi, le proteste cadono nel vuoto, il sistema è irraggiungibile: se provi a chiamare, il telefono squilla a vuoto. Nessuno ti sa indicare un responsabile a cui rivolgerti (ma esiste un responsabile in un Paese dove la responsabilità è sempre sfuggente?). Ti trovi di fronte a dipendenti che allargano le braccia, sono mortificati e non sanno cosa rispondere. Ti dicono solo: “fai un reclamo”, destinato a restare senza risposta. Ecco perché il reclamo, lo facciamo pubblico. Non vogliamo essere cittadini rassegnati, come il sistema desidererebbe.
Il sistema di distribuzione dei giornali è assolutamente inadeguato: Poste italiane moltiplica i suoi compiti (ora distribuirà addirittura i passaporti, così da due mesi ci vorrà un anno), ma abbandona quelli istituzionali e tradizionali: recapitare la corrispondenza, soprattutto alle persone più anziane che non sanno usare la posta elettronica, (ma la rifiutano anche molti altri italiani che non vogliono essere schiavi di internet), né amano il web, e aspettano che il postino porti loro il giornale cittadino. Va detto che il sistema postale ha costretto un altro periodico locale a chiudere l’edizione cartacea.
Dopo tutti i tentativi di protesta caduti nel vuoto, non ci resta che il web per protestare pubblicamente dando notizia di un sistema inefficiente: lo dobbiamo ai lettori della rivista mensile “Quindici” che lo scorso mese non hanno ricevuto il giornale, regolarmente spedito, regolarmente pagato, e questo non per colpa di chi fa ancora questo lavoro senza fini di lucro, al servizio della comunità e con grandi sacrifici di tempo e denaro, ma per l’inefficienza di un  servizio che, ricordiamo, è un servizio pubblico.

Sembra che in Italia ci sia una spinta a far morire il servizio pubblico a favore dei privati: avviene nella sanità, nella scuola, nella Rai, nelle Poste. Un dipendente al quale ci siamo rivolti per chiedere come mai il giornale, la cui spedizione è stata regolarmente pagata (c’è il rischio di appropriazione indebita?, perché il versamento dell’importo della spedizione è stato regolarmente incassato per una controprestazione non ancora adempiuta), non venisse recapitato da un mese, il quale ci ha risposto: “fareste meglio a rivolgervi ai privati”. Insomma, lo stesso personale sembra demotivato e cosciente della propria inefficienza. Un altro ci ha detto che paghiamo poco, per cui la precedenza viene data ai servizi più… ricchi. Ma c’è una logica nelle tariffe agevolate che vengono ancora applicate alla stampa periodica ed è quella del servizio sociale riconosciuto a questi mezzi di informazione, antichi, tradizionali, ma ancora graditi dai cittadini, che possono essere una minoranza, ma vanno rispettati.
Ecco è anche una mancanza di rispetto per il lavoro degli altri e per i contribuenti che pagano un servizio che non ricevono. Durante i governi Berlusconi, abbiamo avuto notizia di un tentativo, per fortuna abbandonato, di togliere le tariffe agevolate per la stampa periodica, eliminando indirettamente tutti i mezzi di informazione svincolati da un controllo, compreso la stampa religiosa, che non avrebbero la possibilità, soprattutto in un periodo di crisi della stampa, di pagare tariffe elevate, portandole a indebitarsi.
Oggi c’è qualche altro che ha avuto la stessa idea? La domanda è legittima, come la nostra protesta: lo dobbiamo agli abbonati di “Quindici” a Molfetta e in Italia, che chiedono il loro giornale. La risposta? Una sola: non è colpa nostra, ma dell’incapacità di Poste italiane: un disastro.
Una curiosità: l’acronimo Cmp, sta per Centro meccanizzato postale: ci sembra un paradosso, quando con le diligenze la posta arrivava prima. Poste lumaca, poste tartaruga e chi più ne ha, più ne metta. Insomma, incapacità di innovazione, ferme all’800 ancora con modulistiche antidiluviane, il regno dell’italica burocrazia nel XXI secolo.
E questo non vale solo per la distribuzione dei giornali, perfino negli uffici postali centrali, come accade a Molfetta, dove per ritirare una raccomandata occorrono circa due ore di attesa. Quando va bene. Ecco che lo slogan ironico “Poste Italiane se le conosci, le eviti”, ci sembra azzeccato. Ma l’ironia non basta più a giustificare un fallimento. Una constatazione che, sinceramente, ci dispiace sia per il nostro Paese, ma soprattutto per tanti dipendenti delle Poste che lavorano duro, subiscono le proteste dei cittadini, ma senza colpa loro si trovano inseriti in un sistema che non funziona, un pachiderma addormentato.

P.S. Domani spediremo il nuovo numero della rivista mensile “Quindici”, speriamo che al Cmp di Bari si voglia rimediare consegnando insieme, e celermente, il vecchio e il nuovo numero agli abbonati, chiedendo almeno scusa per il disservizio.
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