Passata l’euforia della vittoria elettorale, nella coalizione di centrosinistra, come da tradizione, sono cominciati i mal di pancia, gli agguati, gli sgambetti, i franchi tiratori, i desideri di inciuci, e per qualcuno, anche la voglia di rivincita, mascherata sotto false motivazioni politiche. L’aria metropolitana a Molfetta ha procurato non un semplice raffreddore, ma una broncopolmonite. La terza città della provincia, non è riuscita ad eleggere un suo rappresentante all’interno della città metropolitana che da gennaio prossimo sostituirà la Provincia. Una sconfitta di cui vergognarsi e della quale vanno subito individuati errori e soprattutto responsabilità. Ha contribuito un sistema elettorale che ancora una volta esclude i cittadini dalle scelte, come avviene con le politiche: una casta che perpetua se stessa. Abbiamo già scritto che la qualità politica di alcuni neo consiglieri comunali non è eccelsa. Sembrano tante individualità, poco disposte a mettersi insieme, molto suscettibili, qualcuno è risentito per non soddisfatte aspettative ed è poco disponibile ad accettare critiche. Forse l’inesperienza gioca un ruolo importante. Servirebbe un po’ di scuola di cultura politica e di comunicazione sia alla maggioranza, ma ancor più all’opposizione, anch’essa improvvista fatta da dilettanti allo sbaraglio, che lavorano contro la città all’insegna di “muoia Sansone con tutti i filistei”. Ma anche in chi dovrebbe avere esperienza politica, ha prevalso la delusione individuale, qualche aspirazione non soddisfatta e un risentimento atavico che ha covato sotto la cenere. In queste fragilità personali, si sono inseriti i furbi della politica, i rappresentanti di interessi economici e di potere, gli speculatori, tutti coloro, insomma, che hanno portato Molfetta all’attuale livello di degrado. Dal bene comune, al bene personale, il passo è breve. E se si fa intravedere anche qualche ricompensa, il gioco è fatto. In una città, ormai da anni abituata più a demolire che a costruire, quelli che erano saltati frettolosamente sul carro del vincitore, credendo di ottenere vantaggi e prebende, sono rimasti delusi. Tornati a casa con la bisaccia vuota, hanno subito cominciato a comportarsi come il gatto e la volpe della politica molfettese, sperando nella caduta del “tiranno”, auspicando l’avvento di un padrone che almeno fosse generoso con i propri servi. Del resto, lo ripeteva spesso il grande giornalista Indro Montanelli che “la servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi”. E così sono tornate le politiche della prima Repubblica, le manovre al centro, le politiche dei due forni, l’eterna pratica democristiano- socialista, con l’intento di abbattere il regime e di avviare un inciucio alla romana, da servire presto alla città. Ma il gatto e la volpe non hanno fatto i conti con la determinazione dell’attuale sindaco Paola Natalicchio e con quella parte di città che, seppure minoranza, è riuscita a convincere i più che anche a Molfetta era possibile cambiare. Che i metodi e i sistemi politici azzolliniani potevano e dovevano essere sconfitti, se si voleva sperare in un cambiamento e nella rinascita che questa città meritava. Le divisioni interne al Pd hanno fatto il resto. Tra l’altro ai cittadini di Molfetta non sembrava vero, dopo oltre dieci anni di regime, di assaporare il piacere della democrazia e qualcuno, come sempre, ne ha approfittato. Oggi viviamo in una condizione di demomania populistica, come ci ha ricordato recentemente il saggio Roberto Vecchioni. Tutto viene consumato in fretta, in un delirio digitale che trasforma la democrazia in demofobia dove tutti hanno opinioni su tutto, senza prendersi il tempo per fermarsi a pensare. Ecco la demotrofia, l’eccesso di democrazia che genera forse qualche mostro, ma sicuramente imbecilli a tonnellate. La politica oggi non è più frutto di elaborazione, ma di sentiment sui social network, si fa su Facebook dove tutti hanno il loro momento di gloria e tutti credono di essere esperti di tutto, novelli profeti pronti a tranciare giudizi sul mondo intero e soprattutto delle persone, degli altri, diffamando, sicuri dell’impunità. Ma Facebook non muta la realtà, perpetua l’illusione, il mito della caverna di Platone rivisitato in chiave digitale. E l’illusione di avere il potere di poter distruggere tutti con una battuta e con la possibilità di “cancellare” l’avversario, nasconde, in realtà, la propria miserabile condizione di solitudine, di fragilità, di servile dipendenza e di inconsistenza umana e sociale, che si rivela tutta nella sua drammaticità fuori dallo schermo del computer. E il desiderio di partecipazione che il nuovo corso politico ha favorito a Molfetta, si racchiude fra le quattro mura della propria stanza davanti a un monitor, anziché nell’incontro dell’altro nelle piazze, per le strade, nei luoghi della città. Al punto che è sorta la necessità di una nuova scienza la social innovation che cerca di riaggregare la gente (a Helsinki i cittadini hanno lanciato due giorni di pranzo all’aperto per stare insieme). Ma a Molfetta cosa costruiamo? Il nulla. Vogliamo tutto e subito, dopo anni di disastri. La storia insegna che a distruggere basta poco, a ricostruire occorrono anni di sacrifici e chi non lo sa meglio degli italiani? Ma “il sangue si secca presto entrando nella storia”, ha detto qualcuno, e noi quei sacrifici dei nostri padri, li abbiamo dimenticati. Oggi non vogliamo accettarne altri, ma soprattutto non vogliamo prendere atto che la situazione di qualche anno fa è cambiata, che la crisi si fa sentire e che a pagarne il prezzo non saranno coloro che l’hanno provocata, ma il popolo che ha creduto e votato quei governanti. La verità è amara ed è anche difficile trovare gente disponibile a farsi carico dei problemi di tutti, senza contropartita. Viene visto come un alieno (ognuno col proprio metro l’altrui misura) o un fastidioso disturbatore da eliminare, per continuare l’andazzo di prima: servire il padrone in cambio di qualche osso. A questo siamo ridotti. E una conferma ci viene dalla decisione della commissione per le autorizzazione e le immunità del Senato che non ha concesso ai giudici che indagano sulla presunta truffa del porto e sull’ex sindaco sen. Antonio Azzollini, la possibilità di utilizzare quelle conversazioni. Hanno votato a favore anche i parlamentari del Pd, per giustificare questa “porcheria” si sono dovuti inventare perfino un inesistente fumus persecutionis, come raccontiamo nelle pagine di questo giornale. E hanno così ingenerato nei cittadini l’idea che l’inciucio non è una fantasia di qualche giornalista “cattivo”, ma una realtà con cui fare i conti. E che loro, quelli del palazzo, sono dei privilegiati rispetto al cittadino comune, che alla fine non crede più nella giustizia: tanto quelli se la cavano sempre. Una pagina nera nella storia politica italiana, un cattivo esempio di democrazia e di rispetto della legge per quei giovani che oggi chiedono una società diversa e che pagano il prezzo più alto dei giochi di palazzo e delle reciproche coperture, dei reciproci favori. Questo è cambiare verso? Sì, un verso storto, un verso al contrario, proprio come certi manifesti delle recenti campagna elettorali, che molti non avevano colto in quello che appare oggi il loro significato subliminale.