MOLFETTA - «Credo che farebbe bene ascoltare queste che ad alcuni appaiono cose nostalgiche a qualche superficiale, specialmente a quei giovanotti che scrivono sui giornalini locali, che vivono non alla superficie ma sulla spuma dell’onda e non conoscono le profondità del mare».
L’affermazione del sindaco di Molfetta, senatore Pdl Antonio Azzollini, pronunciata in occasione di un recente convegno sull’emigrazione degli italiani in Crimea, è sicuramente fra quelle più indegne pronunciate finora. Ma non stupisce affatto. Piuttosto, essa rientra a pieno titolo all’interno della concezione della cultura del primo cittadino, che ha contribuito ad annichilire lo spirito comunitario della città.
La cultura azzolliniana si è fondata, negli ultimi anni, sull’investimento in grandi eventi dalla grossa risonanza, nella maggior parte dei casi concerti molto costosi, staccati da un progetto di crescita culturale della città. In altri termini, Azzollini, attraverso grossi eventi, ha catalizzato l’attenzione dei molfettesi sulle mille luci di concerti e feste colorate, riassumendo nell’appariscenza di grossi nomi l’attività culturale cittadina.
La cultura di matrice azzolliniana è una cultura estraniata dal radicamento all’interno della città, che favorisce un’assunzione e una messa in discussione dei valori di riferimento, nel confronto e nella partecipazione attiva da parte dei cittadini allo spirito della comunità. La politica dei grandi concerti e dei grossi eventi corrisponde all’esigenza di una cultura estraniata e mercificata, isolata dalla comunità, chiusa in pochi attimi d’ingestione fugace e d’immediata evacuazione, senza alcuna assimilazione.
La cultura dei grossi concerti e del divertentismo di lusso è la cultura dell’estetizzazione, che rompe l’appartenenza dei cittadini alla comunità: anestetizzando lo spirito critico rispetto ai valori e ai termini della convivenza in città, è la cultura stessa a isterilirsi, fissata in una formazione superficiale, parziale, disumanizzata. La cultura dei grossi eventi è l’anticultura per eccellenza, quella che inserisce la gente nel clamore e nel circuito seducente di luci, nomi ed etichette dal sapore internazionale, isolandola dal carico di responsabilità che la convivenza in una comunità comporta, e che può trovare spazio solo nella cultura autentica. Quella che non rifiuta la storia della comunità stessa e, radicandovisi nello studio e nell’impegno quotidiano, la rielabora e la riattualizza ogni giorno, favorendo il progresso dell’intera città e contribuendo al suo riconoscimento all’interno di un sistema di valori e di un ambito di confronto condiviso. L’arte, la critica, la cultura autentica non possono che essere sinonimo di progresso per una comunità, quando è lo stesso orizzonte di convivenza a rivivere e ad attualizzarsi nella loro stessa crescita.
Non stupisce allora, che Azzollini continui ad additare i “giovanotti” che scrivono sui “giornalini locali”. Sono gli unici, evidentemente, che restano fuori dalla dimensione totalizzante che ha contribuito a edificare, fatta di distrazione e revisionismo, e che mercifica la cultura rendendola disponibile al costo di un biglietto. Del resto, la critica alla reificazione della cultura e della formazione ha trovato largo spazio nella sociologia di matrice marxiana e sappiamo bene quanto Azzollini abbia frequentato il marxismo negli anni passati. Dunque, avrà saputo ben sfruttare le sue competenze in materia. Ed è abile nel rimproverare la “superficialità” ai giovani redattori, come a voler rivendicare la “profondità” della propria proposta culturale.
La voce di quei giovanotti di cui parla è la voce di chi è ancora parte di una comunità e continua a sentirsene responsabile, perché la comunità è l’ambito di confronto e di esistenza di tutti e non può essere ridotta a blocchi di interesse privato, se non attraverso la neutralizzazione della cultura stessa.
La sfida del dopo-azzollini, ormai imminente, è proprio qui. La tentazione di limitarsi a un aggiustamento “tecnico” dei disastri di questa amministrazione, sul fronte economico e legale, deve essere rifuggita con tenacia. Ho già analizzato i rischi della tecnocrazia in saggio di nuova pubblicazione, «Tecnica ed esistenza nella postmodernità», appena uscito all’interno del volume «Polisofia» (editore Nuova Cultura, Roma).
Questa città ha bisogno di un progetto politico che sappia ripartire dalla cultura, per far rivivere lo spirito di questa città, perché la superficialità resti solo nelle parole di qualche politicante ormai in declino.
© Riproduzione riservata