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Cgil Molfetta, reintegrato il sindacalista Giuseppe Filannino L'ex segretario della Camera del Lavoro di Molfetta, era stato licenziato perché accusato di essersi appropriato indebitamente di 800 euro. Il giudice ne ha stabilito il reintegro: “accuse contraddittorie e incoerenti”
06 dicembre 2015

MOLFETTA - Un impiegato licenziato dal datore di lavoro e poi riassunto su ordine del giudice, in nome dell'articolo 18, in quanto l'accusa è giudicata inconsistente. Il lavoratore è quindi indennizzato, riabilitato e riassunto. Caso chiuso. Una storia come  tante, una storia di tutti i giorni. Se non fosse che il datore di lavoro in questione è la Cgil, il più grande sindacato d'Italia, imprescindibile punto di riferimento per milioni di lavoratori e difensore dell'articolo 18, proprio la norma che l'ha costretto a reintegrare Giuseppe Filannino, 45 anni (foto), barlettano, dipendente della «Bari Servizi e Lavoro srl», società controllata al 100% dalla Cgil che si occupa di assistenza fiscale (il 73% delle quote è di proprietà della Cgil Puglia e il 27% delle categorie della Cgil). Filannino, tra le altre cose ex portavoce provinciale dell’associazione contro le mafie Libera, è un volto noto del sindacalismo molfettese: fino al 2013 è stato segretario della Camera del Lavoro di Molfetta. Poi il trasferimento e il licenziamento, arrivato nel luglio del 2014.

La Cgil accusa Filannino di essersi appropriato indebitamente della somma di 800 euro per lo svolgimento di una pratica di successione per conto di una pensionata molfettese. L'8 luglio del 2014 (ben tre anni dopo i fatti addebitati a Filannino) notifica quindi con una lettera, il licenziamento con effetto immediato, fondando il proprio impianto accusatorio su due dichiarazioni scritte dalla stessa pensionata. Filannino non ci sta, si dice innocente, chiede il reintegro nel posto di lavoro e impugna il licenziamento davanti al giudice assistito dagli avvocati Silvio Giannella e Pasquale Nasca. E il giudice del Lavoro Luigi Pazienza, lo scorso 11 novembre gli ha dato ragione stabilendo l'immediato reintegro del lavoratore e condannando la società al pagamento di un anno di stipendio con contributi assistenziali e previdenziali, oltre agli interessi legali sulle somme rivalutate sino al versamento effettivo e alle cosiddette spese di lite.
Pazienza scrive nella sua sentenza che “la prova testimoniale offre un quadro probatorio alquanto zeppo di contraddizioni ed omissioni che sicuramente non può condurre questo Giudice ad affermare in modo convincente la sussistenza del fatto contestato nella sua dimensione empirica e soggettiva”. In pratica le accuse della Cgil si sarebbero sfarinate in una lunga serie di incongruenze che sono subito emerse nel corso del processo anche perché il perno dell'accusa, la pensionata alla quale Filannino avrebbe sottratto la somma di 800 euro è, chiarisce Pazienza, “una signora di circa 78 anni che dichiara di non ricordare la data ed il mese del proprio matrimonio e che non è in grado di precisare la data di decesso del marito”. Un'anziana in stato confusionale quindi la cui testimonianza “è priva di alcun elemento di attendibilità non solo perché la testimone non è in grado di precisare le coordinate temporali degli incontri con il ricorrente, ma perché appare evidente la assoluta impossibilità di fondare un addebito disciplinare così grave per un lavoratore”.
L'anziana, stando a quanto riferito dalla figlia, avrebbe firmato l'accusa mossa a Filannino su suggerimento di un altro sindacalista. La Cgil avrebbe proceduto dunque, stando a quanto scritto dal giudice, ad un licenziamento assolutamente immotivato, un licenziamento facile, incappando nell'articolo 18. Il giudice ha ricordando  quindi che un provvedimento così grave per un lavoratore dovrebbe avere basi molto più solide. La vicenda sta creando comprensibile imbarazzo tra i vertici del sindacato “rosso” e potrebbe avere ulteriori strascichi.
Intanto dopo lo stop obbligato Filannino libero da ogni accusa è rientrato a lavoro, sempre per la Cgil, ed esprime a noi di Quindici la propria soddisfazione non risparmiando frecciate al sindacato: “sono contento che dopo più di un anno, la verità sia stata dimostrata. Sono comunque molto deluso e disilluso: mai avrei potuto immaginare che si potesse proseguire la battaglia politica o alcune rivalse personali, provando a distruggere la vita di una persona. Arrivare a trasferire e poi licenziare qualcuno in base a accuse come minimo non verificate è molto grave. Come detto dal giudice non è possibile accusare e licenziare un lavoratore in base a semplici dichiarazioni non provate di altre persone, perché altrimenti arriveremo al paradosso che chiunque faccia bene il proprio lavoro rischia di perderlo perché ha pestato i piedi al potente di turno che può manipolare testimoni per ottenere qualche licenziamento gradito. Spero che sia la Cgil nazionale che la magistratura penale e civile, faccia completa luce sul perché si è arrivati a questo”. Immutata resta però la fiducia nel sindacato: “sono convinto che il sindacato è qualcosa di importantissimo per i lavoratori  e che questo non può lottare da solo contro chi è più forte. Con la mia battaglia ho voluto dimostrare che quando qualcuno ha ragione deve avere il coraggio di andare sino in fondo. Sono immediatamente tornato a lavoro per il sindacato perché convinto che il sindacato non solo per la sua storia ma anche per il periodo che stiamo vivendo, è l'unico strumento in mano al lavoratore”.
A proposito dell'articolo 18 che ne ha permesso il reintegro, Filannino ha sottolineato che “ è un valore fondamentale, una grande tutela dei diritti dei lavoratori. Fossi stato uno dei giovani assunti nell'ultimo periodo non avrei mai potuto dimostrare la mia estraneità ai fatti. Grazie all'articolo 18 ho avuto invece, la possibilità del reintegro e quindi l'idea di riprendermi il mio lavoro mi ha spinto a far valere i miei diritti. E' un orizzonte che oggi non c'è più. Il lavoratore oggi licenziato sa di avere la possibilità solo di ottenere un indennizzo di poche mensilità.
E' incredibile che la Cgil non abbia proseguito la battaglia per il mantenimento dell'articolo 18 e poi magari vai a scoprire come uomini del sindacato utilizzino verso propri dipendenti atteggiamenti che nelle piazze combattiamo. Sono sempre stato impegnato nella denuncia di situazioni lavorative grigie o nere di altri miei colleghi. Molto probabilmente ho pestato i piedi a qualcuno ricordando che se si va in piazza a difendere i diritti dei  lavoratori è chiaro che a casa nostro certe cose non le possiamo tollerare”.

© Riproduzione riservata

Autore: Onofrio Bellifemine
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