Una questione di identità
INTERVENTO
È una questione di identità: Molfetta è il porto. Quante sono le città che hanno con l'area portuale un rapporto così intimo da consentirle di penetrare fin dentro il proprio salotto?
Ma Molfetta è il porto in senso assai più profondo di quello che vuole la retorica un po' a buon mercato alla quale siamo stati sottoposti da bambini e che ci vuole tutti marinai e pescatori.
Come per molte città nate sui bordi di una baia, inizialmente l'insediamento era gemello: uno a ponente dove adesso c'è la Madonna dei Martiri, l'altro (Respa) a levante. Qualcosa del genere è successa anche a Trani-Colonna o a Barletta-Ariscianne.
L'approdo migliore era quello di cala San Giacomo, ed era lì dunque che risiedevano gli dei che rendevano propizio l'andare per mare
Il rapporto stretto fra i due nuclei abitati, fra Molfetta e Respa, viene ancora celebrato ogni anno con la processione a mare della Madonna dei Martiri e il “prestito” della divinità protettrice della pesca e dei marinai dal suo luogo di origine alla nuova città.
Il nuovo porto sotterrerà sotto migliaia di metri cubi di cemento quel po' che resta di questo. Ma non sembrano in molti a preoccuparsene. E, d'altra parte, perché stupirsi di questa insensibilità, quando tutta la città è costellata di dolorose cicatrici dovute a un tale insistente atteggiamento. Forse non è stato abbattuto Palazzo Capelluti? E il biscottificio “Pansini e Gallo” raso al suolo? E distrutte le ciminiere del cementificio Gallo e del pastificio Maldarelli? Forse che non è stato devastato il paesaggio in cui sorge il Cenobio di San Martino con quei capannoni industriali costruiti a pochi metri di distanza?
Perché stupirsi che siano in tanti quelli che di fronte alla prospettiva della cancellazione di un paesaggio in cui si identificava la nostra città (i cantieri delle barche che nascevano fra le case, la “sciala” dove si ritrovavano a mangiare Croce e Salvemini) scrollino le spalle indifferenti: è lo sviluppo, bellezza!
Beh, parliamone allora di questo sviluppo.
Si dice: bisogna creare le “autostrade del mare” e rilanciare il sistema dei porti come alternativa al traffico su gomma: si ridurrà l'inquinamento e lo scambio commerciale sarà più efficiente. E poi c'è la connessione “evidente” fra zona industriale e porto. Sono occasioni da non perdere.
E qual è il compito dei politici? Creare le condizioni dello sviluppo, mica programmare: non siamo mica in Unione Sovietica. Esternalità marshaliane, le chiamano gli economisti.
Ma c'è qualcosa che non torna in tutto questo: intanto lo stravolgimento del paesaggio, la cancellazione dei luoghi della memoria, insomma la perdita dell'identità non vengono poste in alcuna voce di bilancio. È come se la storia cancellata, i profumi dimenticati, i sapori scomparsi per non parlare dell'aria ammorbata e dell'acqua inquinata non avessero valore alcuno, non fossero costi da imputare, perdite da calcolare. Semplicemente vengono ignorate.
Eppure se una cosa avrà sempre più valore in una economia che si va smaterializzando è l'identità, la specificità. Le differenze saranno sempre più preziose in una economia sempre più piatta fatta di prodotti sempre più eguali e privi di anima. La rincorsa verso uno “sviluppo” fatto di ripetizione di modelli importati e replicati al minor costo possibile si rivelerà devastante, produrrà solo bruttezza permanente in cambio, forse, di una ricchezza effimera e apparente.
Può una comunità, in cambio di una breve illusoria ricchezza compromettere il futuro delle generazioni future? Non è una domanda da poco: significa chiedersi se la democrazia debba ispirarsi a principi di responsabilità e generosità che non sono considerati razionali dal pensiero economico dominante.
Antonello Mastantuoni