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Uno, nessuno e centomila: il teatro di Enrico Lo Verso
15 febbraio 2019

Non esiste al mondo modo migliore di conoscere i grandi artisti, poeti, scrittori e drammaturghi della storia italiana se non il teatro, luogo dove passa tutta la cultura e la tradizione di ogni popolo, luogo dal quale non si può uscire senza non aver arricchito la propria conoscenza e la propria anima. Proprio per questo direttamente dalla Sicilia arriva a Molfetta l’opera di Pirandello “Uno Nessuno e Centomila”, conosciuta non solo in tutta Italia, ma in tutto il mondo. L’opera, che giunge a Molfetta sotto forma di monologo scritto da Alessandra Pizzi, racchiude in sé emozioni non facili da comprendere, emozioni che il protagonista dell’opera, Vitangelo Moscarda, esprime una per volta durante il racconto delle sue vicende: amore, paura, incertezze, ingiustizie, ma soprattutto pazzia: “Mi credono pazzo solo perché avevo dimostrato che si può essere diversi da come ti vedono”. Ma cosa vuol dire essere diversi da come ti vedono? Semplicemente essere se stessi, perché nessuno è mai veramente chi mostra agli altri, ma indossa sempre una maschera a seconda di molti fattori, ad esempio con chi si trova, se ha fiducia in una persona, se è felice o triste, spensierato o in sovrappensiero… insomma, s’impara a proprie spese che “nel lungo tragitto della vita, s’incontreranno tante maschere e pochi volti” e molti preferiscono indossare maschere e nascondersi per non essere giudicati come è stato giudicato Vitangelo Moscarda, che a Molfetta è arrivato alla Cittadella degli Artisti, insieme a Enrico Lo Verso il quale ha condiviso e tramandato il messaggio e i sentimenti che l’opera racchiude al pubblico, dicendo “Un attore sul palco non è mai da solo, anche se si tratta di un monologo. Arriva l’energia del pubblico e degli attori che sono saliti su quel palco e di quelli che ci saliranno in futuro”. La sala, gremita di gente, pendeva dalle labbra dell’attore, che pronunciava con calma e pacatezza le parole tratte dall’opera in un perfetto accento siciliano, raccontando la storia di una persona ordinaria, che dopo aver ereditato la banca del padre, vive di rendita. La vita del giovane però, viene stravolta nel momento in cui sua moglie, dopo averlo osservato attentamente, si lascia sfuggire un commento sul naso dell’uomo, affermando di vederlo abbastanza storto. A causa di questa osservazione da parte della moglie, Vitangelo Moscarda ha una crisi d’identità, e si rende conto, attraverso diversi episodi, che le persone attorno a lui hanno un’opinione completamente diversa da quella che lui aveva di se stesso. Il nuovo obiettivo che quindi il protagonista si pone, è quello di scoprire chi è veramente. A causa di ciò, va incontro alla sua rovina economica, contro il volere della moglie e di tutti i suoi conoscenti. Il protagonista raggiungerà la follia, ma le sue sensazioni e le sue esperienze lo porteranno a guardare il mondo in modo diverso. Le celebri parole che portando l’opera alla sua conclusione, sono state pronunciate da Enrico Lo Verso con una tale profondità, da lasciare a tutti gli spettatori un segno: “La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola, domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo”. La parola chiave per comprendere a pieno il significato dello spettacolo è relativismo: l’uomo è Uno quindi unico per la gente, è Nessuno ma allo stesso tempo è Centomila. Attraverso l’opera la realtà perde l’oggettività che le era stata attribuita e l’uomo (in questo caso Vitangelo Moscarda) inizia a scoprire i diversi se stesso che si formano con il rapporto con gli altri. L’attore Enrico Lo Verso ha scelto quindi il teatro per parlare dell’uomo e della multiformità della vita, ed è riuscito pienamente nella sua missione. © Riproduzione riservata 

Autore: Sara Mitoli
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